La via per la libertà Pubblicato il 21 Gennaio, 2016

Il nostro uscire dall'Egitto, oggi, è l'uscire dalla volontà ristretta e condizionata della nostra personalità, dalle nostre abitudini, che ci imprigionano, per andare verso la vera libertà, la Volontà di HaShem.    


    L’uscita dall’Egitto, vede il Popolo d’Israele passare da una condizione di schiavitù ad una direzione, che doveva portarlo verso la libertà. E’ detto che ogni Ebreo deve sentire l’uscita dall’Egitto come un fatto, che lo riguarda personalmente, ogni giorno della sua vita. Cosa vuol dire per noi, oggi, uscire dall’Egitto? Qual è la nostra direzione verso la libertà? La meta finale che il Popolo d’Israele doveva raggiungere allora, era la Terra d’Israele, la Terra che HaShem aveva promesso ai nostri padri. E’ detto che la Terra d’Israele, fu chiamata così, Erez Israel, per il significato che la parola Erez prende dalla parola razòn (volontà): “Perché venne chiamata Erez? Perché volle fare la volontà del suo Creatore” (“Lama nikrà shmà Erezshe raztà lassòt razòn Konà.”) (Bereshìt Rabà 5;8). Erez Israel, la Terra dove il Popolo d’Israele avrebbe messo in pratica la Volontà di HaShem, attraverso la Torà e le mizvòt, che stava andando a ricevere sul monte Sinài. Quello che, invece, esso si lasciava alle spalle, era l’opposto della Volontà di D-O. Mizràim (Egitto), infatti, dal significato di ristrettezza, limite (meizarìm), rappresentava la schiavitù alla quale il Popolo d’Israele era assoggettato, ciò che si ergeva contro la Volontà di HaShem.

       Il nostro uscire oggi dall’Egitto, cosa di cui abbiamo l’obbligo ogni giorno della nostra vita, è l’uscire dalla nostra volontà, dalla volontà della nostra personalità, dalle nostre abitudini, che ci imprigionano, per andare verso la vera libertà, la Volontà di HaShem. Il concetto di libertà genera spesso molta confusione. E’ normale infatti pensare, che fare ciò che si ha voglia, o ciò che si crede giusto, sia libertà. Di fatto noi non scegliamo e non decidiamo niente. Le nostre voglie ed i nostri ‘credo’, sono frutto sia di mutevoli influenze esteriori, sia di impellenti desideri interiori, ai quali, in genere, siamo completamente assoggettati. Questo è esattamente ciò che si chiama schiavitù. La nostra personalità, modellata dall’educazione, dalla moda, dalle tendenze del momento, viene presa da noi come il nostro vero ‘io’, mentre la nostra essenza, la nostra anima, che anela solo a fare la Volontà di HaShem, in quanto essa stessa è una parte di HaShem ed ha quindi la Sua stessa volontà, rimane nascosta. Rivelare questa parte celata, è ciò che permette veramente di andare verso la libertà.

       Gli Ebrei che uscirono dall’Egitto, lo fecero in fretta e furia, come se scappassero da qualcosa. Eppure era il faraone stesso, che adesso li pregava di andarsene e nessuno li avrebbe fermati. Perché tanta fretta? E’ detto che il Popolo d’Israele aveva raggiunto in Egitto il massimo grado di impurità, dopo il quale non ci sarebbe stato per esso più nessuna possibilità di salvezza. Da questo essi scappavano, un’azione indispensabile nel Servizio di HaShem, che si chiama sur me rà (allontanati dal male). Ma il male era ancora dietro di loro, pronto ad inseguirli. La vera liberazione da esso, doveva passare attraverso uno stadio ulteriore del Servizio di D-O, che è rappresentato dal passaggio del mar Rosso.

        L’apertura del mare ha un significato di capovolgimento della realtà: quello che fino ad allora era coperto e nascosto, diventava scoperto e rivelato, mentre ciò che prima copriva e nascondeva, non disturbava più la vista, ed anzi, rivelava. A livello del Servizio di D-O di ciascuno di noi, oggi, il rivelare ciò che è nascosto, la nostra essenza più vera e profonda, la nostra anima, la parte Divina che conteniamo e che ci da esistenza, rappresenta per noi l’atto del passaggio del mar Rosso. Come arrivare a questo stadio? Come essere pronti a questo lavoro? Il mare che si aprì, per far passare i Figli d’Israele, formò, con le sue acque un muro alla loro destra ed alla loro sinistra. La Torà descrive questo fenomeno, che si ripete per due volte. Il Rebbe, a questo proposito, chiede perché HaShem abbia compiuto il miracolo sotto questa forma. Avrebbe potuto, infatti, asciugare il mare e basta, o fermare gli Egiziani in altri modi, che altrettanto avrebbero dimostrato la Sua mano potente. E’ evidente che il muro, che si formò alla loro destra ed alla loro sinistra, aveva un significato ed uno scopo. HaShem, infatti, non fa mai niente per caso.

       Un Midràsh, che descrive questo avvenimento, chiede cosa abbia permesso agli Ebrei di meritare, che le acque si aprissero per loro, con un muro alla loro destra ed alla loro sinistra. La risposta è: quello di destra fu per merito della Torà, e quello di sinistra della Tefillà (preghiera). Nel Servizio di D-O vi sono due linee di lavoro, due direzioni: quella della destra, che rappresenta la Torà e la qualità di Chèssed (bontà) e quella di sinistra, che rappresenta la Tefillà e la qualità di Ghevurà (rigore). In forma naturale, però, ognuno di noi nasce con una sola di queste tendenze sviluppata come tratto fondamentale del carattere. C’è chi infatti ha una natura, che lo porta ad essere generoso, aperto, cordiale, desideroso di aiutare chiunque, e chi, invece, ha una natura più rigida, fredda, calcolatrice, chiusa. Avraham Avìnu, che era solo e tutto bontà, superò con successo dieci difficilissime prove che D-O gli mandò, eppure, solo riguardo all’ultima, in cui egli si dimostrò pronto a sacrificare il suo figlio tanto amato, senza fare domande, al solo ordine di HaShem, con la gioia di servirLo, D-O riconobbe che veramente egli Lo temeva. Cosa vuol dire? Le altre nove prove, allora, non avevano dimostrato niente? Di fatto, con il legamento di Isacco, Avraham Avìnu si trovò ad agire secondo Ghevurà (rigore, severità), qualità che era completamente opposta alla sua natura, e che tuttavia mise in atto con lo stesso entusiasmo, con il quale di solito compiva i suoi atti di bontà. Qui c’è tutto il segreto del Servizio di D-O, che porta alla libertà, alla Gheulà. Quando l’Ebreo agisce secondo una sola direzione, andando cioè solo secondo la propria natura, egli resta imprigionato dai limiti stessi della natura. Quando, invece, egli riesce ad agire secondo entrambi le direzioni, facendo ciò che di solito gli è più difficile e non congeniale, e per giunta con lo stesso entusiasmo, egli dimostra di non essere più limitato dalla natura e scopre la sua essenza, che è sopranaturale, Divina, e che quindi non ha limiti, come D-O è illimitato.

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