Ci incontreremo di nuovo Pubblicato il 29 Marzo, 2012

Quell'incontro, tanto tempo prima, era sempre rimasto vivido nei suoi ricordi. Mai avrebbe pensato però di rivedere quell'uomo in una simile occasione, e di riconoscere in lui niente meno che....

Racconta rav Getzel Beck: “Sono nato a Vienna. Quando i nazisti presero il potere, scappai da Vienna per rifugiarmi in Svizzera, dove trascorsi gli anni della guerra in un campo per rifugiati. Dopo la guerra, dal 1944 al 1948, vissi a Parigi, dove avevo un piccolo ristorante kashèr, in cui molti Ebrei religiosi venivano a consumare i loro pasti. Fra quegli avventori, vi era un giovane uomo dagli abiti “moderni”, dal cui volto radiava un’aura di santità e la cui condotta impeccabile non faceva altro che confermare l’impressione, che si trattasse di una persona di livello spirituale molto elevato.  Un giorno, quel giovane mi chiamò in disparte e mi chiese, in tono discreto: “Chi provvede, qui, alla preparazione del cibo?” Gli spiegai, allora, che si trattava di cucina assolutamente casalinga, dato che io stesso e mia moglie lo preparavamo. “In questo caso – egli proseguì – ho da porvi una seconda domanda. Vostra moglie si copre il capo?” “Ma certo!”, gli risposi. “Se così – egli concluse – potrò fermarmi a mangiare qui, ogni volta che ne avrò la necessità.” A quel punto, non potei trattenermi dal chiedergli, chi egli fosse. Il giovane uomo, però, non mi disse il suo nome e, solo dopo aver insistito più volte nella mia richiesta, egli acconsentì a rivelarmelo, ma senza il cognome. “Che differenza può fare il mio cognome?”, egli disse.

  Egli divenne, da allora, uno dei miei clienti fissi, cosa che mi fornì l’opportunità di osservarne la condotta: il suo modo di mangiare e come, in seguito, egli facesse la sua benedizione di ringraziamento dopo il pasto, leggendola da un siddùr, che estraeva dalla propria tasca. La mia ammirazione per lui cresceva di volta in volta. Un giorno, egli entrò in compagnia di due chassidìm più anziani. Essi si sedettero ad un lato del tavolo, ed egli si sedette al lato opposto, di fronte a loro. Egli parlava, e quelli lo ascoltavano con grande attenzione, senza perdere una delle sue parole, con un rispetto ed una ammirazione tali, da rinforzare la mia impressione originaria, che si trattasse veramente di un sant’uomo. Quando furono pronti per uscire, mi avvicinai ad uno di loro, e gli chiesi quale fosse il nome di quel giovane uomo, ma prima che egli avesse la possibilità di rispondermi, il giovane aveva già preso il chassìd più anziano per la manica ed essi lasciarono, così, il ristorante.

   Un giorno, il giovane si presentò, dicendo di volersi accomiatare e ringraziandomi per tutto, dato che l’indomani sarebbe partito per l’America. Gli dissi che non doveva ringraziarmi, poiché aveva pagato ogni cosa che gli avevo servito… Egli rispose che, secondo Rashi, sembra che, anche quando si paga, si abbia il dovere di ringraziare! La nostra conversazione proseguì, poi, su altri temi di Torà. Al momento di salutarci, gli chiesi se, alla fine, non potesse rivelarmi chi egli fosse, il suo nome completo. Egli sostenne, però, anche quella volta, che il suo nome era un dato irrilevante. “In ogni caso – mi disse – vi voglio raccontare una storia. C’era una volta un Ebreo che chiese al santo di Ruzhìn, quale fosse il suo nome. Questi eluse la domanda, dicendo: ‘Non fa differenza chi io sia, ma noi ci incontreremo di nuovo, ed allora, saprai!” Il giovane, quindi, mi si rivolse direttamente e, parafrasando il Ruzhiner,  mi disse: “Noi ci rivedremo ancora”, e con questo se ne andò.

    Non molto tempo dopo, mi trasferii a Londra e, 22 anni dopo, mi recai a New York, per una ricorrenza famigliare. In quell’occasione, mi ammalai al punto da dover essere ricoverato. Mi fu diagnosticata una polmonite, che i dottori curarono con un particolare trattamento. Il risultato, però, fu opposto alle loro aspettative, ed anzi, mi portò ad una condizione così critica, da mettere in pericolo la mia stessa vita. I medici non sapevano come annullare gli effetti nocivi, che il trattamento mi aveva provocato, e non avevano ormai idea di come aiutarmi. Vedendo che la scienza medica non aveva soluzioni per me, mandai mio figlio da diverse figure religiose di rilievo, a chiedere che mi benedicessero e pregassero per la mia guarigione. Egli andò dal Bobover Rebbe, e da molti altri. Ritornò, quindi, dicendo che tutti avevano dato la loro benedizione per una mia completa guarigione. Il Rebbe di Lubavich, però, aveva anche aggiunto: “Ditegli di non preoccuparsi, andrà tutto bene. E noi ci rivedremo ancora!”

   La mia condizione continuava ad aggravarsi e, secondo le vie naturali e le risorse mediche, non si vedeva più alcuna speranza. Alcuni giorni dopo, venne un  professore in quell’ospedale e mi visitò. Egli mi disse di voler tentare un nuovo metodo di cura, e, dopo pochi giorni di trattamento, in effetti, cominciai a sentirmi molto meglio. Quando, alcuni giorni dopo, il professore tornò a visitarmi, io non finii più di ringraziarlo, per avermi salvato la vita. Egli rispose, però, che il ringraziamento ed il merito non spettavano a lui, ma al Rebbe di Lubavich! “Pare che voi godiate di una vicinanza molto stretta, che vi lega al Rebbe, poiché di solito io non lavoro in questo ospedale. Ho ricevuto una chiamata dal segretario del Rebbe, che mi descriveva la vostra condizione, di come foste stato sottoposto ad un trattamento sbagliato, senza che si sapesse, poi, come neutralizzarne gli effetti negativi. Il Rebbe, quindi, mi suggerì un metodo di cura alternativo, che avrebbe risolto la situazione e mi pregò di recarmi da voi, per curarvi. Grazie al Rebbe, abbiamo avuto successo!”, concluse il professore.

    Dopo aver lasciato l’ospedale ed essermi ripreso, mi recai in visita dal Rebbe. Nel momento stesso in cui ebbi l’onore di entrare nella stanza in cui egli riceveva, mi disse: “Nu, me treftzich nochamol… vi me hot opgheredt…!” (“Allora, ci incontriamo di nuovo, come ci eravamo detti”). Con mia grande sorpresa, quando vidi il santo viso del Rebbe, realizzai che si trattava dello stesso uomo, che avevo incontrato (e così tanto ammirato) a Parigi, alcuni decenni prima. Questa volta, però, non avevo bisogno di chiedere il suo nome!

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