Il Vitello d’Oro – L’apertura al pentimento Pubblicato il 18 Febbraio, 2022

La differenza fra il servizio di un giusto e quello di un penitente riguarda due diverse vie di servire D-O. Il servizio del giusto è quello di rivelare il Divino nel mondo. Il servizio del penitente, invece, eleva il mondo fisico stesso alla santità.

teshuvaUn decreto del Re
Il Talmud riferisce che il Popolo Ebraico, di per sé, non sarebbe stato capace di commettere il peccato del Vitello d’Oro, essendo gli Ebrei, in quel momento, in grado di sottomettere il proprio istinto del male. Il peccato fu, piuttosto, il risultato di “un decreto del Re, col fine di aprire la possibilità al pentimento. Ma un peccatore potrebbe pensare che il suo pentimento non abbia alcun effetto. Fu quindi mostrato come D-O abbia accettato la penitenza persino di coloro che avevano commesso un peccato così atroce, come quello del Vitello d’Oro”. Quest’apertura alla possibilità del pentimento si riferisce non solo alle generazioni successive; essa fu concessa anche agli Ebrei di quel tempo. Il pentimento non è un modo di servire D-O, che una persona che non ha peccato possa scegliere. D’altra parte, la persona non potrà nemmeno decidere di peccare, per avere poi il merito di pentirsi. È scritto infatti: “A colui che dice, ‘peccherò e poi mi pentirò’ non viene concessa l’opportunità di pentirsi”. È infatti solo dopo che una persona ha peccato, che gli viene fornita la possibilità di pentirsi. Il servizio del pentimento è così elevato, da includere meriti che mancano persino al servizio dei giusti, come dicono i nostri Saggi: “Il livello conseguito dai penitenti non può essere raggiunto dai giusti completi”. Per rendere possibile l’esperienza del pentimento anche agli Ebrei che vissero il Matàn Torà, evento che aveva conferito loro lo stato di ‘giusti’, fu necessario  un “decreto del Re”, che permettesse all’istinto del male di guadagnare temporaneamente potere sul popolo. In questo modo, gli Ebrei poterono sperimentare la grandissima elevazione del pentimento.

Trasformare i peccati in meriti
Una qualità che riguarda il pentimento e manca nel servizio dei giusti, deriva dal fatto che una persona giusta è in grado di elevare solamente quelle scintille di santità, che si trovano nelle cose permesse. Egli infatti non si occupa e non ha nulla a che fare col male. Il suo approccio al male è solo il suo annullamento; in questo modo, però, è impossibile per lui trasformare il male in santità. Il peccatore, invece, tramite un completo e sincero pentimento, può realizzare la trasformazione dei peccati in meriti. In questo modo, egli non solo nega il male, ma è anche in grado di elevare alla santità ciò che di buono era intrappolato in esso.

La trasformazione del mondo
La differenza fra il servizio di un giusto e quello di un penitente non riguarda solo il fatto che il giusto, semplicemente, non abbia peccati da trasformare; si tratta di una differenza che riguarda due diverse vie di servire D-O.  Il servizio del giusto è quello di rivelare il Divino nel mondo. Dal momento che il male, così come esso esiste nel mondo, cela il Divino e si oppone ad esso, il giusto lo annulla. Il servizio del penitente, invece, eleva il mondo fisico stesso alla santità. Egli riconosce il mondo non solo come qualcosa che si oppone al Divino, ma piuttosto come esso è visto dall’Alto. Lo stesso è vero per quel che riguarda il male: i penitenti realizzano che l’intento finale di D-O non è solamente l’annullamento del male, ma la sua trasformazione, attraverso il pentimento, in bene, così da elevare le scintille Divine che si celano in esso. Il dono che Dio ha fatto della Torà ha portato ad una rivelazione Divina, che ha trasceso il mondo fisico; il pentimento dell’Ebreo coinvolge invece il mondo materiale stesso,  trasformandolo in Divino.
(Basato su Likutèi Sichòt, vol. 16, pag. 412- 414)

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