Sei forse Ebreo? Pubblicato il 29 Marzo, 2012

Ogni chassìd Chabad è abituato a fare i più disparati tipi di incontri quando, occupato a diffondere l'Ebraismo e la possibilità di effettuare una qualche mizvà, gira nei luoghi pubblici, avvicinando ogni Ebreo che si dimostri interessato. Quella volta, però, la sorpresa di quell'incontro superò qualsiasi aspettativa!

Quaranta minuti, non di più. Questo era lo spazio di tempo che Nechama Dina Berenshtein aveva stabilito per le sue allieve, per il loro giro in uno degli affollati centri commerciali del New Jersey. Nechama Dina, chassidà Chabad, nel suo ruolo di educatrice era sempre stata attenta a infondere nelle sue allieve i valori dell’Ahavat Israel e dell’interessamento per ogni Ebreo, così come insegna il Rebbe di Lubavich. In quell’occasione, quindi, in onore della festa di Chanukkà dell’anno 5759 (1997), Nechama Dina scelse di occupare le ragazze nel modo più caratteristico di Chabad: girare per il centro commerciale, cercando di individuare fisionomie ebraiche, e offrire loro la possibilità di ascoltare qualche parola di spiegazione sul contenuto spirituale della Festa  ed il modo di adempierne i precetti.

   Quel giorno, l’unico che si era rivelato disponibile per quell’attività, il tempo da dedicare ad essa era limitato, poiché Nechama Dina era attesa quella sera stessa da un gruppo di donne di Boro Park, alle quali essa era solita impartire una lezione di Chassidùt, una volta alla settimana. Maestra e allieve si accordarono su dove e quando ritrovarsi, al termine dell’attività. Le donne, quindi, si dispersero, ognuna in una differente direzione, ed anche Nechama Dina scelse la propria zona nella quale operare. Come prima tappa si fermò presso delle panchine circolari, appartenenti ad un fast food, dove erano sedute alcune donne ed un ragazzo. Tranne eccezioni, Nechama Dina era solita rivolgersi unicamente a donne, e non a uomini. Oltre ciò, quel ragazzo aveva una fisionomia che non aveva nulla di ebraico, ed i suoi capelli colorati, gli orecchini vari ed i tatuaggi la convinsero che non c’era nessun senso a rivolgersi a lui. Fra le donne, invece, due si rivelarono Ebree e furono molto felici di sentir parlare della Festa in particolare e dell’Ebraismo in generale.

   Il tempo passò in fretta. Un occhiata all’orologio, e Nechama Dina si rese conto che la conversazione si era protratta già per tre quarti d’ora, cinque minuti dopo il limite che aveva concordato con le allieve. Si scusò quindi di dover interrompere quell’incontro, augurò una Buona Festa e si volse per andare. In quel momento, una voce interiore la indusse a tornare indietro ed a rivolgersi al ragazzo. Cosa aveva da perdere, a provare? Si ritrovò così a rivolgersi al ragazzo, con la domanda diretta: “Sei forse Ebreo?” La reazione che seguì, Nechama Dina non l’avrebbe scordata per il resto della vita.

   La parola ‘shock’ non esprime bene quello che sembrò passare il ragazzo, in quel momento. Egli guardò Nechama Dina con occhi spalancati, mentre il cibo gli cadeva di mano, rovesciandosi sui vestiti. L’istante successivo, egli scoppiò in lacrime, chiedendo, in mezzo ai singhiozzi: “Perché me lo ha chiesto?!” Sembrava una scena uscita da un film. Mai aveva visto Nechama Dina prima d’ora un’espressione così disperata come quella di quel ragazzo. “Cosa ti succede? Perché piangi?”, gli chiese, sentendosi stringere il cuore dalla compassione. “Lei non mi ha risposto! Perché mi ha chiesto se sono Ebreo? Come le è venuto in mente di chiedere ad uno dal naso schiacciato e dagli occhi azzurri, se è Ebreo!?” Nechama Dina provò a dire imbarazzata che le era sì sembrato che potesse essere Ebreo, ma lui non le credette, ed iniziò invece a raccontare a grandi linee la propria storia.

   “Sono nato ventitré anni fa da madre Ebrea e padre goi. Prima di sposarsi, mia madre mise una condizione: nonostante essa non fosse osservante, desiderava che, in caso fosse nato un maschio, egli venisse educato in una scuola Ebraica religiosa, così come era stato per suo padre. Mio padre goi accettò. E così fu. Giunto all’età di andare a scuola, entrai al ‘cheder’, dove imparai a comportarmi da Ebreo. A casa, la vita continuava come prima, senza alcuna connotazione religiosa, mentre io indossavo kippà e zizìt e stavo attento a mettere in pratica tutto quello che mi veniva insegnato. La contraddizione in cui vivevo non mi disturbava. Ciò che mi disturbava era qualcos’altro: il mio aspetto goi. Quanti “bravi” bambini si preoccuparono di ricordamelo tutto il tempo! Vi furono anche insegnanti che, intenzionalmente o no, mi riversarono nelle orecchie il concetto che io non ero un Ebreo completo, dato che mio padre era goi. Soffersi moltissimo. Tutto ciò fino a che mio padre, accortosi di quanto accadeva, propose a mia madre, per il mio bene, ti togliermi da quella scuola”.

   “Fu così che entrai in una scuola statale non ebraica, mi spogliai di tutti i segni esteriori di riconoscimento Ebraici e mi adattai con successo al nuovo ambiente. Dentro di me, però, continuai a sentirmi legato alla fede Ebraica. I semi di Ebraismo, impiantati nel cheder, avevano messo radici dentro di me. Più volte iniziai una specie di dialogo con D-O. Lo ritenevo colpevole del fatto di aver abbandonato l’Ebraismo. ‘Mi hai creato con tratti del viso tali, da procurarmi solo guai e sofferenze nell’ambiente Ebraico. Per colpa Tua ho lasciato la Tua strada!’ Ciò non bastava però a liberarmi dal disagio che provavo dentro di me e dal senso di vuoto che sentivo derivare dal mio stile di vita. Prima, quando lei è passata di qui e ha chiesto a tutti quelli intorno a me se fossero Ebrei, ho provato una stretta al cuore. ‘Ecco, non si sogna nemmeno di rivolgere anche a me la stessa domanda. È sicura che io sia un goi.’ Quando ho visto che stava per andarsene, mi è balenata per la testa una strana idea: ‘Signore benedetto, sono pronto a fare con Te un patto’, ho detto dentro di me. ‘Se questa donna tornerà indietro e chiederà anche a me se sono Ebreo, tornerò a seguire la strada dell’Ebraismo. Lo prometto!…’ E in quella, in quello stesso momento, lei si è girata verso di me, si è avvicinata e mi ha chiesto…” Il ragazzo si interruppe e respirò profondamente. “Ecco”, alzò gli occhi, fissando la maestra. “Solo perché  lei sappia il vero motivo che l’ha spinta all’improvviso a tornare indietro e a chiedermi: “Sei forse Ebreo?”

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