Impariamo dalle compagnie assicurative! Pubblicato il 1 Agosto, 2016
Anche dalla professione dell'assicuratore si può ricavare un importante insegnamento riguardo al nostro servizio Divino!
Dice un Salmo (34:13 – 14): “Chi è l’uomo che desidera la vita…? Trattieni la tua lingua dal parlare male e le tue labbra dal dire parole ingannevoli.” Esiste una professione che propone un approccio completamente opposto, concentrandosi tutta su cosa accadrebbe, se una persona non vivesse a lungo. Si tratta del venditore di polizze di assicurazione sulla vita. È una professione difficile, che comporta lo spiacevole compito di ricordare alla gente che essa non è destinata a vivere per sempre. La maggior parte delle persone preferirebbe fare programmi per la vita, piuttosto che il contrario. Cosa motiva una persona a diventare un agente assicurativo? Il bisogno di guadagnarsi la vita, ovviamente. Altrimenti l’agente non andrebbe a disturbare le altre persone, ricordando loro spiacevoli eventualità. Comunque, l’agente crede di avere il potere di persuasione che può essere usato per effettuare le vendite. Certamente, è nel migliore interesse della compagnia assicurativa che l’acquirente della polizza viva per un tempo molto lungo, poiché essa è obbligata ad iniziare il pagamento solo dopo il trapasso del cliente; se il cliente è benedetto con una lunga vita, sia lui che la compagnia saranno soddisfatti. Tutto l’incentrarsi sull’eventualità opposta, non sono altro che parole, che ci si auspica non si realizzino. L’agente ne parla solo quel tanto che è necessario per convincere il cliente a pagare la sua quota mensile. Questo stesso principio si applica al rapporto fra l’anima e il corpo. Vi sono due approcci. Quello della morale, che è di intraprendere digiuni e penitenze per ‘uccidere’ l’anima animale dell’uomo, imponendosi privazioni fisiche, digiunando e ponendo l’attenzione sulla propria mortalità. Il secondo approccio, che è da preferirsi, è simile al venditore di assicurazioni sulla vita. Il suo ricordare che non vivrà per sempre è solo momentaneo, e restano solo parole. Serve solo allo scopo di ottenere il ‘pagamento’, la partecipazione del corpo all’osservanza dei precetti. Questo secondo approccio riconosce il valore del corpo dell’Ebreo e l’importanza di mantenerlo in salute per buoni e lunghi anni, così come la compagnia assicurativa vuole vedere vivere a lungo i suoi clienti.
(Da un discorso del 12 Tamùz, 5711 – Toràt Menachem, vol. 3, pag. 188)