Il Rebbe salva il malato… e anche il dottore! Pubblicato il 19 Novembre, 2012

Durante l’incontro, il Rebbe all’improvviso guardò mio padre e, rivolgendoglisi con meraviglia, gli disse: “Cos’è mai questo?! Cos’è mai questo?! In una simile condizione?! Vai immediatamente da un medico!” Ed è quello che facemmo, arrivando così a scoprire la gravità della situazione, quando il dottore disse a mio padre: "La vostra gamba è completamente infetta e va amputata!"

Racconta rav Naftali Estulin, emissario del Rebbe a Los Angeles, California: “Era l’anno 5730, quando mio padre, rav Zalman Leib Estulin di benedetta memoria, mi raggiunse a ‘770’, il Centro del movimento Chabad, in occasione del mio matrimonio. Pochi giorni prima dell’evento, ci trovammo davanti alla stanza del Rebbe, in attesa di essere ricevuti, per ottenere la sua benedizione. Durante l’incontro, il Rebbe all’improvviso guardò mio padre e, rivolgendoglisi con meraviglia, gli disse: “Cos’è mai questo?! Cos’è mai questo?! In una simile condizione?! Vai immediatamente da un medico!” Nell’ultimo periodo, mio padre aveva sofferto di dolori a una gamba che, ai tempi della seconda guerra mondiale, era stata ferita, ma non aveva parlato di ciò con nessuno, per non intralciare i preparativi del matrimonio. Pur impressionato da quell’aperta dimostrazione di ispirazione Divina del Rebbe, mio padre pensò tuttavia che, non avendo alcuna assicurazione medica all’estero, avrebbe aspettato il ritorno in Israele per farsi visitare. Fu allora che il Rebbe, leggendo i suoi pensieri, gli si rivolse nuovamente: “Vai subito dal dottore! Vacci subito, oggi stesso!” Il Rebbe diede poi istruzioni al suo segretario che, poco dopo, consegnò un foglietto a mio padre, con l’indirizzo di un medico: il dr. Zeligson. Il dottore ricevette immediatamente mio padre e, dopo averlo visitato, constatata la gravità della situazione, lo indirizzò a sua volta da uno specialista: il prof. Redler. Dopo un’ulteriore visita ed una radiografia, il professore disse a mio padre: “Potete vedere anche voi la situazione. Purtroppo siete venuto all’ultimo momento e forse anche dopo. La vostra gamba è completamente infetta e va amputata. Non le nego che c’è anche il rischio che l’infezione sia entrata già nel circolo sanguigno, nel qual caso non ci sarebbe niente che io possa fare, per aiutarvi.” I miei genitori non riuscivano a capacitarsi che quella fosse la realtà. Era come se un fulmine li avesse colpiti. La prima a parlare fu mia madre che, dopo essersi espressa contro l’amputazione, disse al medico con determinazione: “Se il Rebbe ci ha mandato da voi, sicuramente potete aiutarci!” Il professore cominciò a dare segni di impazienza. “Il Rebbe gli ha fatto una lastra?” “No”, rispose mia madre. “Perlomeno il Rebbe gli ha fatto togliere la scarpa per guardargli la gamba?” Alla risposta negativa di mia madre, il professore per poco non esplose: “Andate allora dal vostro Rebbe e fatevi curare da lui. Io ho fatto i miei accertamenti e non sono in grado di aiutarvi!” Mia madre non si diede per vinta e cominciò a spiegargli le cose proprio dal lato opposto. “Proprio il fatto che il Rebbe, senza sapere niente prima e senza aver visto la gamba, ci abbia mandato immediatamente da un medico, testimonia la sua grandezza e la sua affidabilità.” Mia madre continuò poi, raccontando dei grandi poteri del Rebbe e dei suoi miracoli. Il professore capì di avere a che fare con un ‘osso duro’ ed alla fine capitolò. “Non so dirvi ora cosa io possa tentare, invece dell’amputazione. Lasciatemi del tempo, e vi farò sapere”. Egli prescrisse intanto alcuni farmaci a mio padre, giusto per mostrarsi compassionevole e dargli una buona sensazione, ma senza credere veramente nel loro effetto. Lo ammonì poi sulla necessità di stare immobile a letto, in quanto ogni movimento avrebbe aumentato il pericolo dell’espandersi dell’infezione. Era il periodo immediatamente precedente al Capodanno, quando vengono recitate le selichòt, e mio padre, che da anni aveva sognato di poter trascorrere le feste presso il Rebbe, dopo aver riposato alcuni giorni, decise che non avrebbe rinunciato a nessun momento ed a nessun aspetto del servizio di quel periodo così particolare. Secondo natura, comunque per lui non c’erano molte possibilità. Se era un miracolo quindi che doveva accadere, sarebbe avvenuto comunque. E così, si gettò nella ‘mischia’. Non perse nessuna delle preghiere con il Rebbe e nessun incontro chassìdico. Durante quello del secondo giorno del Capodanno, mentre se ne stava lì, al suo posto, stretto fra le migliaia di chassidìm, improvvisamente il Rebbe si girò nella sua direzione, gli porse una fetta della challà che aveva tagliato e lo benedì: “Mangia, rav Zalman Leib, mangia e starai bene”. Il giorno seguente, era programmata una visita dal professore, e i miei genitori temevano molto che quello si sarebbe accorto del fatto che le sue istruzioni non erano state osservate e che, di conseguenza, si sarebbe rifiutato di proseguire nella cura. Il professore fece un’altra lastra e, alla vista dei risultati, improvvisamente sobbalzò ed iniziò a camminare su e giù, ripetendo fra sé: “nero”, “bianco”. Iniziò poi l’interrogatorio. “Cosa avete fatto in queste due settimane?!” “Niente”, rispose mia madre. “Ma guardate”, proseguì eccitato, “la prima radiografia era completamente nera, e la seconda … è bianca! È una cosa impossibile!” Mia madre improvvisamente comprese e, eccitata a sua volta, spiegò: “Certamente! Siamo andati dal Rebbe di Lubavich e abbiamo ricevuto la sua benedizione.” Da quel momento, il professore non permise più a nessun’altro di curare mio padre, e se ne occupò lui personalmente, in ogni particolare, compreso il cambio delle bende. Quando mio padre fu completamente guarito e pronto a tornare in Israele, alla sua ultima visita dal professore, questi gli disse: “Allora, siete pronto per partire? Vi rendete conto di quanto mi dovete?” I miei genitori rimasero in silenzio. Il professore era un ‘pezzo grosso’ e certo i suoi onorari erano astronomici. Mia madre iniziò a spiegare la modestia della loro condizione, che suo marito era rabbino in Israele. “Ah, rabbino in Israele? Quanto avete?” “Dieci dollari”, rispose mia madre. “Dieci dollari? Va bene”, disse il professore, considerando così di aver ricevuto quanto gli era dovuto! I miei gli lasciarono una foto del Rebbe ed il numero del suo segretario, e questi diede loro il suo biglietto da visita, con la richiesta di consegnarlo al Rebbe. Alla loro ultima visita dal Rebbe, questi chiese che gli venissero raccontati tutti i particolari, compreso quello che riguardava il pagamento. Il Rebbe sorrise alla loro risposta e disse di essersi occupato anche di ciò. I miei, infine, gli consegnarono il biglietto da visita del professore. Il Rebbe se lo rigirò in mano, come cercando qualcosa. I miei restarono incuriositi da ciò, ma non chiesero nulla. Quando, dopo alcuni anni, tornarono dal professore, questi raccontò loro: “Ora, io conosco il vostro Rebbe personalmente. Dopo la vostra partenza fui colpito da un grave attacco di cuore, che mise in pericolo la mia vita. Gli chiesi allora una benedizione, ricordandogli come avevo rispettato il suo volere, curandovi. La benedizione arrivò, ed io guarii in modo assolutamente miracoloso.” Mia madre pensò allora che era forse proprio questo che il Rebbe cercava su quel biglietto da visita: la richiesta di una benedizione ed il nome del professore e quello di sua madre!

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