Ahavàt Israel Pubblicato il 20 Dicembre, 2015

Fra i principi fondamentali dell'Ebraismo si trova l'Ahavàt Israel, l'amore per i propri fratelli Ebrei, elemento indispensabile per la Redenzione. La Chassidùt ha approfondito e ampliato questo concetto, rendendolo comprensibile ad ognuno, così da poterlo vivere, sentire intimamente e mettere in pratica con tutti noi stessi.

Ahavàt Israel: amore per i propri fratelli Ebrei.

 

Ahavat Israel 3 Amore per il proprio compagno Ebreo

1. Definizione

La mizvà dell’ahavàt Israel ci obbliga ad amare ogni Ebreo, non solo perché possiede delle virtù, una mente acuta o delicati tratti del carattere, ma per il solo fatto che egli è Ebreo. L’ahavàt Israel è un amore che riguarda l’anima. L’amore per l’altro deve essere dello stesso tipo dell’amore, che si ha per se stessi, come è detto: “Ama il tuo prossimo come te stesso” – esattamente “come te stesso”. Ciò significa che l’amore per l’altro Ebreo deve essere un amore essenziale, un amore che trascende la logica, così come si ama se stessi. Fino a che i propri affari personali sono visti dall’individuo come più importanti di quelli  dell’altro Ebreo, egli non è ancora arrivato ad una vera ahavàt Israel. Non solo, il prossimo deve essere più caro ai suoi occhi di se stesso; i bisogni dell’altro devono preoccuparlo più dei propri; la sofferenza per le disgrazie dell’altro deve essere maggiore, di quella per le proprie (possa D-O proteggerci). Una persona, infatti, può trovare delle ragioni, che spiegano perché egli meriti quelle disgrazie, ma fare ciò rispetto ad un altro, non è assolutamente possibile. Per arrivare ad un simile tipo di amore, occorre una profonda meditazione. Questa meditazione, però, serve solo come strumento per arrivare all’amore essenziale, che trascende la logica, poiché l’ahavàt Israel è un amore naturale (come l’amore fra fratelli, o l’amore del padre per il figlio), che è scolpito in ogni aspetto dell’anima (neshamà, ruach, nefesh) di ciascun Ebreo ed il compito è solo quello di risvegliare questo amore.

2. I motivi per l’ahavàt Israel
Nonostante l’uomo ed il suo prossimo siano individui distinti e differenti, e di conseguenza il loro amore reciproco possa essere, apparentemente, solo dettato da un qualche interesse, vi sono dei motivi, che spiegano come l’ahavàt Israel sia un amore essenziale, innato:
1) L’ahavàt Israel deriva dall’amore dell’Ebreo per D-O, in quanto si ama, chi il nostro amato, ama. E l’amore per D-O è naturale e radicato nell’essenza d’ogni Ebreo.
2) Ogni Ebreo costituisce una componente particolare di un unico intero, che è l’anima di Adàm HaRishòn (Adamo, il primo uomo), che si frammentò in una moltitudine di anime particolari. Di conseguenza, ogni anima particolare comprende dentro di sé tutte le altre, e quindi, ogni Ebreo comprende, dentro di sé, il suo prossimo. Ancora di più: dal punto di vista della loro radice essenziale, tutte le anime costituiscono un’essenza unica. E quando un’essenza unica viene divisa in più parti, ognuna di esse comprende l’intera essenza. L’amore che si prova, quindi, per l’altro Ebreo, non è veramente amore per qualcun altro, ma è, di fatto, amore per se stessi.

3. Raggiungere l’ahavàt Israel
Solamente riconoscendo la supremazia dell’anima e la subordinazione del corpo, si può arrivare all’ahavàt Israel. Se una persona considera il proprio corpo come preminente e la propria anima come cosa secondaria, egli non può possedere, in alcun modo, un genuino ahavàt Israel; al massimo, un amore soggetto a condizioni. Dal punto di vista fisico, infatti, la persona ed il suo prossimo, dal momento che possiedono dei corpi distinti, sono, di fatto, esseri umani diversi e separati. Per questo, un amore essenziale fra di loro, non ha assolutamente nessuna possibilità di esistere. Solo colui che disprezza e disdegna il proprio corpo e che riconosce la supremazia della propria anima, può possedere un genuino ahavàt Israel, un amore essenziale ed incondizionato. Inoltre, anche quando un individuo considera la propria anima come preminente, egli può, tuttavia, non essere ancora in grado di sperimentare un amore essenziale, se avverte la propria esistenza, anche solo in senso spirituale, come distinta. Solamente quando l’intero ‘ego’ della persona è stato annullato, la qualità dell’essenza può essere rivelata, quell’essenza unica, che è comune a tutti gli Ebrei. Allora, in seguito al manifestarsi dell’essenza dell’anima, un amore essenziale può fiorire. Sebbene l’ahavàt Israel possa derivare solo dalla quintessenza dell’anima, come spiegato precedentemente, in ogni caso il servizio dell’ahavàt Israel della persona, che coltiva e dimostra questo amore, risveglia e rivela l’essenza della sua anima. Identificandosi con l’altro e uscendo dai limiti della propria individualità, l’essenza dell’anima si rivela.

4. Amore razionale
Amare ogni Ebreo con un amore essenziale, per il solo fatto che è Ebreo, non è tuttavia sufficiente. Riconoscendo le particolari virtù dell’altro, uno deve amarlo anche per motivi logici. Queste virtù cadono in una, di due categorie:

  1. Virtù nascoste, associate all’anima, poiché: a) “Chi può conoscere la grandezza e l’eccellenza della radice e della fonte dell’anima e dello spirito, che sono nel D-O vivente?” (Tanya, cap. 32)  b)  Anche se una persona considera se stesso una “testa” rispetto ai suoi amici, i suoi amici possederanno sempre una qualità, un aspetto di perfezione, che a lui manca. Per questo, la propria realizzazione ed il proprio perfezionamento si compiono attraverso i suoi amici. Come, infatti, anche la perfezione della “testa” viene raggiunta proprio grazie ai “piedi”, che sono essenziali per mettere in atto la sua volontà.
  2. Virtù evidenti, che si possono osservare in ogni Ebreo come, per esempio, l’amore per gli Ebrei semplici, proprio per la loro semplicità, poiché, nonostante la loro ignoranza, essi credono in D-O e nella Sua Torà, con cuore perfetto. Così per gli studiosi, che uno potrebbe amare per la loro grande erudizione. Infatti, nonostante essi siano molto istruiti nella Torà – cosa che prova, che la loro spinta naturale è superiore alla norma – essi sono ugualmente dei pii Ebrei (e ciò a parte la loro virtù innata, che si esprime nello studio della Torà.) Vi è sempre, insomma, una ragione, una virtù, per la quale amare ogni Ebreo. Infatti, se una persona non distingue una virtù nel suo compagno, che ispiri questo amore razionale, la mancanza non è nell’altro, ma in se stesso.

5. Senza limiti
L’amore per Israele deve essere senza limiti, e ciò deve evidenziarsi in tre aree. La prima, negli sforzi che uno fa per risvegliare questo amore, e nel suo fare del bene, in favore del prossimo. La seconda, in quelle cose attraverso le quali l’amore e la vicinanza vengono espressi. La terza,  rispetto alla persona amata (in modo che l’amore sia sentito, allo stesso livello, per ogni Ebreo)
1) Il risvegliare l’amore
L’ahavàt Israel richiede esercizio, bisogna impegnarsi in ciò, instancabilmente, utilizzando tutte le proprie risorse, in modo analogo all’uomo d’affari, che si butta nel proprio lavoro. Questo impegno deve esprimersi:

a)  nello stimolare l’amore, che la persona deve avere:

  1. risvegliando se stesso, continuamente, verso l’ahavàt Israel, sforzandosi, con tutto il suo cuore e la sua anima, di inculcare l’amore per il prossimo nel proprio cuore, guardando in modo positivo ogni Ebreo, chiunque esso sia, e riflettendo sulle sue virtù. In questo, consiste l’adempimento del precetto: “ama il tuo prossimo, come te stesso”. E se dovesse salire alla sua mente un pensiero negativo, riguardo al suo prossimo, egli dovrà scacciarlo, come se si trattasse di un pensiero, riguardante vera e propria idolatria. (In gravità, infatti, la maldicenza è allo stesso livello dell’idolatria, dei rapporti illeciti e dell’omicidio. Se così per la parola, quanto più per il pensiero, poiché il pensiero, come è noto, è molto più potente della parola, sia nei suoi effetti positivi, sia in quelli negativi.) Inoltre, il male che una persona vede nel suo compagno, può essere solo una proiezione del male che egli ha dentro di sé, per cui, uno deve, piuttosto, attribuire il difetto a se stesso.
  2. allargando la cerchia dei suoi amici più stretti e dei suoi compagni.
  3. raccontando storie ed aneddoti, che abbiano per tema buone qualità del carattere e l’ahavàt Israel, alla sua famiglia, nei momenti opportuni, come durante i pasti dello Shabàt e dei Giorni Festivi.

b)  nel fare un favore ad un altro, sia esso un favore materiale od uno spirituale. (Il grado di sforzo richiesto qui, è paragonabile a quello che caratterizza il servizio di uno schiavo, una persona, cioè, che sottomette se stessa al benessere dell’altro).
E quando viene a sapere, D-O non permetta, della sofferenza di un Ebreo, sia che si tratti di una sofferenza fisica o, quanto più ancora, nel caso di una sofferenza spirituale, una persona deve fare tutto ciò, che è nelle sue possibilità, per aiutarlo. Egli deve fare ciò, senza riserve (senza considerare, per esempio, se veramente egli deve sentirsi in obbligo di darsi da fare fino a quel punto). Egli deve fare così, anche se tutti i suoi sforzi sono di dubbio beneficio, anche se solo, forse, egli può aiutarlo. Tutto ciò, poiché la sofferenza dell’altro deve penetrarlo, fino nel più profondo della sua anima, e lì, nel profondo dell’anima, non vi è posto per nessuna considerazione. Invero, quando si tratta del dolore di un altro, ogni considerazione, persino il principio di : “la mente domina sul cuore”, deve essere negato. E non solo uno deve darsi da fare in tutti i modi per un altro Ebreo, ma egli deve anche essere pronto ad agire con auto-sacrificio (si trattasse anche di un Ebreo, che non ha mai visto), poiché l’ahavàt Israel è simile all’amore per D-O, e deve essere, perciò, un amore non solo “con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima,” ma anche con “tutte le tue forze,” e cioè, con auto-sacrificio. (Il significato di “con tutto il tuo cuore”, applicato all’ahavàt Israel è il seguente: quando due Ebrei si incontrano, salutandosi l’un l’altro con un shalom aleichem, essi devono sapere, che non si tratta  solo dell’incontro dei loro corpi fisici, ma anche dell’incontro delle loro Nefesh, Ruach, Neshama, Chaya e Yechida, e cioè di tutti i livelli della loro anima. Allora il loro shalom aleichem sarà ‘vivo’. E l’amore cui si riferiscono le parole “con tutte le tue forze” è il totale auto-sacrificio di un Ebreo verso l’altro.) Inoltre, l’ahavàt Israel deve essere espresso non solo facendo un favore al proprio compagno, ma anche comportandoci in un modo che procuri al nostro compagno di essere amato dagli altri, poiché l’amore cui si riferisce il verso “e tu amerai il tuo prossimo come te stesso” è paragonabile all’amore che è comandato dal verso “e tu amerai il Signore tuo D-O”. E così come l’ultimo verso comanda che “uno debba rendere caro il nome del Cielo agli altri,” così, anche il primo verso prescrive di rendere caro il proprio compagno agli altri.
 

2) Le cose attraverso le quali l’amore e la vicinanza vengono espressi
Le questioni che riguardano l’uomo sono di due tipi: quelle materiali, che riguardano il corpo fisico, e quelle spirituali, che riguardano l’anima. L’ahavàt Israel, un sentimento di affinità e di unità con l’altro, si deve esprimere in entrambe le aree. L’unità deve essere dimostrata nelle cose materiali (per esempio, una persona non deve temere che l’altro invada il suo territorio). Dato che “il suo corpo (deve essere considerato da lui) con disdegno e disprezzo” (Tanya, cap. 32), gli affari concernenti il corpo non rivestono importanza per lui. Allo stesso modo, l’unità deve essere dimostrata nelle questioni spirituali, che riguardano l’anima. Per esempio, non pensare che per la propria superiorità spirituale, non ci si debba accompagnare a quelli che si considerano inferiori, non alla pari.
Tutto ciò, poiché, a) “chi può conoscere la grandezza e l’eccellenza della radice e della fonte dell’anima e dello spirito, che sono nel D-O vivente?” (Tanya, cap. 32) È possibile, infatti, che, per quel che riguarda la radice dell’ anima, il proprio compagno sia, di fatto, superiore, b) “e per di più esse sono tutte di una stessa specie, poiché hanno un unico Padre” (Tanya, cap. 32), e, di conseguenza esse (le anime) sono, di fatto, “uno”.
Per questo, lo sforzo per il benessere dell’altro, deve esprimersi sia spiritualmente, sia materialmente. Può accadere che un’anima discenda in questo mondo per soggiornarvi 70 o 80 anni, al fine di fare una sola volta, un qualche favore ad un Ebreo, nel campo materiale, ed in particolare, in quello spirituale.

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Il fare un favore materiale ad una persona, oltre ad essere di per sé un’espressione dell’ahavàt Israel, aiuta la persona stessa ad avvicinarsi spiritualmente. Avendo ricevuto un favore, infatti, questa sarà consapevole della generosità materiale del suo benefattore, ed in questo caso, “un debitore non mostrerà una faccia di bronzo al suo creditore”.
Uno dei mezzi per avvicinare un Ebreo alla Torà ed alle mizvòt è quello di aiutarlo, anche materialmente, senza condizionare questo favore a questioni spirituali. Ugualmente, quando si deve ammonire il prossimo, dovesse trattarsi pure di questioni delle più gravi, bisogna prima fargli del bene, e solo allora l’ammonimento verrà accettato ed otterrà i risultati desiderati.
Ed anche se pretendiamo da noi stessi auto-sacrificio, quando si tratta di fare il possibile per avvicinare un altro all’Ebraismo, ciò riguarda solo noi stessi. Rispetto agli altri, è proibito usare mezzi, che siano opposti alle vie pacifiche, anche quando si trattasse di avvicinarli alla Torà ed alle mizvòt. Al contrario, bisogna cercare solo di contribuire al loro benessere, come è stato spiegato in precedenza.

  3) Il tipo di Ebreo che va amato – Tutti gli Ebrei sono uguali
Bisogna amare ogni Ebreo, senza eccezione, incluso chi non si è mai incontrato (poiché un amore essenziale si riferisce anche ad un perfetto sconosciuto), e colui con cui, in senso spirituale, si è completamente lontani. Non solo si deve avere ahavàt Israel per un semplice compagno; bisogna anche amare l’abietto peccatore, così come il giusto perfetto.
Dato che l’ahavàt Israel è un amore essenziale, non viene fatta distinzione fra giusti e malvagi. Quando una persona percepisce i propri difetti, l’amore che egli nutre per se stesso glieli nasconde, come è detto: “l’amore maschera ogni difetto”. La ragione di ciò, deriva dal fatto che l’amore proviene dal punto più profondo e centrale della sua anima, un livello nel quale le mancanze non hanno alcuna rilevanza. Così, anche per l’ahavàt Israel, ogni difetto altrui, anche quello dei malvagi, viene velato.
È questo il significato di quel che Hillel il Vecchio insegnò al convertito: “Ciò che tu detesti, non infliggerlo al tuo amico.” L’uomo, riguardo a sé, non riconosce la propria responsabilità (anche quando è consapevole delle proprie mancanze, egli le considera del tutto insignificanti; i suoi difetti vengono sommersi ed annullati dall’immenso amore, che li nasconde), ma, se un altro rileva i suoi difetti, ciò lo irrita molto. Osservando, quindi, il detto “…non infliggerlo al tuo amico”, l’uomo deve ignorare i difetti e le trasgressioni dell’altro, a causa del grande amore, che prova per lui.
Per questa ragione, il detto: “Si deve amare il malvagio completo, come il giusto perfetto,” non arriva ad esprimere nella sua pienezza la vera natura dell’ahavàt Israel. La frase “…il malvagio completo, come il giusto perfetto”, infatti, implica che vi siano dei gradi diversi, mentre, in verità, dal punto di vista dell’amore essenziale, la condizione spirituale dell’altro Ebreo è del tutto irrilevante, e non esiste alcuna differenziazione di gradi. I nostri Saggi hanno detto che, se si vede il proprio compagno peccare, vi è una mizvà, che ci comanda di odiarlo. La loro intenzione, comunque, è che ciò si applichi solo quando si tratti del proprio amico, compagno nello studio della Torà e nell’osservanza delle mizvòt, e solo dopo aver ottemperato al precetto che dice: ‘ammonisci il tuo prossimo’, e questi non abbia abbandonato il peccato. Se, invece, l’altro non è né un amico né un compagno, allora, al contrario, bisogna attrarlo, con forti lacci d’amore. Con un simile approccio, infatti, può esserci una possibilità di avvicinarlo alla Torà ed al servizio Divino.
L’obbligo di cercare di avvicinare un altro Ebreo al servizio Divino, riguarda ogni tipo di Ebreo. Esso riguarda anche quegli Ebrei, che possono essere metaforicamente paragonati ad una ‘landa desolata’, essendo essi completamente vuoti e privi di ogni qualità, sia riguardo lo studio della Torà, sia per ciò che concerne gli attributi di sapienza, buoni tratti del carattere, e, addirittura, un semplice comportamento civile, fino ad arrivare a coloro in cui non si riscontra più alcuna traccia di umanità. Questo, poiché anche riguardo alle ‘creature’, a coloro, cioè, che non possiedono virtù di sorta e che possono essere considerati solo in quanto semplici creature (la cui unica qualità, cioè, è quella di essere creature del Santo, benedetto Egli sia), ci è comandato: “Sii fra i discepoli di Aharòn… che ama le creature e le avvicina alla Torà.” Uno sforzo in questo senso, invero, dà risultati anche in rapporto a coloro che si dichiarano ‘non-credenti’. Non solo, “noi siamo garantiti da un patto, secondo il quale nessuno sforzo teso alla diffusione resterà mai privo di frutti.”
L’obbligo di avvicinare l’altro Ebreo al servizio Divino, si riferisce anche a quegli Ebrei, che si possono paragonare, metaforicamente, ad un oceano. Si tratta di quegli Ebrei, che si trovano al livello più elevato, riguardo le loro conoscenze, colmi fino all’orlo dell’acqua della Torà, ma, allo stesso modo, completamente carenti nel loro timore di D-O.
Anche costoro, devono essere avvicinati al servizio Divino, attraverso l’ahavàt Israel. Infatti, anche se lo studio della Torà non è riuscito a risvegliare in loro il timore di D-O, l’ahavàt Israel, che proviene dall’essenza dell’anima (di colui che mostrerà amore nei loro confronti), avrà la forza di risvegliare anche l’essenza della loro anima, stimolando, così, in loro il timore di D-O.
Ed anche se, dopo tutto, non si sarà riusciti ad avvicinare l’altro alla Torà ed alle mizvòt, in ogni caso non si è perduto il merito di aver seguito il precetto dell’amore per i propri simili. Inoltre, anche nei confronti di coloro che ci sono vicini e che sono stati da noi ripresi, ma non si sono, tuttavia, pentiti dei loro peccati, sicché ci è imposto di odiarli, rimane, pur tuttavia, il dovere di amarli, allo stesso tempo. L’odio, infatti, è rivolto solo verso il male, che c’è in loro, mentre per effetto del bene che è nascosto in loro (la scintilla Divina, cioè, che dà vita entro a loro, alla loro anima Divina), vi è un precetto, che ci impone di amarli. Bisogna anche ridestare la pietà per la loro anima Divina, che è relegata in esilio, dentro il male che c’è in loro, poiché la compassione annulla l’odio e risveglia l’amore. E non solo, addirittura gli eretici e gli atei Ebrei, dei quali il Re Davìd disse: “Io li odio di un odio assoluto” (poiché essi non hanno parte nel D-O d’Israele), anch’essi bisogna avvicinare. E ciò perché:

  1. Anche riguardo a queste persone, il verso dice: “Il peccato verrà reciso”, il peccato, ma non i peccatori. Di conseguenza, bisogna cercare di avvicinarle e di farle tornare al bene, cosicché venga reciso il peccato, e non i peccatori stessi.
  2. L’eresia odierna deriva, per la maggior parte, da una mancanza di conoscenza. Inoltre, la fede (come il suo contrario, il ripudio della fede) è, in definitiva, una questione che riguarda il cuore, e nessuno può sapere veramente, cosa ci sia nel cuore di un altro. Ed anche quando l’altro si comporta nelle parole e nei fatti in modo eretico (ed un tribunale Ebraico, in passato, avrebbe dovuto punire un simile comportamento, poiché “l’uomo vede coi suoi occhi”), è tuttavia ancora plausibile, che in fondo al cuore egli abbia fede. Alla luce di questa possibilità, quindi, si è obbligati, anche in questo caso, a “giudicare ogni persona favorevolmente”.

Per questo motivo, Rabbi Yosef Yizchak Schneersohn di Lubavich era solito avvicinare tutti gli Ebrei, anche quelli dei quali è detto: “li si butta giù e non li si tira su” (quando, secondo l’halachà, è un precetto uccidere o lasciare che un malvagio muoia, senza aiutarlo). Quando gli venne chiesto come egli potesse avvicinare simili persone, quando la legge stessa impone di “non aiutarli”, egli rispose:
“Il Shulchàn Arùch è composto di quattro parti. Choshen Mishpàt ne costituisce la quarta parte. In questo volume sono comprese più di 420 sezioni. I particolari delle leggi, che riguardano coloro che meritano un simile verdetto, si trovano nelle ultime sezioni di Choshen Mishpàt. Solo quando uno studierà ed applicherà tutte le leggi del Shulchàn Arùch, dall’inizio dell’Orach Chaim (il primo volume), fino a queste sezioni conclusive, egli potrà pensare di poter sentenziare su queste leggi.
Il significato di ciò è questo: se ci si comporta con un Ebreo in un modo che è all’opposto di un atteggiamento di benevolenza, pretendendo che sia la Torà stessa a decretare un simile comportamento, è possibile che (oltre ad aver, forse, interpretato la legge in modo errato) la motivazione che spinge a ciò sia, realmente, dettata da qualcos’altro. Forse si tratta dell’espressione di un cattivo temperamento, nonostante la spiegazione che ci si dà, che la propria condotta deriva dal proprio timore del Cielo. All’opposto, quando si fa un favore ad un altro Ebreo, non vi è alcun dubbio che con ciò si compie una mizvà.

6. Il rapporto con l’Ahavàt HaShem e l’Ahavàt HaTorà
L’amore per D-O, l’amore per la Torà e l’amore per l’altro Ebreo sono una cosa sola, come un’unica “essenza”. Per questo, in ognuno di essi sono compresi tutti e tre gli amori, poiché l’essenza, quando la si afferra in una sua parte, è come afferrarla per intero.
In questo senso, l’ahavàt Israel:

  1. È dimostrativo dell’ahavàt HaShem. La mancanza di amore per l’altro Ebreo denota una carenza anche nell’amore per D-O (che non si mantiene), poiché quando si ama il padre, si amano anche i suoi figli.
  2. Contiene (in se stesso  –  portando alla luce e chiarendo) l’amore per D-O, poiché l’Ebreo è “una parte stessa di D-O che è nei Cieli”, cosicché, quando si ama un altro Ebreo, che è una parte di D-O, si ama D-O stesso.
  3. Costituisce uno strumento per raggiungere l’amore per D-O. L’amore per D-O (e quello per la Torà) possono essere conseguiti per mezzo dell’ahavàt Israel (anche se esso è un precetto razionale, imposto dalla logica). Chi mette il suo sforzo nel servizio dell’ahavàt Israel, merita il raggiungimento di un livello più elevato di amore per D-O. Se si incontra qualcuno, che possiede solo l’amore per l’altro Ebreo, bisogna cercare di fare qualcosa per lui. Portarlo, cioè (a) anche all’ahavàt HaShem e all’ahavàt HaTorà, cosicchè (b) il suo amore per l’altro Ebreo si esprima, non solo dando da mangiare agli affamati ed acqua agli assetati, ma anche avvicinando altri Ebrei all’amore per la Torà ed all’amore per D-O, come qualcosa che scaturisca dal suo ahavàt Israel.

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Di questi tre amori, l’ahavàt Israel li supera tutti, poiché tutti gli altri si trovano compresi in esso. Quando vi è ahavàt Israel, infatti, è ovvio che vi sia anche amore per la Torà e amore per D-O (mentre, invece, l’amore per D-O, non porta necessariamente all’amore per la Torà, né l’amore per la Torà all’ahavàt Israel). Che l’ahavàt Israel superi l’amore per D-O, lo si può facilmente dedurre dal verso che dice: “Io vi ho amati, disse il Signore.” L’ahavàt Israel è, infatti, preminente, dato che amando un altro Ebreo, si ama colui, che il proprio amato ama. L’ordine, nel servizio che riguarda questi tre tipi di amore, è: ahavàt Israel, amore per la Torà e amore per D-O. Questi tre tipi d’amore corrispondono ai tre pilastri sui quali il mondo poggia: la Torà, la preghiera e gli atti di bontà. L’ahavàt Israel corrisponde agli atti di bontà, l’amore per la Torà, alla Torà e l’amore per D-O, alla preghiera.

7. Gli influssi e le influenze che l’ahavàt Israel fa discendere dall’Alto
Diversi sono i modi in cui l’influenza che deriva dall’Alto si manifesta, grazie all’ahavàt Israel:

  1. Essa influenza il flusso e l’unione della luce dell’Ein-Sof, dell’Infinito, benedetto Egli sia, con il popolo d’Israele. Solo quando gli Ebrei sono in uno stato di ‘unione’, quando essi si fondono fino a formare una singola entità, l’Unità di D-O si posa su di loro. Non è questo il caso, invece, quando vi è divisione, che il Cielo non permetta. (Quando, cioè, le persone creano una separazione, che li divide uno dall’altro, affermando ognuno: “Ciò che è mio, è mio…” Quando, infatti, essi si pongono in una condizione di ‘molteplicità’, l’Unità di D-O non si posa su di essi.) Il popolo d’Israele viene, allora, ad essere separato da D-O, poiché “il Santo, benedetto Egli sia, non risiede in un luogo imperfetto”.
  2. Il Santo, benedetto Egli sia, non vede i ‘debiti’ del popolo d’Israele. Nonostante le sue mancanze non Gli siano certo celate, il Cielo non permetta, esse appaiono del tutto insignificanti, come dice il verso: “In Yacov non vide il torto” (Bemidbàr 23:21). Questo, poiché attraverso l’ahavàt Israel, D-O si unisce al popolo Ebraico, divenendo uno solo con esso, come è stato spiegato precedentemente. Unito in questo modo, l’“Uomo (Superno) non nota mancanze in se stesso.” Al contrario, invece, quando vi è odio per l’altro Ebreo, D-O è allora separato dal popolo d’Israele, come è stato spiegato precedentemente. In quel caso, D-O tiene conto delle mancanze del popolo Ebraico, in generale, e di colui che ha espresso odio, in particolare, poiché sarà stato lui a provocare la separazione.
  3. D-O esaudisce le preghiere del popolo d’Israele, poiché essi sono i Suoi figli. Quando un padre vede i propri figli comportarsi con amore reciproco, pace ed armonia, ognuno preoccupato per il benessere dell’altro, come se si trattasse del proprio, fino a trovare chi trascuri i propri bisogni per rispondere a quelli dell’altro, il padre si riempie allora di felicità e di piacere per il comportamento dei propri figli e fa di tutto per accontentare le loro richieste.

Per questo:
a) Le benedizioni con cui un Ebreo benedice il suo compagno risvegliano la misericordia Divina, in modo molto più efficace di quanto non lo facciano le buone raccomandazioni dell’angelo Michaèl (l’angelo della Misericordia).
b) Il sospiro di un Ebreo per le disgrazie del suo compagno rompono le barriere di ferro erette da qualsiasi accusatore (celeste), mentre la gioia dell’Ebreo per gli avvenimenti felici del compagno e la sua benedizione vengono accolte da D-O come le preghiere di R. Yochanàn, il Sommo Sacerdote, nel Santo dei Santi.

  1. La benevolenza emanata dall’Alto è fortemente influenzata dall’adempimento del precetto dell’ahavàt Israel. Quando si ama l’altro Ebreo, si è amati da D-O; quando si fa del bene ad un altro, si riceve del bene da D-O; e quando si avvicina un altro Ebreo, si è avvicinati da D-O. Come ricompensa per la benevolenza che si mostra (anche in questioni materiali) verso ogni Ebreo – di cui è detto: “Io vi ho sempre amati, dice il Signore”, indicando con ciò che l’amore di D-O per ogni Ebreo è paragonabile all’amore dei genitori verso un figlio unico – D-O ripaga tante volte di più.
  2. Attraverso la disponibilità a sacrificarsi per l’ahavàt Israel, si merita la rivelazione della dimensione dell’anima, chiamata Mah (l’aspetto più spirituale). L’ahavàt Israel è in grado di rivelare questo livello in modo più efficace di quanto non faccia la comprensione più profonda del Divino ed il servizio Divino stesso. Coloro che mancano di ahavàt Israel, infatti, possono perdere, che D-O non permetta, il Mah che è in loro, mentre coloro che si dedicano all’ahavàt Israel con auto-sacrificio possono essere sicuri del mantenimento del loro stato spirituale. Non solo, essi riportano ai loro possessori anche ciò che è stato da loro perduto, in senso spirituale.
  3. L’ahavàt Israel porterà alla redenzione futura, dal momento che essa si contrappone all’odio immotivato (sinàt chinàm) che fu causa dell’esilio. È quindi attraverso l’ahavàt Israel, un amore incondizionato (ahavàtchinàm), un amore anche per coloro presso i quali non si trova alcuna virtù e anche per coloro che sono “liberi dalle mizvòt” (l’opposto, quindi, dell’odio immotivato), che verrà la Redenzione.

8. La base di tutta la Torà
L’ahavàt Israel è la base di tutta la Torà, e ne è il suo principio fondamentale. Per questo, non bisogna essere facilitanti, che il Cielo non permetta, nell’osservanza di questo precetto, poiché ciò aprirebbe la porta ad un lassismo, che D-O non permetta, rispetto all’osservanza di tutti i precetti. Al contrario, dagli altri precetti si può dedurre a fortiori che l’ahavàt Israel deve essere osservato con ancora più vigore. Ed invero, il primo precetto della Torà, prolificate e moltiplicatevi, è il precetto dell’ahavàt Israel, che comanda ad ogni Ebreo di cercare di creare un altro Ebreo.
E le ragioni di ciò sono queste:

  1. Il fondamento e la radice di tutta la Torà è far crescere ed elevare l’anima al di sopra del corpo, un concetto che trova espressione nell’ahavàt Israel. (Come spiegato in precedenza, nel terzo capitolo, l’ahàvàt Israel genuino è possibile solo quando una persona considera la propria anima come predominante, ed il corpo come subordinato.)
  2. Il fondamento e la radice di tutta la Torà è attrarre la luce del benedetto Ein- Sof (Infinito) sul popolo d’Israele (l’unione del Santo, benedetto Egli sia, e della Sua Presenza (Shechinà). Questa unione può essere compiuta attraverso l’ahavàt Israel (come spiegato in precedenza, nel settimo capitolo).
  3. Il fondamento della Torà si identifica con il ‘Mondo della restaurazione’ (Olàm haTikun), che è caratterizzato dalla qualità della mutua inclusione, concetto sul quale si fonda anche l’ahavàt Israel (ognuno deve vedere, cioè, se stesso incluso nell’altro). Per questo, il detto: “Ama il tuo prossimo come te stesso”, il riconoscere, cioè, che ognuno è compreso nell’altro (il concetto della mutua inclusione, che caratterizza il Tikun, il fondamento della Torà), si conclude con: “e questa è tutta la Torà”.

Ed è questo il significato di ciò che i nostri Saggi hanno detto: “Questa è l’intera Torà, il resto non è che commento”, poiché:

  1. Tutto lo scopo dei precetti è che la persona raggiunga questo livello – un livello al quale egli non è più legato alle cose di questo mondo, un livello nel quale la sua unica ambizione è la benedetta Unità Divina. Ed è proprio questa la prospettiva spirituale, che il precetto dell’ahavàt Israel richiede, come spiegato in precedenza.
  2. L’essenza dell’unificazione di D-O e della Shechinà viene raggiunta tramite l’ahavàt Israel, come spiegato prima. Tutti gli altri precetti non sono altro che un ‘commento’, che viene a spiegare l’unità, come portare a questa unificazione. Ogni precetto, infatti, costituisce un modo differente di attuare questa unione.
  3. Attraverso l’ahavàt Israel si compie in generale l’unificazione e la mutua inclusione del Tikun. Gli altri precetti costituiscono le unificazioni  particolari del Tikun.

9. Un Principio fondamentale della Chassidùt in particolare
L’ahavàt Israel è uno dei principi fondamentali della Chassidùt. (Nel Tanya, la “Torà scritta” della Chassidùt Chabad, in ogni sua parte, risulta evidente la grandezza dell’ahavàt Israel dell’Admòr Hazakèn, il suo autore. Inoltre, un’intero capitolo del Tanya è dedicato a questo soggetto: il capitolo 32 (lev – cuore), che indica come esso sia il cuore di tutta l’opera.) Per questo, un chassìd è colui che si dedica a perseguire il benessere dell’altro. Egli tralascia volentieri il proprio vantaggio in favore di quello del prossimo, e fa ciò, anche nel caso in cui il proprio vantaggio sarebbe certo, mentre quello dell’altro, solo probabile. Ecco un esempio dell’importanza che la Chassidùt dà all’ahavàt Israel: al tempo dell’Admòr HaZakèn, l’amore fra i chassidìm superava quello fra fratelli, e ciò, al punto che gli esterni spesso esprimevano il loro sincero desiderio, che potesse esservi fra fratelli lo stesso amore che essi vedevano presso i chassidìm. Nonostante ciò, l’Admòr HaZakèn diceva che l’amore di questi chassidìm non raggiungeva assolutamente l’ahavàt Israel voluta dal Baal Shem Tov. In vista di ciò che essi richiedevano, da coloro che avrebbero seguito il loro esempio riguardo l’ahavàt Israel, i Rebbeìm resero noti alcuni episodi relativi alla loro condotta in questo campo, al fine di facilitare l’esaudimento delle loro aspettative.

* * *

Nella Chassidùt stessa, vi è differenza fra l’ahavàt Israel secondo l’insegnamento del Baal Shem Tov, del Magghìd di Mezhrich e dell’Admòr HaZakèn (e i suoi successori). Il Baal Shem Tov rivelò il collegamento fra l’amore per D-O, l’amore per la Torà e l’ahavàt Israel. Il Magghìd rivelò come afferrare il significato del collegamento fra questi tre amori. Egli fece ciò, fornendo una profonda spiegazione di questi tre tipi d’amore, tramite il loro riferimento al verso “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue facoltà”. L’Admòr HaZakèn rivelò per quale via ognuno può, deve ed è obbligato a mettere in atto questi tre amori. Egli affermò che l’ahavàt Israel è la ‘Porta Superiore’ sulla quale è scritto a chiare lettere: “Questa è la porta d’ingresso per l’Alto”. Perciò, nonostante l’ahavàt Israel si trovi presso ogni Ebreo, ed in particolare tra quelli che appartengono alle comunità chassìdiche, l’ahavàt Israel dei chassidìm Chabad non è paragonabile a nessun’altra.

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Alcune delle ragioni per cui l’avahàt Israel ha una connessione ed un’appartenenza stretta alla Chassidùt:
1) Fare del bene al prossimo, per quel che riguarda le cose materiali, esprime l’unione di ‘materialità’ e ‘spiritualità’ (il benessere ‘materiale’ dell’altro, infatti, viene ad essere, per chi fa l’atto di bene, un fatto ‘spirituale’). Si tratta, quindi, di un’espressione dell’unità Divina stessa, che costituisce uno dei temi fondamentali della Chassidùt.
2)  L’ahavàt Israel porta la redenzione futura, così come la Chassidùt, che, (secondo la famosa risposta che Moshiach stesso dette al Baal Shem Tov, che gli chiedeva quando si sarebbe rivelato: “quando le tue sorgenti (l’insegnamento della Chassidùt) saranno diffuse all’esterno”) è una preparazione per l’arrivo di Moshiach.

10. Una preparazione al Matàn Torà
La preparazione al Matàn Torà fu: “E si accampò (al singolare) lì Israele – come un sol’uomo, con un unico cuore” (secondo il commento di Rashi, Shemòt 19;2).
I motivi di ciò:

  1. L’ahavàt Israel risveglia l’essenza dell’anima (come è spiegato alla fine del terzo paragrafo), ed il Matàn Torà, che proviene dall’Essenza Stessa dell’Infinito, sia Egli Benedetto, è diretto all’Essenza dell’anima.
  2. L’intera Torà fu data per promuovere la pace nel mondo, per cui anche la preparazione che permette di ricevere il Matàn Torà, passa attraverso la pace e l’unità.

11. Una preparazione alla preghiera
“È appropriato dire, prima di pregare: Io prendo su di me il precetto positivo – Ama il tuo prossimo come te stesso.” Questa accettazione, con la quale si include se stessi nella preghiera di tutto Israele, come un tutt’unico, rappresenta il punto essenziale della preghiera in pubblico. Ed ecco alcuni punti che aiutano a comprendere il collegamento fra l’accettazione del precetto dell’ahavàt Israel e la preghiera:

  1. L’ahavàt Israel è la porta d’ingresso attraverso la quale l’uomo può presentarsi a D-O per pregare.
  2.  Esso serve come preparazione alla purificazione ed al sacrificio dell’anima animale, durante la preghiera. “Ama il tuo prossimo come te stesso” richiede, infatti, che il Tohu sia purificato così da potersi relazionare al livello del Tikun. Tohu e Tikun, infatti, sono descritti come “amici”.  Accettando il precetto di amare il prossimo come se stessi, che comporta la purificazione del Tohu (l’origine dell’anima animale), viene data all’anima animale la possibilità di essere purificata e di elevarsi attraverso la preghiera. Nell’offerta dei sacrifici, era necessario che l’uomo (adam, che ha il valore numerico di 45) imponesse le sue mani sull’animale (behema, che ha il valore numerico di 52), prima di sacrificarlo. Con ciò, egli conferiva all’animale la possibilità di elevarsi attraverso il sacrificio. Allo stesso modo, prima dell’offerta dell’anima animale, prima della preghiera (le preghiere sono state istituite in corrispondenza dei sacrifici quotidiani), bisogna che venga data all’anima animale la possibilità di essere elevata. Ciò avviene tramite l’accettazione del precetto dell’ahavàt Israel.
  3. Esso (l’ahavàt Israel) prepara la persona all’elevazione che avviene durante la preghiera. Infatti:

(a) In ogni anima sono comprese anche le altre anime (come è stato spiegato nel capitolo 2). Quando, quindi, una persona prende in odio un altro Ebreo, egli separa dalla sua anima la parte dell’anima dell’altro, che è compresa nella sua. La conseguenza di ciò, è una sua condizione di difetto, venendogli a mancare quella parte, e ciò non gli permette di ascendere (spiritualmente attraverso la preghiera) per trovare grazia di fronte a D-O. La luce del benedetto Ein-Sof, infatti, comprende tutti, e non può, quindi, tollerare una persona che sia mancante, cui manchi, cioè, una parte del suo prossimo. Ed è solo attraverso l’ahavàt Israel, quando la sua anima è completa e sana, trovandosi incluse in essa tutte le altre anime, che la persona può ascendere e trovare favore davanti a D-O, Che comprende in Sé tutti.
(b) Il servizio della preghiera è l’elevazione della persona ed il compimento di ciò che comporta il precetto della lettura dello Shemà, e cioè l’amore per D-O. E l’ahavàt Israel è il mezzo per raggiungere l’amore per D-O (come è stato spiegato nel cap. 6).
(c) Nell’ascesa che comporta la preghiera, la persona che prega deve elevare anche i livelli più inferiori, che si trovano fuori di lui, e se non fa ascendere quei livelli, mancherà qualcosa anche nella sua stessa elevazione. Per questo, prima della preghiera, una persona deve unirsi a tutto il popolo d’Israele, anche a coloro che sono al livello più infimo e basso, che vivono al lato opposto del mondo e che egli non ha mai visto e che non hanno in sè alcun valore.

  1. L’ahavàt Israel è una preparazione che consente di attrarre e di recepire le rivelazioni dell’Alto, che emergono durante la preghiera. Quando, infatti, una persona fa del bene ad un altro Ebreo con amore: (1) si aprono davanti a lui le porte delle ‘Stanze Celesti’ (viene fatta, cioè, discendere dall’Alto la bontà Divina); (2) la sua mente ed il suo cuore divengono capaci di recepire le rivelazioni.
  2. L’ahavàt Israel fa sì che la propria preghiera si mantenga salda, senza cadute. Quando ci si isola, infatti, ed il proprio servizio segue un’unica linea, può accadere che da esso attingano le forze dell’impurità. Solo quando ci si fonde con tutto il popolo d’Israele, il proprio servizio può godere di una forza che si mantiene (senza che da esso attingano le forze dell’impurità).
  3. L’ahavàt Israel è una preparazione che porta all’esaudimento delle nostre richieste, durante la preghiera. L’ahavàt Israel, infatti, procura soddisfazione in Alto, ed a causa di questa soddisfazione, D-O esaudisce le richieste di colui che prega (come è stato spiegato nel cap. 7).

12. Una preparazione per la costruzione del Mishkàn
La preparazione alla costruzione del Mishkàn fu l’ahavàt Israel: un’unione tale da portare i Figli d’Israele ad essere un’entità unica. Per questo, (1) fu necessario ‘radunare’ il popolo Ebraico, come dice il verso: “Moshè fece riunire l’intera adunanza dei Figli d’Israele” (Shemòt 35,1) (per trasmettere loro l’ordine di D-O riguardo al loro contributo alla costruzione del Mishkàn). Essi dovettero divenire una ‘comunità’ unica. (2) La costruzione del Mishkàn dovette essere attuata a opera di Bezalel, della tribù di Yehudà, e di Aholiàv, della tribù di Dan, dai rappresentanti, cioè, della tribù più nobile e di quella più umile. La ragione di ciò: 1) L’ordine “Essi erigeranno per Me un santuario” fu perché potesse realizzarsi “ed Io dimorerò in mezzo a loro”, un’attrazione qui, in basso, dell’Essenza Divina, della Sua semplice Unità, una discesa ed una  rivelazione che è resa possibile dal fatto che “Moshè fece riunire”, dall’ahavàt Israel e dall’unione del popolo Ebraico in un’unica entità, sotto tutti gli aspetti, sia quelli materiali, sia quelli spirituali. 2) Lo scopo della costruzione del Mishkàn fu quello di elevare cose basse e materiali, rendendole strumenti per il Divino. Per questo, il Mishkàn fu costruito con sostanze materiali, come oro e argento, ecc. (a somiglianza della preghiera, che ha il compito di elevare anche ciò che vi è di più inferiore, come è stato detto nel cap. 11). Per questo, fu necessaria la partecipazione della più umile delle tribù alla costruzione del Mishkàn (così come, prima della preghiera, la persona deve includere se stessa in un tutt’unico, comprendente anche i membri più inferiori del popolo Ebraico, in modo da elevarli con la propria preghiera.)

(Tradotto dal KuntresAhavàt Israel‘, Sefer HaArachim – Chabad, Mizvàt Ahavàt Israel)

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