Cieco per sempre? Pubblicato il 29 Marzo, 2012
Rav Kalmanson era il direttore del Beit Chabad di Cincinnati, Ohio, e nonostante fosse abituato a ricevere continuamente visitatori ed ospiti, quella era la prima volta che aveva ricevuto una chiamata da degli estranei, che chiedevano di parlare con lui di una questione urgente alle tre del mattino!
Erano le tre e mezzo di mattino di un venerdì, quando una coppia di mezza età bussò alla porta dell’appartamento di rav Kalmanson. “Prego, accomodatevi – li accolse il rav – Solo, vi prego, parlate piano, poiché mia moglie ed i bambini dormono. Vi ascolto, qual’è il problema?” Rav Kalmanson era il direttore del Beit Chabad di Cincinnati, Ohio, e nonostante fosse abituato a ricevere continuamente visitatori ed ospiti, quella era la prima volta che aveva ricevuto una chiamata da degli estranei, che chiedevano di parlare con lui di una questione urgente alle tre del mattino. La prima cosa che egli notò, fu che l’uomo era cieco. Per il resto, la loro apparenza era quella di tipici Ebrei Americani non religiosi. E così anche essi si presentarono. L’uomo era diventato permanentemente cieco anni prima, in seguito ad un’operazione per contrastare l’alta pressione, e si era ormai rassegnato alla sua condizione. Il loro problema, ora, era un altro.
Un mese prima, sotto il cuscino della loro figlia maggiore, avevano trovato una copia del ‘Nuovo Testamento’, e quando avevano chiesto spiegazioni, si erano trovati di fronte ad una reazione violenta ed isterica. La loro figlia, che generalmente era sempre stata gentile e sensibile, aveva cominciato ad urlare, come impossessata, lanciando epiteti bellicosi contro l’Ebraismo e lodi per la nuova ‘strada’ che aveva trovato. Venne fuori che un suo insegnante, a sua volta plagiato dai missionari, si era ‘lavorato’ la ragazza per mesi, fino a renderla completamente succube. La coppia era disperata. Pur non essendo osservanti, si sentivano pur sempre Ebrei e capivano che la direzione che aveva preso la ragazza non era solo sbagliata, ma la stava conducendo anche all’insanità mentale. Padre e madre letteralmente piangevano: “Avevamo un rapporto di così grande vicinanza, ed ora… sembra un’estranea, come fosse ipnotizzata. Ha provato addirittura a convincerci a seguirla nella sua nuova religione! Rav Kalmanson, la prego, ci aiuti!”
Il desiderio di aiutare, certo non mancava a rav Kalmanson, ma come? Un’improvvisa idea si fece strada. “Ditemi, vi parlate ancora, avete un dialogo con vostra figlia?” “Sì. All’inizio erano solo discussioni e litigi, fino a che non è scappata di casa, e l’unica maniera per farla tornare è stata quella di prometterle di non tornare più sull’argomento. Ieri però, l’abbiamo sentita dire a qualcuno al telefono, che fra pochi giorni farà il passo necessario per diventare definitivamente una di ‘loro’. Ci sembra di impazzire!” “Pensate che accetterà di venire con voi, domani sera, per il pasto del Sabato, da noi? O forse devo chiedere prima se voi stessi siete pronti a venire. Avete mai osservato un Sabato?”, chiese il rav. La coppia ammise di non aver mai né osservato né partecipato ad un Sabato, ma erano convinti di riuscire a venire con la ragazza.
La sera dopo, sedevano tutti al tavolo di Shabàt della famiglia Kalmanson, in un’atmosfera calda, affascinante e sconosciuta per loro. Dopo un’oretta, rav Kalmanson diede il via alla seconda parte del suo piano. Egli si rivolse alla ragazza e le disse che, dato che egli non sapeva niente della religione della ragazza, come lei non sapeva probabilmente niente della sua, sarebbe stato interessante avere in proposito uno scambio di idee, ed egli era interessato prima di tutto a sentire da lei cosa avesse da insegnargli. La ragazza accettò con gioia. Era così entusiasta all’idea che il rav volesse ascoltarla, che non si accorse del tempo che passava, e continuò a parlare fino alle… sei del mattino!
Al termine di quell’incontro, ella chiese di poter continuare la conversazione in un incontro successivo. E così fu, per ben quattro volte ancora nelle settimane seguenti. La ragazza parlava e rav Kalmanson ascoltava. Al loro quinto incontro, il rav chiese il permesso di poter parlare a sua volta. La ragazza, convinta di averlo ormai portato dalla sua parte, acconsentì con piacere. Egli le spiegò allora, nel tono più calmo ed amichevole possibile, che, non importa cosa ella facesse, avrebbe continuato ad essere una figlia di Sara, Rivka, Lea e Rachel, le matriarche del popolo d’Israele, e che D-O l’avrebbe sempre amata. Passò quindi, senza considerare minimamente tutte le prove che ella aveva portato nei loro incontri precedenti, a far notare come il D-O degli Ebrei, e solo Lui, crei costantemente tutto il creato, e come sia proibito e totalmente inutile dirigere le proprie preghiere ad alcuna delle Sue creazioni o manifestazioni. D-O è infinitamente misericordioso, ci ama incondizionatamente, ci ricrea di nuovo ad ogni istante e ci è infinitamente vicino, ascolta le nostre preghiere e perdona i nostri peccati. Egli vuole solamente che noi lo contraccambiamo, e per questo ci ha dato la Torà. Egli continuò poi a spiegarle come la sua esperienza religiosa con i missionari fosse la stessa di quella provata dagli Ebrei, quando essi adorarono il Vitello d’Oro, o si dedicarono all’idolatria, al tempo del Primo Tempio. Egli concluse infine dicendo che, nella nostra generazione, vi è un Ebreo, chiamato Rebbe di Lubavich, che opera addirittura miracoli e non si è mai sognato di cambiare neppure una lettera della Torà o di cancellare uno dei suoi comandamenti. Fu allora che la ragazza chiese: “Può restituire anche la vista a mio padre?” “Non lo so – rispose il rav – Ma so che ha operato simili miracoli, ed anche più grandi. Tu fai semplicemente ciò che le donne Ebree hanno fatto con gioia e auto-sacrificio per più di tremila anni, e noi possiamo sperare in un miracolo.”
A poco a poco, l’anima Ebraica della ragazza cominciò a sgelarsi. Ella perse interesse per quella setta, ed iniziò persino ad accendere le candele del Sabato ed a progredire nella strada della Torà e delle mizvòt. Col passare del tempo, il ricordo di quella conversazione riaccese in lei un desiderio ed una speranza. Fu così che si trovò a scrivere una lettera al Rebbe, nella quale chiedeva una benedizione per la vista di suo padre. La risposta arrivò: il Rebbe diede la sua benedizione, consigliò che il padre iniziasse a mettere quotidianamente i tefillìn, e suggerì di mettere mezuzòt a tutti gli stipiti della casa. Per ultimo, disse di consultare un dottore amico, vicino alla famiglia. I genitori, però, non furono pronti a collaborare. Per quel che li riguardava, essi si sentivano sufficientemente dei buoni Ebrei, così com’erano e sapevano che la cecità in questione era incurabile. La figlia allora non ebbe altra scelta che provvedere da sola: comprò un paio di tefillìn ed aiutò il padre a metterli ogni giorno. Rav Kalmanson, da parte sua, comprò e affisse mezuzòt in tutta la casa. Quando, però, fu interpellato il medico di famiglia, questi si dimostrò a dir poco ostile. “Prima di tutto, io non sono un oculista. Secondo, esperti hanno già detto che non vi è rimedio. Terzo, infine, perché illudere così un pover’uomo con false speranze. Non ha già sofferto abbastanza? Chi pensa di essere questo Rebbe di Lubavich? Capisce qualcosa di medicina? Ecc. Ecc.”
Tuttavia non passò un mese, che quello stesso dottore chiamò, per dire di essere venuto a conoscenza di una nuova tecnica, che offriva possibilità di guarigione a casi simili a quelli del padre. Egli si preoccupò di organizzare un consulto presso quel professore che, dopo aver visitato il paziente, si dichiarò disponibile ad operarlo. L’operazione, che doveva durare almeno cinque ore, con grande sorpresa del professore stesso, si concluse in un’ora e mezza. Due giorni dopo, davanti a tutta la famiglia, arrivò il momento di togliere le bende. “Ohhhh!” egli gridò con dolore. “Ohhh i miei occhi!!!” La moglie e la figlia iniziarono a piangere incontrollabilmente… “Cosa succede? Cosa c’è che non va?”, chiese il dottore. “Posso vedere!!” egli gridò. “Io vedo nuovamente!!” A quel punto, gli occhi di tutti si riempirono di lacrime, professore incluso. Due mesi dopo, il padre rinnovò la sua patente di guida e… inutile dirlo, tutta la famiglia divenne osservante.
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