Una mizvà che salva la vita Pubblicato il 28 Settembre, 2018

Pur essendo in piena guerra, anche quell'anno Succòt era arrivato.“Chag sameach (‘festa gioiosa’)”, disse quel soldato, rivolgendosi al comandante del carro. Il comandante guardò quello strano soldato religioso e disse: “Festa cosa?”...   

Yom Kippùr dell’anno 1973, rav Mejr Freiman, un giovane abitante di Kfàr Chabad, venne raccolto da un veicolo militare, mentre sedeva in preghiera nella sinagoga. L’improvvisa mobilitazione aveva bisogno di tutti gli uomini disponibili. Poche ore dopo, Mejr si ritrovò al volante di un carro armato, diretto al fronte di battaglia, nel sud. Fu dura: molte perdite, tanti amici caduti… Il primo giorno di guerra fu un incubo. Il morale era basso, ma quando arrivò Succòt, il solo pensiero di rav Mejr fu: come procurarsi i ‘dalet minim’ (le ‘quattro specie’ con le quali si compie la benedizione del ‘lulàv’ nella festa di Succòt). “Dobbiamo procurarci un lulàv (ramo di palma) ed un etròg (cedro)” egli disse, ai suoi compagni attoniti. Per il primo giorno della festa, non vi fu alcun modo di procurarsi il necessario, ma il secondo giorno, le ‘quattro specie’ arrivarono al fronte. Egli balzò, allora, fuori dal carro e le afferrò, emozionato, recitando le due benedizioni con la più grande devozione. In particolare, le parole della benedizione che ringraziano D-O per averci permesso di arrivare fino a questo tempo, presero in quell’occasione una connotazione del tutto speciale. Mejr fu fra le forze corazzate che oltrepassarono il Canale di Suez. Ora esse erano accampate di fronte alla città di Ismailia, esposte al bombardamento degli Egiziani. Negli intervalli fra i bombardamenti, i pensieri di Mejr andavano alla sua casa ed alla sua famiglia. Mejr pensò anche alla mizvà della succà, che non avrebbe potuto osservare quell’anno.

    Dopo aver recitato la benedizione sul lulàv, l’abitudine di Mejr come chassìd Chabad, di impegnarsi nelle campagne che il Rebbe ha lanciato, allo scopo di offrire l’opportunità ad altri Ebrei di compiere una mizvà, si risvegliò in lui. Egli propose quindi al resto dell’equipaggio del suo carro di recitare anch’essi la benedizione. I suoi compagni lo conoscevano ormai, ed erano abituati al suo stile, per cui accettarono di buon grado. Mejr decise a quel punto di estendere anche ad altri soldati la sua proposta. Lasciò quindi i ‘dalet minim’ nel suo carro, e si diresse a quello vicino, che era parcheggiato a duecento metri di distanza. “Chag sameach (‘festa gioiosa’)”, disse, rivolgendosi al comandante del carro. Il comandante guardò quello strano soldato religioso e disse: “Festa cosa?” Mejr sapeva che il comandante veniva da un kibbùz estremamente anti-religioso del Shomer HaZaìr. Conosceva anche le sue vedute che, per la maggior parte, erano in contrasto con l’Ebraismo. “Chag sameach”, ripetè. “Oggi è Succòt, e abbiamo appena ricevuto un lulàv ed un etròg. “Venga, lei coi suoi uomini, a dire le benedizioni su di essi.”

     Il comandante del carro non si dimostrò con lui come avrebbe fatto, se lo avesse incontrato in altre circostanze. Dopotutto erano compagni d’armi ed era più difficile opporre un rifiuto, anche se la ‘resa’ non fu né facile né immediata.”Cosa vieni a parlarmi di mizvòt? Non vedi cosa succede qui? Quale festa e quali mizvòt? Mentre stai qui a parlare con me, potrebbero ucciderti! Lascia perdere, non è proprio il momento.” Mejr solo sorrise e disse: “Venga, le dico, e chiami anche gli altri. Non sia così negativo. Dopotutto, oggi è Succòt…” Dopo ancora un po’ di tira e molla, il comandante acconsentì alla richiesta. Egli chiamò anche gli altri membri dell’equipaggio del carro e, tutti insieme, si diressero verso il carro di Mejr. Il comandante fu il primo a recitare la benedizione. Aveva appena preso in mano il lulàv, quando, nelle immediate vicinanze, si sentì il boato di un’esplosione. I soldati che si erano raggruppati intorno a Mejr, non potevano credere ai loro occhi. Una colonna di fumo si levava dal loro carro, che era stato colpito da un attacco diretto. Tutti loro erano stati seduti lì dentro, non più di pochi minuti prima! Il carro era stato inghiottito dalle fiamme, e da dentro si poteva sentire il suono delle munizioni che esplodevano. Il primo a riprendersi dallo shock fu il comandante. “Grazie a te! Grazie al tuo lulàv!” egli gridò e si buttò su Mejr abbracciandolo. Dopo essersi un po’ calmati, il comandante disse a Mejr che, fino al termine della festa, egli avrebbe conservato l’etròg in tasca. Sarebbe stato il suo portafortuna. “Mi ha salvato la vita. Chiunque vorrà dire la benedizione, lo dovrà prendere in prestito da me.”

    Lo Shabàt di Chol HaMoed (Mezza Festa), trovò Mejr ed i suoi compagni trincerati in rifugi che avevano scavato nella sabbia. Mejr era riuscito a tener da parte un po’ di vino per il Kiddùsh. La sera del Venerdì, durante uno dei momenti di tregua, egli propose di uscire dal rifugio “per sgranchirsi un po’ le gambe e fare il Kiddùsh”. Ad alcuni degli uomini l’idea piacque e, nonostante il pericolo che ciò comportava, uscirono da lì. Gli altri, che si sentivano molto giù, si rifiutarono di uscire. Dopo un po’di preghiere, comunque, si decisero anche loro e vennero fuori a sentire il Kiddùsh. Si avvicinarono al carro più vicino, che servì loro come tavolo. Mejr vi mise sopra il bicchiere, versò il vino, sollevò il bicchiere ed iniziò a recitare il Kiddùsh. Quando finì la benedizione ed i presenti risposero ‘amèn’, l’area venne scossa dalla violenza di un’esplosione. Questa volta era molto vicina. Ancora una volta si trattava dell’attacco diretto di una granata egiziana. Era caduta proprio nel rifugio che avevano appena lasciato! “Ci hai salvato la vita! Due volte!” esclamarono i soldati. Mejr sorrise. “Non sono stato io. È la mizvà!” egli disse, con modestia.

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