Una mizvà che ha rimesso in piedi Pubblicato il 29 Marzo, 2012
Per i medici era un caso senza speranza: la bambina non avrebbe mai camminato. La tristezza che emanava dal volto del padre colpì il chassìd Chabàd, che non potè fare a meno di interessarsi di lui. Da lì iniziò la storia del miracolo...
‘Una volta, -continuò l’uomo nel suo racconto- alla fine di una delle conferenze, l’oratore mi si rivolse e disse: ‘Hai sempre l’aria triste. Non vuoi forse raccontarmi il perché?’ La sua disponibilità mi colpì, e finii per aprire il mio cuore e raccontargli tutti i particolari del problema, che concerneva la mia bambina. ‘Come non essere tristi, avendo un figlia bella ed intelligente, che non è in grado di reggersi sulle sue gambe?’ ‘Perché non ti rivolgi al Rebbe di Lubàvich?’, chiese allora il ‘chabàdnik’, come se questa fosse la cosa più ovvia del mondo. ‘Cercai di dirgli, che io non credo nè in D-O, né nella religione, né nei zadikìm (giusti). Il chassìd, però, non si fermò davanti alle mie parole. Egli mi fece pressione, dicendo che dovevo fare come mi diceva per il bene di mia figlia.
‘Quando vide che io ero ostinato e difficile da convincere, mi chiese il permesso di scrivere egli stesso al Rebbe. Su questo diedi il mio accordo. Il ‘chabàdnik’ scrisse il testo, come se esso venisse da me, aggiungendo tutti i dettagli che gli avevo raccontato ed alla fine aggiunse, come firma, il mio nome ed il nome di mia madre.’ ‘Così è uso’, mi spiegò. ‘Dopo alcune settimane, ricevetti una lettera di risposta dal Rebbe. Il Rebbe mi scriveva che, se avessi accettato di osservare le regole halàchiche della purezza famigliare, avrei potuto meritare la benedizione di vedere mia figlia tornare in salute e reggersi sulle proprie gambe.
‘Ero molto colpito e sorpreso. Mi sorprendeva il fatto stesso dell’interessamento del Rebbe nei miei confronti, nonostante che egli non mi conoscesse per niente, e ancora di più mi colpiva il fatto di come egli potesse sapere, che noi non osservavamo le regole della purezza famigliare, dal momento che nella lettera non era stato immesso nessun dato riguardante il nostro rapporto con la religione. Insieme a mia moglie pensammo a lungo sulla cosa. Sapevamo che l’accettare la richiesta del Rebbe avrebbe comportato per noi un impegno molto grande. In particolare, ci lasciava molto perplessi il fare un passo in una direzione, che era completamente contraria al nostro modo di vedere la vita. In ogni caso, alla fine, decidemmo di provare, per il bene della nostra bambina. Colchabàdnik, restammo d’accordo, che alla visita seguente egli sarebbe arrivato con sua moglie, per insegnare alla mia tutte le regole della purezza famigliare.
‘Iniziammo così ad osservare la purezza famigliare, secondo la richiesta del Rebbe. Dopo tre mesi quasi cedemmo. Non vedevamo infatti ancora nessun cambiamento nella situazione. Fu allora che, un giorno, mentre ero seduto nel salone, immerso nella lettura dei giornali, sentii un urlo seguito da un rumore di caduta, provenire dalla cucina. Pensai al peggio. Mi precipitai verso la cucina, e là, vidi mia moglie, stesa sul pavimento, priva di sensi. La scossi finchè non riuscii a farla rinvenire e la osservai con preoccupazione. “Cosa è successo?”, le chiesi. “Non vedi?”, rispose lei con voce strozzata. “Guarda nostra figlia!” Rivolsi lo sguardo verso la bimba, ed a quel punto fui io, che quasi svenni. La bambina, che di solito era seduta sulla carrozzella, stava in piedi sul pavimento, ritta sulle sue gambe, mentre si teneva alla carrozzella…
‘Quando portammo la bambina dai dottori, essi non credevano ai loro occhi. Per loro, si trattava di un caso perduto. Da allora, per un periodo, nostra figlia fu sottoposta a dei trattamenti fisioterapici, ed oggi ella corre sulle sue gambe, come ogni altro bambina. Ora – egli concluse – siamo venuti in America per incontrare il Rebbe di Lubavich e mostrargli la nostra bambina guarita. Nel kibbùz, tutti conoscono la nostra storia e molti, in seguito a ciò, hanno avuto un risveglio e si sono uniti a noi. Anche se non indossano la kippà come me, e nonostante che mangino tarèf (cibi non permessi dalla religione Ebraica), e viaggino di sabato, sulle leggi della purezza famigliare non sgarrano…”
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