Una medicina per l’anima Pubblicato il 29 Marzo, 2012
Gli attacchi colpivano Nechama all'improvviso, e allora ella diventava imprevedibile, quando non pericolosa, non avendo nessuna possibilità, in quei momenti, di controllare il proprio comportamento. Come aiutarla? Come farla guarire?. Ogni tentativo sembrava inutile, fino a quando non ricevette quello strano consiglio... sembrava inutile
Di giorno in giorno la situazione in casa, l’armonia famigliare si deterioravano. In casa, era ormai Igal a doversi occupare di tutto. Fu allora, che Nechama sentì parlare di Rav Friedmann, l’inviato locale del Rebbe di Lubavich. Le fu raccontato quanto egli fosse una persona saggia e generosa, che aveva già aiutato molte persone in difficoltà, in diversi campi. Nechama si recò da lui, spiegandogli la situazione e riversandogli davanti tutto il suo dolore. Rav Friedmann chiarì di non essere un dottore, né di essere dotato di particolari poteri. “Quello che sì – egli disse – io sono un chassìd, inviato del Rebbe di Lubavich, che si trova a New York, ed è a lui che conviene rivolgersi. Lui può aiutarvi.” Con l’aiuto di rav Friedmann, Nechama scrisse una lettera al Rebbe. La risposta non tardò ad arrivare. Il Rebbe scrisse che, se la famiglia fosse stata molto attenta a mangiare ed a bere solamente cibi e bevande kasher, Nechama sarebbe uscita da quella difficile condizione.
Nechama si aggrappò alla ‘medicina’ del Rebbe, come un naufrago ad un asse di salvataggio. Ella cominciò a studiare con diligenza tutto ciò che riguarda la kasherùt (le regole alimentari Ebraiche), argomento di cui non immaginava la complessità, con l’aiuto della moglie di rav Friedmann. Dopo alcuni giri di compere, una guida pratica nella cucina stessa e molto incoraggiamento, Nechama riuscì ad apprendere le regole necessarie. In breve tempo, la cucina fu resa kashèr, e Nechama trasformò il menù famigliare, che da allora fu composto solamente da cibi kashèr. Igal non vide di buon occhio tutto ciò. Egli non credeva che il passaggio ad una conduzione alimentare kashèr potesse risolvere la strana malattia della moglie. Quel che, soprattutto, egli temeva, però, era che il rispetto della kasherùt avrebbe portato, poi, all’osservanza di altre mizvòt, fino a ritrovarsi, alla fine, una famiglia di religiosi ortodossi, ‘gente’ dalla quale egli era scappato per tutta la sua vita…
Un giorno che Igal sedeva con gli amici, cercando di distrarsi dai problemi di casa, egli sentì raccontare da uno di loro di una vecchia donna, non ebrea, che leggeva il futuro e operava prodigi e portenti. Si aprì una discussione tra di loro, se la cosa potesse essere vera o no. Igal, intanto, aveva deciso comunque di andare da lei. Chissà che non avesse ricevuto un consiglio migliore di quello di diventare ‘religioso’! L’indomani stesso, Igal si recò dalla vecchia donna. Egli spiegò la difficile situazione famigliare e le chiese un consiglio. La vecchia lo guardò e poi gli chiese: “Non sei, forse, Ebreo?” Igal annuì, con un cenno del capo. “In questo caso – continuò la donna – perché non ti rivolgi al grande rabbino degli Ebrei, che sta a New York? Lui aiuta tutti gli Ebrei ed il suo potere è molto più grande del mio. Perché non vai da lui?” Igal rimase a bocca aperta. Si pizzicò per controllare di non stare dormendo o vaneggiando. Una risposta simile, proprio non se l’aspettava. “Ci siamo già rivolti a lui – rispose Igal, con voce incerta, quasi balbettando – Ci ha detto di osservare la kasherùt.” A questo punto, la vecchia non riuscì più a capire Igal. “Se ti sei già rivolto a quel rabbino Ebreo, non capisco proprio cosa tu faccia qui. Se lui ti dice di fare qualcosa, quella è la cosa migliore che può aiutarti!” Igal cercò le parole per spiegare alla donna, quanto lei non avesse idea di come fosse complicato rispettare le regole della kasherùt, ed in genere tutte le questioni religiose. Le parole, però, gli si fermarono in gola. Il futuro della sua famiglia dipendeva dall’osservanza della kasherùt, e lui si poneva il dubbio se conveniva o no…
Igal tornò a casa, annunciando alla moglie, che si sarebbe associato a lei, in tutto ciò che riguardava il rispetto della kasherùt. Di fatto, dopo poco tempo, gli attacchi di Nechama sparirono in modo miracoloso, e la loro vita tornò a scorrere in modo sereno e tranquillo. Chi entra oggi a casa loro, non può non imbattersi nel grande ritratto del Rebbe, appeso nel salone. Questa è l’unica testimonianza silenziosa del difficile passato trascorso, ora scomparso, come se non fosse mai esistito.
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