Decimo del miniàn Pubblicato il 29 Marzo, 2012

Anche quello Shabàt, il 'decimo' era stato trovato, grazie a D-O, e la preghiera poteva essere completata in tutte le sue parti, sennonchè...  

L’indicazione del Rebbe di Lubavich, di fare in modo che in un Beit Chabàd ci sia sempre un miniàn (un numero di dieci Ebrei) al tempo della preghiera, dette l’impulso necessario a Rav Pinchàs Maman, direttore di un  Beit Chabàd di  Rishòn leZijòn, di cercare ogni Shabàt il “decimo” per il miniàn. Gadì Moshè, uno dei partecipanti al miniàn, racconta: “Uno Shabàt, vedevamo ormai nulle le possibilità di trovare il “decimo”. Quelli, che erano usciti alla ricerca, erano tornati senza risultato. Non c’era in giro un’anima. Ad un certo punto, Oren, uno della compagnia, identificò fra degli operai Arabi, che lavoravano lì vicino, un giovane, che aveva carnagione e capelli chiari e che distribuiva compiti. Evidentemente si trattava del direttore dei lavori. Oren decise che quel giovane era un Ebreo e gli si rivolse con sicurezza: “Amico, vieni, facci un piacere, aiutaci a completare il miniàn.” Il giovane cercò di dire qualcosa, ma davanti all’atteggiamento sicuro e deciso di Oren non seppe rifiutare.

          Oren gli pose davanti un libro di preghiere e gli spiegò come pregare. Il giovane cominciò a sfogliare il libro. Certo non gli si negò il diritto di salire alla Torà, visto che grazie a lui, quello Shabàt, si era raggiunto il numero di dieci. Alla fine della preghiera, Oren chiese al giovane dove abitasse. “Io? A Ramallah!” rispose. “Cosa? C’è lì un insediamento?”, chiese Oren innocentemente. ” Io parlo della città di Ramallah, e questo è ciò che cercavo di dirti, che io sono Arabo.” All’improvviso si fece silenzio. Non sapevamo se piangere o se ridere, ci ricordammo di tutte le parti della preghiera, che avevamo appena recitato e della lettura della Torà, che possono essere fatte solo in presenza di unminiàn…

          Oren, per un motivo inspiegabile, non si arrese. ” Sei Arabo?” gli chiese con incredulità. “Sì! Sono Arabo. Mia madre è Ebrea, ma mio padre è Arabo!” ” Se così, tu sei Ebreo! -gridò Oren-  E non ci puoi fare niente. Ricordati, tu sei Ebreo!” Il giovane sembrò piuttosto confuso. Gli chiedemmo di fermarsi all’itvaàdut (incontro chassìdico), che sarebbe seguita, ma egli si scusò, dicendo che doveva andare. Noi rimanemmo con la sensazione che la cosa non sarebbe finita lì.

         Passarono alcuni mesi, racconta Moshè Gadì, e, con alcuni compagni, programmammo un viaggio a Madrid. Alla vigilia di Shabàt, chiamammo l’emissario Chabàd del posto, Rav Izchak Goldshtein, che ci invitò al pasto di Shabàt. La serata fu un susseguirsi di racconti di storie di prodigi. Una di queste fu raccontata dalla moglie di Rav Goldshtein. ” La vigilia di uno Shabàt di due mesi fa, comparve al Bet Chabàd un giovane con lo zaino, che dava l’impressione di essere un Israeliano. Dopo la preghiera, mio marito lo invitò al pasto di Shabàt, ma lui rifiutò, spiegando di non essere Ebreo. Mio marito non si arrese, avendo la sensazione, che quella fosse solo una scusa. Alla fine il giovane acconsentì e venne alla cena, mantenendosi però, per tutto il tempo, sulle sue, anche quando fu il momento di cantare. Ad un certo punto il Rav gli si rivolse e gli chiese se volesse cantare insieme qualche melodia particolare. Con grande sorpresa, egli rispose affermativamente. I commensali riconobbero la melodia proposta e, dietro sua richiesta, tornarono a cantarla più volte.

           Dopo un po’ di tempo, il giovane cominciò ad aprirsi e raccontò, che lui viveva a Ramallah come Arabo, e che alcuni mesi prima era capitato nella sinagoga di un Bet Chabàd di Rishòn leZijòn. Lì gli venne comunicato che, dato che sua madre era Ebrea, lui pure lo era. “Dopo che tornai a casa, quello Shabàt – continuò il giovane – parlai con mia madre. Ella scoppiò in lacrime e confermò la cosa. Mi porse, poi, una foto di famiglia. Passato che fu del tempo, decisi di lasciare la mia casa, di girare per il mondo alla ricerca del mio destino. Così sono arrivato da voi, questa sera.”

         A quel punto la foto del racconto fu tirata fuori e mostrata a Rav Goldshtein. Il Rav l’osservò a lungo e poi chiese: “Per quale motivo sono stati fotografati proprio vicino a questa tomba?”  “Perché questa è la tomba del nonno di mio nonno…”  “Cosa?! Ma tu sai chi è seppellito lì? Questo è Rabbi Shlomo Elkabàz, uno dei grandi del Popolo d’Israele, e tu sei un suo discendente?! Ora capisco perché hai chiesto di cantare quella melodia così a lungo, questa è la melodia di “Lechà dodì”, composta da Rabbi Shlomo Elkabàz. In tutto ciò si vede la Divina Provvidenza in modo del tutto evidente.”- concluse il Rav.

         “E non sai quanto! – continuai io a quel punto – Il luogo dove quel giovane scoprì la sua origine, è proprio il nostro Bet Chabàd, a Rishòn leZijòn….” Essi ascoltarono allora la prima parte della storia e come il Rebbe raduna i dispersi di Israele e riavvicina le scintille alla loro origine.”

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