Il sogno Pubblicato il 29 Marzo, 2012

La vita per Moshe Mendel si era trasformata in un inferno. Continuamente perseguitato, passava ormai la sua giornata di lavoro pregando di poter diventare invisibile, pur di sfuggire agli attacchi di quell'amministratrice. Questo, fino al giorno in cui ella lo convocò per.... (Miracoli oggi)

Moshe Mendel era nato in un sobborgo di Rio de Janeiro, in Brasile. La sua famiglia aveva una fiorente attività di restauro d’auto d’epoca, che garantiva loro buoni guadagni. Già da piccolo Moshe Mendel conosceva tutti i modelli delle vecchie auto, e appena poté, entrò con passione nell’attività del padre, dedicandosi ad essa con tutto se stesso. Questa situazione idilliaca però non durò. Nel giro di poco tempo suo fratello, suo padre e sua madre morirono. Se non fosse abbastanza, nella stessa zona furono aperti altri garage di quel tipo che, con la loro concorrenza, riuscirono a stroncare l’attività di Moshe Mendel, che vide sgretolarsi fra le mani tutto il suo mondo. La sua vita divenne per lui un peso, ed egli sprofondò sempre più nell’apatia e nella depressione.

   Fu allora che, come un angelo dal Cielo, Moshe incontrò l’emissario del Rebbe a Petropoulos, rav Chaim Benyamini. Col suo aiuto, Moshe Mendel fece i suoi primi passi verso l’osservanza dell’Ebraismo. Il suo coinvolgimento nelle mizvòt e nello studio della Chassidùt riuscì a tirarlo un po’ fuori da se stesso e dal baratro in cui era sprofondato. Un giorno, Moshe Mendel decise di scrivere una lettera al Rebbe. In quelle pagine egli riversò il suo cuore, terminando con una preghiera: “Non voglio altro che una vita felice.”

   L’Ebraismo gli diede la motivazione sufficiente per rialzare la testa e cercare una nuova direzione da intraprendere nella vita. Egli vide una pubblicità ed iniziò a studiare tecnica e amministrazione bancaria. Agli esami di stato, fra più di un milione di candidati, egli risultò al nono posto rispetto alla sua città ed al diciottesimo nell’intera regione. Dopo un ulteriore esame ed un’intervista di lavoro, Moshe Mendel fu assunto nella filiale di una banca nel centro di Rio. Quattro anni passarono e Moshe Mendel fece grandi progressi nella sua conoscenza e osservanza dell’Ebraismo, fino a che anche il suo vestiario si adeguò al suo nuovo stato di Ebreo ortodosso.

  A quel punto, però, le cose nella sua vita presero nuovamente una piega negativa. L’amministratrice della banca dove lavorava non sembrò apprezzare il suo nuovo tipo di abbigliamento e da allora non perse occasione di lanciare frecciate maligne, quando non aperte e taglienti critiche. Altri impiegati iniziarono ad imitare il suo esempio, nella speranza di ingraziarsela e progredire così nella loro carriera, anche se alle spese di un loro collega. Moshe fece di tutto per non entrare in controversia con nessuno, sopportando di buon grado tutte quelle  cattiverie  e ignorando i suoi tormentatori.

   Con disappunto di alcuni fra gli impiegati, nelle sfere superiori fu deciso di nominare Moshe a capo del reparto. Le sue doti e la sua abilità nel lavoro erano state notate, e quella promozione avrebbe dovuto portare profitto e avanzamento alla banca stessa. Questa decisione sorprese molti dei suoi colleghi, dati i suoi rapporti così tesi con l’amministratrice.

 Col passare dei giorni, Moshe realizzò che il non rispondere agli insulti, invece che servire a diminuire il vergognoso comportamento assunto nei suoi confronti, aveva provocato solo un aggravamento della situazione. Venire al lavoro era diventato ormai insopportabile. Quando Moshe Mendel sentì di non farcela più, decise di chiedere aiuto ed il suo indirizzo più naturale fu quello di scrivere al Rebbe. Ancora una volta Moshe riversò tutta la pena che aveva nel cuore in una lunga lettera, che infilò poi, a “caso”, in uno dei volumi dell’Igròt Kodesh, una raccolta di lettere del Rebbe. Quello era il modo migliore per ricevere una risposta ed un aiuto. Sebbene le pagine in cui era stata inserita la lettera contenessero parole molto incoraggianti, queste non sembrarono soddisfare le aspettative di Moshe. Egli avrebbe desiderato infatti una risposta più precisa. La persecuzione dell’amministratrice intanto continuò e si intensificò. Questo… fino al giorno in cui, di sorpresa, essa annunciò le proprie dimissioni.

    Per l’occasione, venne organizzata una festa d’addio, alla quale avrebbero partecipato tutti gli impiegati. Moshe capì di non avere scelta, sebbene la cosa gli fosse molto difficile. Quando l’amministratrice entrò nella stanza dove si teneva la festa, si diresse verso Moshe e gli chiese nervosamente di potergli parlare. Abituato ai suoi modi e sapendo cosa aspettarsi, Moshè lasciò la stanza e la banca. Il giorno seguente, non appena arrivato al lavoro, l’amministratrice lo convocò subito, per una questione urgente. A Moshe Mendel sembrò di riconoscere un tono di preghiera, più che un ordine, nella sua voce. Moshe salì le scale che portavano al suo ufficio, preparandosi a qualsiasi evenienza. E infatti era pronto a tutto… tranne che a quello cui si trovò davanti!

   L’amministratrice era seduta in silenzio, gli occhi pieni di lacrime. “Io voglio scusarmi,” ella incominciò, arrivando subito al punto, “per come mi sono comportata.” Continuare non le fu facile, e dovette aspettare alcuni istanti per riuscire a riprendersi. Alla fine, la donna offrì questa spiegazione a Moshe, che era semplicemente sotto shock, non riuscendo a riconoscere nella persona che gli stava davanti, l’aguzzina che l’aveva perseguitato così a lungo.

   Ella gli raccontò allora, che due giorni prima aveva fatto un sogno inquietante, e la notte precedente aveva fatto un altro sogno, dal quale non si era ancora calmata. “Ricordo ogni particolare del sogno. Ero seduta su una panchina di legno al parco, quando all’improvviso un Ebreo di bell’aspetto mi si rivolse. Aveva una barba bianca e degli occhi saggi. Indossava un lungo mantello ed un cappello. Mi parlò in tedesco e mi chiese perché io ti infastidissi. Non aspettò la mia risposta, ma continuò invece dicendomi di non infastidire più nessun Ebreo.” Moshe rimase inchiodato al suo posto. Secondo la descrizione della donna, gli era chiaro che ella aveva visto il Rebbe. Egli continuò ad ascoltare le sue scuse e la sua promessa di rispettare la richiesta dell’Ebreo, che aveva visto nel sogno!

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