Una guarigione impossibile! Pubblicato il 29 Marzo, 2012
Un niente sarebbe bastato a spegnere la vita di quel giovane, che tutti tanto amavano. La malattia sembrava non aver lasciato nessuna porta aperta, e, secondo i medici, si trattava ormai solo di ore. Nessuna cura, e tantomeno un'operazione, poteva, ormai, essere tentata...
“Era una serata tranquilla, poco prima delle h.23, quando sentii qualcuno bussare alla porta. Chi poteva mai essere a quell’ora? Guardai attraverso lo spioncino della porta, e vidi un giovane, che portava un “kippà srugà” sul capo, e sul viso i segni di uno stato di grave preoccupazione. Gli aprii e subito il giovane, scusandosi per l’ora tarda, chiese di poter entrare e parlarmi. “Ho sentito, rav Antisada, –iniziò subito- che lei aiuta le persone a scrivere al Rebbe di Lubavich per ricevere le sue benedizioni attraverso i volumi di “Igròt Kòdesh” (una raccolta di risposte, che il Rebbe ha dato alle migliaia di persone, che si sono rivolte a lui per lettera, al fine di ottenere consigli e benedizioni). Voglio una benedizione per mio cognato, che sta morendo. Non molto tempo fa gli è stato diagnosticato un tumore alla testa, e da allora la sua condizione è andata continuamente peggiorando. I migliori dottori hanno tentato di curarlo, ma senza vedere nessun risultato. Oggi, poco fa, hanno comunicato a mia sorella di prepararsi al peggio. Mio cognato è un uomo meraviglioso, tutti gli vogliono bene… Lei deve aiutarci!”
Un sospiro angosciato accompagnò queste ultime parole. Dal suo racconto mi era chiaro che, almeno per vie naturali, non vi era più nessuna speranza. Sapevo però, che non bisogna mai rinunciare ad invocare la misericordia Divina. Consigliai al giovane, di rendere partecipe anche la moglie del malato, della richiesta di benedizione. La raggiungemmo telefonicamente in ospedale e la trovammo in lacrime. Cercai di incoraggiarla e le spiegai quello che ci accingevamo a fare. Le consigliai anche, dopo aver ricevuto la sua adesione all’iniziativa, di prendere su di sé una buona decisione, una mizvà in più, affinché più facilmente la benedizione trovasse un ‘recipiente’ pronto ad accoglierla. Suo fratello, poi, scrisse la lettera, in cui chiese che suo cognato tornasse ad essere sano come prima.
La lettera fu inserita in uno dei volumi, scelto a “caso”, e nella risposta che il Rebbe dava, si parlava del fatto che, il rafforzamento delle mizvòt porta al rafforzamento della salute del corpo, come le 248 mizvòt positive sono corrispondenti ai 248 organi del corpo. Si trattava di una lettera, che il Rebbe aveva mandato in risposta ad una donna il cui marito si era ammalato ed alla quale egli spiegava come la moglie fosse, per così dire, la metà del corpo del marito e come il suo rafforzamento nelle mizvòt si riflettesse positivamente anche sul marito. Il consiglio in specifico che dava, era quello di studiare חת”ת (‘Chittat‘: una porzione quotidiana di Pentateuco, Tanya e Salmi) tutti i giorni. Da un’altra lettera, nella pagina a fianco, spiccavano inoltre le parole: “…è giusto fare l’operazione”.
Interpellata nuovamente la moglie del malato ed aggiornata sulla risposta ricevuta, ella si diede subito disponibile ad iniziare a dire חת”ת per il marito. Quando, però, venne a sapere dell’operazione, la donna rimase molto perplessa e spaventata. La condizione del marito, infatti, era così fragile e delicata, che un niente sarebbe bastato per vedere spegnersi la sua vita. Figuriamoci, quindi, un’operazione! Io però non rinunciai e, poiché la sensazione che il Rebbe volesse veramente, che si facesse l’operazione, era in me fortissima e del tutto chiara, mi impegnai a convincere di ciò la donna. Dopo una lunga conversazione, alla fine, essa accettò l’idea.
Fui molto teso per tutta la giornata seguente. Avrei voluto sapere cosa succedeva, ma nessuno mi chiamò. Un mese dopo, una coppia arrivò a casa mia. “Si ricorda?- esordì la donna – Un mese fa venne da lei un giovane a chiedere una benedizione per suo cognato. Io sono quella donna, che lei convinse a far fare l’operazione, e questo è mio marito!” Essa poi proseguì il racconto: “Dopo la nostra conversazione, andai dal medico di turno e gli spiegai che pensavo fosse una buona idea far operare mio marito. Il medico non capiva di cosa parlassi. Provò a spiegarmi che mio marito era come una candela, che ogni mossa più piccola poteva spegnere. Io, però, ero ormai già ferma nella mia idea e gli dissi che mi prendevo tutta la responsabilità. Infatti, firmai ed ottenni che l’operazione venisse eseguita. Mio marito entrò in sala operatoria ed io, con altri famigliari, restammo fuori a pregare HaShem, che gli mandasse una completa guarigione e che la benedizione del Rebbe si realizzasse. La fine della storia, la può vedere lei stesso, rav Antisada. Mio marito si è rimesso in piedi, ed ogni giorno che passa, grazie a D-O, si avvicina sempre di più al recupero totale delle sue facoltà.” Il marito, a quel punto, rivelando il suo temperamento caloroso, non riuscì a trattenersi e, nella commozione, mi abbracciò ed iniziò, con me, una danza di gioia. “Il Rebbe mi ha resuscitato.- disse – Io sono un miracolo che cammina, un vero miracolo del Rebbe!”
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