L’ospite tanto atteso Pubblicato il 26 Novembre, 2014

L’uomo anziano si avvicinò ad Yzchak, gli strinse la mano con entusiasmo e, saltando ogni preambolo, gli chiese in un inglese stentato e con un tono quasi di supplica di accettare di essere suo ospite per il Sabato. Al termina della preghiera, lo condusse a casa sua, dove viveva da solo, ma Yzchak, entrando, vide la tavola in mezzo alla stanza, apparecchiata per due! Il vecchio lesse lo stupore sul suo viso, sorrise e disse che l’aspettativa di avere finalmente un ospite per il Sabato era così grande, che da anni ormai egli era solito preparare un altro piatto, per ogni eventualità...

OLYMPUS DIGITAL CAMERAQuesta storia ebbe luogo quasi cinquant’anni fa quando, un venerdì mattina, Yzchak, uomo d’affari londinese ed Ebreo osservante, appartenente ad un movimento chassidico, stava rientrando a casa da un viaggio di affari. Era partito di buon’ora per essere certo di arrivare a Londra prima dell’inizio del Sabato. Quando però la sua auto ebbe un guasto, che lo costrinse a farsi trainare fino ad un’autorimessa nella città più vicina, i suoi piani dovettero per forza essere rivisti. Infatti, nonostante l’ottimismo iniziale del meccanico, il guasto richiese un tempo molto più lungo del previsto per essere riparato e a quel punto risultò chiaro ad Yzchak che non gli restava altra scelta se non quella di passare il Sabato in quella cittadina sperduta, arrangiandosi come poteva. Trovato un telefono, chiamò la sua famiglia per avvisare che non sarebbe tornato. Grazie a D-O, le sue ricerche lo portarono a scoprire l’esistenza di una sinagoga, il che voleva dire che qualche altro Ebreo doveva pur esserci in quel posto. Trovata una stanza in un albergo, Yzchak si rifornì al supermercato di qualche provvista, quel poco di kasher che gli fu possibile trovare, dopodiché tornò nella sua stanza, dove si preparò per il Sabato. Sul far della sera, si recò alla sinagoga. Si trattava di una struttura relativamente imponente, tenendo conto della sua dislocazione: un’area dell’Inghilterra non certo conosciuta per la presenza di comunità Ebraiche. Purtroppo, tuttavia, il luogo si rivelò pressoché deserto. A stento, alla fine, si riuscì a riunire il numero minimo di dieci Ebrei (miniàn), necessario per la preghiera in pubblico. Molti di essi, poi, non avevano per nulla l’apparenza di Ebrei particolarmente osservanti. Fra di essi, però, spiccava un uomo anziano, chiaramente ortodosso, con una folta barba, che, dopo avergli fatto un cenno di saluto col capo, si avvicinò ad Yzchak per stringergli la mano con calore, prima dell’inizio della preghiera. Poi, durante il servizio, quando ci fu un breve intervallo, di nuovo l’uomo si avvicinò ad Yzchak, gli strinse la mano con entusiasmo e, saltando ogni preambolo, gli chiese in un inglese stentato e con un tono quasi di supplica di accettare di essere suo ospite per il Sabato. Ci volle un po’ perché Yzchak capisse che era inglese, quello che l’uomo parlava, e a comprendere quindi cosa stesse dicendo. “Mi state invitando per il Sabato?”, gli chiese, così da avere conferma di aver capito bene. Quando l’uomo sorrise e scosse la testa in cenno affermativo, Yzchak gli rispose in Yddish che sarebbe stato felice di accettare l’invito. Il volto vecchio si illuminò e, senza aggiungere altro, egli tornò al proprio posto, fino al termine della preghiera. A quel punto, i due uscirono insieme. L’uomo si presentò come Yacov Frankenovich, ma tutti lo chiamavano Yankel. Si scusò per il fatto di abitare al quarto piano e per tutte le scale che avrebbero dovuto fare. Quando arrivarono in cima, Yzchak capì cosa aveva voluto dire. Dopo la prima rampa, Yankel aveva già il respiro molto pesante, reso ancora più difficile da ripetuti attacchi di tosse. L’arrampicata fu così molto lenta e difficoltosa. L’appartamento era piccolo: un’unica stanza da letto. Il fatto poi che nessuno fosse lì ad accoglierli fece capire ad Yzchak che il vecchio viveva da solo. Eppure, la tavola in mezzo alla stanza era apparecchiata per due! Poteva essere che l’uomo sapesse del suo arrivo? Di certo non vi era nessun altro ospite che egli potesse aspettare. Il vecchio lesse lo stupore sul suo viso, sorrise e disse che l’aspettativa di avere finalmente un ospite per il Sabato era così grande, che da anni ormai egli era solito preparare un altro piatto, per ogni eventualità. Il pasto si rivelò sorprendentemente molto piacevole. Per ore parlarono di Torà e cantarono assieme melodie del Sabato. Quando si fece ormai veramente tardi, contento, ma stanco, Yzchak si alzò da tavola, pronto ad accomiatarsi e a tornare al suo albergo. Il vecchio Yankel, però, lo pregò ripetutamente di essere suo ospite anche per la notte. Iniziò a preparargli un letto, trasformando in tale il suo divano. Nonostante avesse pagato la stanza all’hotel, Yzchak si rese conto dell’importanza che la sua permanenza avrebbe rappresentato per il vecchio, e non poté che accettare. Gli venne però naturale domandarsi come mai Yankel, durante tutti quegli anni, non si fosse mai trasferito in una città più grande, con una comunità Ebraica più nutrita, dove avrebbe potuto trovare altri religiosi ortodossi come lui. Quando però gli rivolse direttamente la domanda, Yankel disse di essere troppo stanco, e rimandò la risposta all’indomani. Durante la notte, Yzchak sentì Yankel tossire, e quando al mattino gli attacchi di tosse si fecero ancora più forti, cercò di convincere il vecchio a restare a casa. Yankel però non fu disposto neanche per un attimo a prendere in considerazione l’ipotesi di non recarsi alla sinagoga, per la funzione del mattino. Durante il giorno vi furono occasioni per molte altre conversazioni fra i due, che diventarono veri amici. Yzchak era impressionato dalla fede così salda del suo compagno e dall’innocenza con cui egli serviva D-O con tutto il cuore. Verso la fine del Sabato, come promesso, Yankel rispose alla curiosità del suo nuovo amico. Egli era nato in Russia, ma quando la situazione lì era diventata ormai così insicura per gli Ebrei, il nonno decise di trasferirsi in Inghilterra con tutta la sua famiglia. Così essi si stabilirono in quella piccola cittadina, dove vissero in povertà, ma felici di essere liberi dall’oppressione. Incoraggiate dal loro insediamento, altre famiglie Ebree decisero di trasferirsi lì, fino al formarsi di una vera e propria comunità. Fu costruita allora anche quella bella sinagoga e per un periodo svolse lì il suo ruolo anche un rabbino. Nonostante fossero stati i fondatori della comunità, i nonni si mantennero sempre umili, cordiali ed ospitali con tutti, provvedendo ad aiutare sempre i bisognosi in ogni modo possibile. Poi, arrivò il ‘progresso’, e la generazione successiva preferì la grande città, andandosene per la maggior parte. Il nonno di Yankel, però, si rifiutò sempre di lasciare il posto. In quanto fondatore e pilastro della comunità, se ne riteneva responsabile e, prima di morire, chiese a Yankel di non abbandonare mai la comunità. “Chi lo sa?” disse suo nonno prima di morire. “Forse un giorno si presenterà un viaggiatore Ebreo, e tu potrai compiere il meraviglioso precetto dell’ospitalità.” E Yankel, da Ebreo semplice che era, non fece domande e rimase. Improvvisamente Yzchak si rese conto di essere quell’ospite che il suo nuovo amico aveva aspettato per tutti quegli anni, forse anche decenni! Lacrime riempirono i suoi occhi. La voce del vecchio a quel punto fu interrotta da un altro violento attacco di tosse. Quando poté continuare, disse: “La prego, non sia dispiaciuto per me. Anzi, il contrario. Lei non ha idea di quanto io le sia grato, per avermi dato quest’opportunità di adempiere al precetto dell’ospitalità. Ora sento finalmente di aver compiuto la missione lasciatami da mio nonno.” Quando, al termine del Sabato, salutai il mio amico, gli promisi di tornare presto a trovarlo. Ero preoccupato per la sua salute, e volevo comunque portargli un regalo di ringraziamento. Trascorsi alcuni giorni dal mio ritorno a casa, decisi finalmente di ripartire per quella cittadina. Appena arrivato, mi diressi subito a casa di Yankel e, non trovandolo, pensai fosse in sinagoga. Quando vi arrivai però, trovasi solo l’inserviente che, alla mia domanda, rispose: “Yankel? L’altro giorno, domenica è venuto qui, ha cominciato a tossire, è caduto per terra e, all’arrivo dell’ambulanza, era già tardi. È morto proprio qui! Ma, un momento, voi, non siete l’ospite dello scorso Sabato? Siete voi, Yzchak, vero? Solo un attimo, ho qualcosa per voi.” Così detto, andò a prendere un pacco sul quale spiccava il nome di Yzchak. Yankel lo aveva lasciato sul proprio tavolo. Con grande emozione lo aprì. Vi erano alcuni libri ed una lettera: “Yzchak, mio caro amico, sento di essere alla fine dei miei giorni. La tua visita mi ha procurato tanta gioia e spero che il merito dell’ospitalità testimoni a mio favore in Cielo. Ti lascio il mio libro di preghiere e la mia Bibbia, insieme al mio più cordiale augurio che tu possa crescere i tuoi figli nelle vie della Torà.” Yzchak pianse in silenzio. Quando sentì che non vi sarebbe stato nessuno a dire kaddish per la sua anima, promise di farlo egli stesso. Da quel giorno, Yzchak stabilì come regola a casa sua di aggiungere sempre un posto in più a tavola, per qualsiasi ospite si fosse potuto presentare e fece sempre del suo meglio per invitarne qualcuno. Questo fu anche il suo modo di ricordare sempre il suo vecchio amico ed il precetto che gli era stato così caro.

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