Tenersi pronti Pubblicato il 17 Marzo, 2023

Il 'sacrificio pasquale' ci insegna come dobbiamo comportarci, per essere pronti ad uscire nella Gheulà, subito!  

 

 Nello Shabàt che precede Rosh Chòdesh (Capo Mese) Nissàn, viene letta una parashà particolare: Parashàt haChòdesh, che comprende versi che compaiono nella parashà Bo. “Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi”(1) si riferisce al mese di Nissàn ed è uno dei due temi principali, che compaiono nella parashà. Il secondo riguarda il Korbàn Pèsach (sacrificio pasquale), ed i particolari delle leggi che lo riguardano: “Ciascuno prenderà un agnello per la sua famiglia…”(2). Entrambi questi argomenti hanno uno stretto legame con la Gheulà.

    Per quel che riguarda Rosh Chòdesh Nissàn, infatti, il Midràsh dice: “Questo mese per voi …creando il mondo, il Signore Benedetto ha fissato Capo Mesi ed Anni; scegliendo Yacov ed i suoi figli, ha fissato loro il Capo Mese (del mese) della Gheulà, in cui furono redenti dall’Egitto ed in cui saranno redenti in futuro.”(3). 

   Anche il Korbàn Pèsach è strettamente legato alla liberazione dall’Egitto. Il suo nome, infatti, come Rashi spiega, designa il salto (psichà), che il Santo Benedetto ‘fece’, quando “saltò oltre”, cioè “passò oltre le case degli Ebrei…”(4). Quando HaShem, come cita il Midràsh, prese per Sé, come Popolo, ‘Yacòv ed i suoi figli’, come prima cosa e subito, Egli diede loro il Capo Mese di Nissàn, mese della Gheulà. Quando cioè i Figli d’Israele erano ancora in esilio, mezzo mese prima della loro liberazione, la Gheulà già veniva a rappresentare la loro vera realtà. Questo fatto spicca in modo ancora più evidente col Korbàn Pèsach. Quando gli Ebrei presero l’agnello, lo scannarono e lo mangiarono, essi erano ancora in esilio, in Egitto e, nonostante ciò, si occuparono già  del Korbàn Pèsach collegato alla Gheulà, fino all’atto di mangiarlo, atto col quale la Gheulà stessa, che esso rappresentava, veniva ad essere un tutt’uno con loro, trasformandosi nella loro stessa carne e nel loro stesso sangue. Oltre a ciò, il modo stesso in cui esso fu mangiato, manifestava liberazione e Gheulà: “arrostito sul fuoco” come quello che veniva consumato dai Sacerdoti, all’insegna di ‘come usano mangiare i Re’. Da qui si impara che in ogni momento ed in ogni luogo l’Ebreo deve essere in una condizione di Gheulà. Anche nell’esilio, bisogna ricordare, che la vera realtà dell’Ebreo, ‘Yacòv ed i suoi figli’, è la Gheulà.

  Ciò viene ad esprimersi anche nel comportamento quotidiano dell’Ebreo, quando egli mangia e beve, azioni che, pur appartenendo anche alle nazioni del mondo, quando sono compiute dall’Ebreo, si può riconoscere in esse il senso di libertà, che traspare dal Korbàn Pèsach, che fu mangiato all’insegna della libertà e della Gheulà, ‘arrostito sul fuoco’, ‘come usano mangiare i Re’.

   Da qui, vi è ancora un insegnamento che si può trarre. Nella Parashàt haChòdesh, vengono riportati ancora particolari di come fu consumato il Korbàn Pèsach: “Questo è il modo in cui lo dovrete mangiare: con la cintura legata ai fianchi, i sandali ai piedi e il vostro bastone in mano; lo mangerete frettolosamente”(5), “pronti per il viaggio”(6). Questo vuol dire che la consumazione del Korbàn Pèsach fu fatta in modo che essi furono pronti, “con la cintura  legata ai fianchi, i sandali ai piedi ed il vostro bastone in mano”, ad uscire immediatamente dall’Egitto, nello stesso preciso istante in cui giunse la notizia che “il termine è arrivato”(7), poiché allora “il Signore Onnipotente non li trattenne per neppure un istante di più”(8). Ecco quindi che neppure loro ritardarono di un istante, dato che già da prima erano pronti per la Gheulà.

   Cosa dobbiamo imparare da ciò? L’Ebreo potrebbe pensare che, poiché la Gheulà dipende unicamente dalla volontà di HaShem – non per nostra volontà infatti, siamo usciti in esilio dalla Terra d’Israele, né è in nostro potere tornarvi (Gheulà), dato che solo HaShem può salvarci – non vi sia niente, che egli stesso debba fare, riguardo all’uscita dall’esilio. Nel frattempo, quindi, egli può dormire o, nel migliore dei casi, occuparsi dello studio della Torà e dell’adempimento delle mizvòt, occupazione così elevata da permettergli di sentirsi già in una condizione di Gheulà spirituale. A ciò è rivolto l’insegnamento, che deriva dal modo in cui si consuma il Korbàn Pèsach. Quando i Figli d’Israele mangiarono il Korbàn Pèsach, arrostito sul fuoco e accompagnato da azzime ed erbe amare, come HaShem aveva loro comandato, lo fecero “con la cintura legata ai fianchi, i sandali ai piedi e il vostro bastone in mano”. Essi, cioè, non si accontentarono di osservare il comando ricevuto da HaShem,  comando che già di per sé era collegato alla liberazione, ma attesero con impazienza il momento tanto agognato, in cui sarebbero stati liberati e sarebbero usciti dall’Egitto, al punto da tenersi pronti, “con la cintura legata ai fianchi, i sandali ai piedi e il vostro bastone in mano”, ad essere liberati dall’Egitto.

 Tutto ciò si riferisce anche all’uscita dall’esilio presente: “Gli mostrerò miracoli, come nei giorni della sua uscita dall’Egitto”(9). Anche quando l’Ebreo studia Torà e compie mizvòt, nella loro completezza, egli non può accontentarsi di ciò, ma deve agognare ed aspettare con impazienza la Gheulà vera e completa, al punto di legarsi la cintura ai fianchi, calzare i sandali e prendere il bastone in mano, tenendosi pronto per il momento in cui giungerà la notizia che Moshiach è arrivato… ed allora uscirà immediatamente dall’esilio alla Gheulà! E’ ovvio che anche negli ultimi momenti dell’esilio si debba studiare la Torà e compiere le mizvòt nel migliore modo possibile, ma con ciò, non si può starsene tranquilli e seduti, fino a che HaShem non vorrà portare la Gheulà. L’Ebreo deve fare, invece, tutto quello che può per affrettare la Gheulà, fino a tenersi pronto ad uscire dall’esilio, consapevole che “la mizvà di oggi” è di stare “con la cintura legata ai fianchi, i sandali ai piedi e il vostro bastone in mano”, “pronti per il viaggio”, per uscire dall’esilio alla Gheulà vera e completa. Questo atteggiamento, di tenersi pronti per la Gheulà, deve essere così riconoscibile ed evidente, che persino chi non è Ebreo deve potersene accorgere, come fu nei giorni dell’uscita dall’Egitto, quando i non Ebrei, guardando dalle finestre nelle case degli Ebrei, li videro, con le loro famiglie, mangiare il Korbàn Pèsach “frettolosamente”, con la cintura legata ai fianchi, i sandali ai piedi ed il bastone in mano, dato che essi erano “pronti per il viaggio”, per uscire dall’Egitto (intenzione che era nota agli Egiziani). Allo stesso modo, nei nostri giorni, persino i non Ebrei devono poter vedere che l’Ebreo si tiene pronto per la Gheulà. Come è detto nel Salmo di Davide (83;2): “O D-O non rimanere silenzioso, non essere sordo e non restare inerte, o Signore”, noi non ci accontentiamo dell’adempimento di Torà e mizvòt, ma chiediamo e pretendiamo da HaShem di uscire dall’esilio, e ci teniamo pronti a quel momento, in modo evidente anche alle nazioni del mondo, come il Salmo conclude: “E così sapranno che Tu, il cui nome è HaShem, sei unico e sei l’Altissimo su tutta la terra.”

1)  Shemòt  12,2         2)  Shemòt 12,3       3)
4)  Rashi:  Shemòt 12,11      5) Shemòt 12,11      6) Rashi:  Shemòt 12,11
7) – 8)   Rashi:  Shemòt 12,41       9)  Michà  7,15

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