Un numero sbagliato, con un giusto risultato. Pubblicato il 29 Marzo, 2012
Un trasloco è sempre un momento di grande caos, e il sopraggiungere, proprio in un tale momento, di una telefonata indesiderata non è certo di aiuto. A meno che...
Per decenni mi ero occupato di educazione nelle istituzioni Chabad di Lod, fino a che, nel 5741, ricevetti dal Rebbe istruzioni di trasferirmi con la mia famiglia a Beer Sheva, per fondare lì un istituto scolastico per bambini e bambine. Avevo già trovato un appartamento adatto e mi stavo preparando a quel cambiamento ed a quella nuova sfida. Il giorno del trasloco, mentre il camion aspettava in strada e gli operai andavano su e giù, carichi di mobili, pacchi ed elettrodomestici, all’improvviso, squillò il telefono. Risposi distrattamente alla chiamata, mentre la mia attenzione restava concentrata sull’andirivieni degli operai. In quella sentii la voce di una donna adirata, che mi diceva: “Siete voi Minsky?… Per colpa vostra non ho più pace né di giorno né di notte. Il telefono a casa mia squilla senza sosta, con gente che cerca Yacov Minsky. Fon faccio a tempo a finire una conversazione, che subito il telefono suona di nuovo. E tutti che cercano Minsky. Non pensa che sia il caso di fare qualcosa? Per quanto tempo ancora dovrò essere disturbata per un Minsky che non conosco nemmeno!?…”
Quando finalmente la donna mi lasciò aprire bocca, provai a spiegarle che si trattava di un errore della compagnia dei telefoni, che aveva stampato il mio numero con uno 04 al posto di 94, numero che, evidentemente, le apparteneva. Le dissi che io non avevo colpa, e che la compagnia dei telefoni aveva promesso di correggere l’errore nella stampa della prossima guida. Tutto ciò non sembrò scalfire la decisione con la quale la donna manifestava la sua ira nei miei confronti. Cercai comunque di terminare la conversazione, che giungeva in un momento così poco opportuno. Prima di riuscire a riattaccare, però, la donna mi chiese: “Ma cosa siete voi? Un’organizzazione? Un ufficio?” “No,” le risposi, mentre uno degli operai aveva quasi lasciato cadere il frigorifero, “è una casa privata…”
“Una casa privata!?! Ogni volta che chiamano mi chiedono di tefillìn, mezuzòt, Sinagoghe… Prima di Pèsach, di vino e matzà; prima di Succòt, di lulavìm e etroghìm. E questa sarebbe una casa privata?” “Una cosa del genere” le dissi, spostandomi di qua e di là per non intralciare il passaggio degli operai e passando la cornetta da un orecchio all’altro. “Noi, dei Zeirèi Chabad, cerchiamo di aiutare la gente che ha bisogno.” Gli operai volevano chiedermi qualcosa, ma io non riuscivo a sentirli. Feci loro cenno di ripetere, ma c’era troppo rumore. Pregai dentro di me di poter mettere fine a quella conversazione quando, mentre cercavo la prima opportunità che me lo permettesse, colsi improvvisamente una nota diversa nel tono della donna, che mi stava dicendo: “Forse, allora, potrete aiutare anche me. Anch’io ho bisogno di aiuto…”
Subito mi coprii con la mano l’altro orecchio per cercare di capire meglio cosa mi stesse dicendo la donna, con voce rotta dall’emozione. Ella mi spiegò allora di essere sposata ormai da dieci anni, senza che fossero nati loro dei figli. Le chiesi come fosse lo stato delle mezuzòt e dei tefillìn. Mi rispose che non pensava vi fossero problemi. Le promisi di richiamarla presto e le augurai con tutto il cuore di potermi presto dare buone notizie. Una volta giunto, finalmente, a Beer Sheva, mi ricordai di chiamare mio cognato, a Lod. Gli raccontai di quella chiamata e lo pregai di occuparsi del caso, e di far controllare i tefillìn e le mezuzòt di quella famiglia. Dopo di ciò, il compito che mi aspettava a Beer Sheva mi assorbì completamente. Giorni e notti di lavoro: l’assunzione di insegnanti, l’iscrizione dei bambini, la ricerca e la preparazione del posto, gli ostacoli burocratici e tecnici, …. Della conversazione con la donna mi dimenticai completamente.
Quando, lungo tempo dopo, la nuova scuola dimostrò di essere ormai avviata e stabile, rivelando il suo successo, nel provvedere una buona educazione Ebraica a centinaia di bambini e bambine, il Rebbe mi disse di tornare a Lod. Fu allora che mi tornò alla mente quella donna, e chiesi a mio cognato se ne sapesse qualcosa. Egli mi raccontò, allora, che sia i tefillìn che tutte le mezuzòt si erano rivelate non kashèr ed erano state quindi cambiate, con il suo aiuto. In quell’occasione, era anche stato possibile uno scambio di parole che avevano portato incoraggiamento e stimolo alla famiglia, per rafforzarsi in alcune aree della loro osservanza religiosa. Da allora non aveva più saputo nulla. I due decisero di chiamare la donna, ma al telefono rispose la voce di una persona più anziana, che si rivelò essere la madre. Essa ci informò con gioia palpabile, che sua figlia, dopo innumerevoli anni di vana attesa, proprio quel giorno aveva finalmente dato alla luce… un figlio! Colpiti da quella eccezionale “coincidenza”, fummo presi da un incredibile senso di gioia e di gratitudine verso D-O, per tutti i suoi miracoli. Non vi sono errori nella vita. Se D-O vuole creare un contatto, che permetta ad un Ebreo di ricevere dell’aiuto, Egli può farlo anche attraverso un numero sbagliato sulla guida del telefono!
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