Una mizvà che ha rimesso in piedi Pubblicato il 29 Marzo, 2012

Per i medici era un caso senza speranza: la bambina non avrebbe mai camminato. La tristezza che emanava dal volto del padre colpì il chassìd Chabàd, che non potè fare a meno di interessarsi di lui. Da lì iniziò la storia del miracolo...

Racconta rav Michàl Wishèzki, residente a Kfàr Chabàd: “Nel periodo in cui abitavo a New York, dirigevo una ditta di calzature. Avevo allora un amico Israeliano, anche lui padrone di un negozio di scarpe ed i nostri acquisti ci sforzavamo di farli insieme, per ottenere prezzi più bassi. Un giorno che mi trovavo in visita nel suo negozio, incontrai lì un Ebreo, che portava una grande kippà sulla testa, con sua moglie al fianco e la loro bimba di quattro anni. Il mio amico ci fece fare conoscenza e mi  presentò a lui come chassìd  Chabàd. Come sentì ciò, l’uomo iniziò ad interrogarmi sul Rebbe di Lubàvich, chiedendomi se è dotato di Spirito Santo, se legge nel pensiero della gente, ed altre domande simili. Sentii che c’era qualcosa dietro tutto questo suo interessamento. ‘Perchè chiedi tutto ciò?’, gli domandai allora. L’uomo indicò la sua bambina, che girava per il negozio. ‘Vedi questa bambina, che corre da un angolo all’altro? Essa nacque con una malattia, per la quale i dottori avevano garantito, che mai nella sua vita avrebbe potuto reggersi sulle proprie gambe…’ Risultò dalla conversazione  che il mio interlocutore era un ‘kibbùznik’ convinto (abitante di un kibbùz, insediamento basato sui principi di un tipo di vita collettiva, che prende le distanze da ogni fondamento e pratica religiosa). Talvolta, nel loro kibbùz, era solito venire un chassìd Chabàd, per tenere conferenze sull’Ebraismo. Il ‘kibbùznik’ raccontò che, personalmente, egli non si trovava d’accordo con niente di quello che veniva detto e così, secondo lui, la pensava la maggior parte dei presenti alle conferenze. Essi venivano solo per scoprire culture diverse e per rispetto all’oratore.

      ‘Una volta, -continuò l’uomo nel suo racconto- alla fine di una delle conferenze, l’oratore mi si rivolse e disse: ‘Hai sempre l’aria triste. Non vuoi forse raccontarmi il perché?’ La sua disponibilità mi colpì, e finii per aprire il mio cuore e raccontargli tutti i particolari del problema, che concerneva la mia bambina. ‘Come non essere tristi, avendo un figlia bella ed intelligente, che non è in grado di reggersi sulle sue gambe?’  ‘Perché non ti rivolgi al Rebbe di Lubàvich?’, chiese allora il ‘chabàdnik’, come se questa fosse la cosa più ovvia del mondo. ‘Cercai di dirgli, che io non  credo nè in D-O, né nella religione, né nei zadikìm (giusti). Il chassìd, però, non si fermò davanti alle mie parole. Egli mi fece pressione, dicendo che  dovevo fare come mi diceva per il bene di mia figlia.

    ‘Quando vide che io ero ostinato e difficile da convincere, mi chiese il permesso di scrivere egli stesso al Rebbe. Su questo diedi il mio accordo. Il ‘chabàdnik’ scrisse il testo, come se esso venisse da me, aggiungendo tutti i dettagli che gli avevo raccontato ed alla fine aggiunse, come firma, il mio nome ed il nome di mia madre.’ ‘Così è uso’, mi spiegò. ‘Dopo alcune settimane, ricevetti una lettera di risposta dal Rebbe. Il Rebbe mi scriveva che, se avessi accettato di osservare le regole halàchiche della purezza famigliare, avrei potuto meritare la benedizione di vedere mia figlia tornare in salute e reggersi sulle proprie gambe.

     ‘Ero molto colpito e sorpreso. Mi sorprendeva il fatto stesso dell’interessamento del Rebbe nei miei confronti, nonostante che egli non mi conoscesse per niente, e ancora di più mi colpiva il fatto di come egli potesse sapere, che noi non osservavamo le regole della purezza famigliare, dal momento che nella lettera non era stato immesso nessun dato riguardante il nostro rapporto con la religione. Insieme a mia moglie pensammo a lungo sulla cosa. Sapevamo che l’accettare la richiesta del Rebbe avrebbe comportato per noi un impegno molto grande. In particolare, ci lasciava molto perplessi il fare un passo in una direzione, che era completamente contraria al nostro modo di vedere la vita. In ogni caso, alla fine, decidemmo di provare, per il bene della nostra bambina. Colchabàdnik, restammo d’accordo, che alla visita seguente egli sarebbe arrivato con sua moglie, per insegnare alla mia tutte le regole della purezza famigliare.

     ‘Iniziammo così ad osservare la purezza famigliare, secondo la richiesta del Rebbe. Dopo tre mesi quasi cedemmo. Non vedevamo infatti ancora nessun cambiamento nella situazione. Fu allora che, un giorno, mentre ero seduto nel salone, immerso nella lettura dei giornali, sentii un urlo seguito da un rumore di caduta, provenire dalla cucina. Pensai al peggio. Mi precipitai verso la cucina, e là, vidi mia moglie, stesa sul pavimento, priva di sensi. La scossi finchè non riuscii a farla rinvenire e la osservai con preoccupazione. “Cosa è successo?”, le chiesi. “Non vedi?”, rispose lei  con voce strozzata. “Guarda nostra figlia!” Rivolsi lo sguardo verso la bimba, ed a quel punto fui io, che quasi svenni. La bambina, che di solito era  seduta sulla carrozzella, stava in piedi sul pavimento, ritta sulle sue gambe, mentre si teneva alla carrozzella…

    ‘Quando portammo la bambina dai dottori, essi non credevano ai loro occhi. Per loro, si trattava di un caso perduto. Da allora, per un periodo, nostra figlia fu sottoposta a dei trattamenti fisioterapici, ed oggi ella corre sulle sue gambe, come ogni altro bambina. Ora – egli concluse – siamo venuti in America per incontrare il Rebbe di Lubavich e mostrargli la nostra bambina guarita. Nel kibbùz, tutti conoscono la nostra storia e molti, in seguito a ciò, hanno avuto un risveglio e si sono uniti a noi. Anche se non indossano la kippà come me, e nonostante che  mangino tarèf (cibi non permessi dalla religione Ebraica), e viaggino di sabato, sulle leggi della purezza famigliare non sgarrano…”

Lascia un commento

Devi essere registrato per pubblicare un commento.