La cravatta Pubblicato il 16 Novembre, 2016
Il caso lo aveva fatto incappare in un terribile scocciatore, che non sembrava per nulla disposto ad arrendersi, finchè non scoprì che, qui, 'il caso', non c'entrava proprio per niente...!
Chaim, allora allievo della yeshivà centrale di Chabàd, situata nel Beit Midràsh del Rebbe, a New York, era solito dedicare ogni venerdì, alcune ore del suo tempo ad offrire l’opportunità ed il merito ad altri Ebrei di compiere la mizvà dei Tefillìn: “mivzaìm”, come viene chiamata questo tipo di attività, nel lessico dei Chabàd. Di fatto, non solo Chaim, ma anche i suoi compagni di yeshivà, come tutti gli allievi delle yeshivòt Chabàd del mondo, dedicano le ore del pomeriggio del venerdì a queste attività. Chaim e un gruppo di compagni erano soliti recarsi a Manhattan, dove passavano in rivista, ogni venerdì, con costanza, una serie di uffici di lusso, ormai considerati un loro ‘territorio’. In genere, riuscivano bene. Solo in un posto, si erano imbattuti in un “iceberg” irremovibile. Si trattava di un ufficio di avvocati Ebrei, che contava molti impiegati dall’aria, per la maggior parte, sempre molto affaccendata ed incurante della loro presenza. Quelli che erano, sì, interessati a mettersi i Tefillìn, incappavano in reazioni per niente simpatiche, da parte del direttore dell’ufficio. Le volte che il direttore stesso incontrava quegli ospiti, a lui indesiderati, si preoccupava di farli ‘congedare’ al più presto, con elegante antipatia. Mormorava qualcosa, in direzione della segretaria, la quale, dopo pochi minuti, li invitava, gentilmente, ad andarsene. Le cose continuarono in questo modo per sei mesi, senza che i giovani, comunque, si arrendessero. Ogni venerdì essi continuarono a passare da quell’ufficio, nella speranza di vedere formarsi una fenditura in quell’“iceberg”. Un venerdì, mentre, in una stazione della metropolitana, Chaim e i suoi compagni erano ancora in attesa del treno che li avrebbe portati alla loro destinazione, un venditore ambulante, un tipico Messicano, si rivolse a Chaim: “Signore mio, ho per lei una cravatta nera, che le starà d’incanto”. “No, grazie”, tagliò corto Chaim. “Io non amo le cravatte”. “No! No!”, insistette il Messicano. “Lei ha bisogno di una cravatta. Una persona importante, con una camicia bianca come la sua, deve portare una cravatta. Ecco, le faccio lo sconto. Prenda questa cravatta, che vale sette dollari, per soli cinque dollari.” “Mi dispiace, ma io non voglio una cravatta!”, rispose Chaim con tono deciso. L’uomo, però, non era disposto a lasciare la presa. “Questa cravatta sembra fatta apposta per lei! Provi a metterla e vedrà come le starà bene! Lei deve”… Chaim ed i suoi compagni capirono che quel seccatore di un ambulante sarebbe stato capace, come niente, di salire persino con loro sul prossimo treno, se non gli avessero comprato la cravatta. Essi decisero, quindi, di fare una colletta di uno o due dollari ciascuno, e di liberarsi così, finalmente, di quell’importuno. Cravatta e denaro cambiarono di mano, e Chaim tirò un sospiro di sollievo. Da tempo non gli capitava di incappare in un simile seccatore. La storia, però, non era finita. “Signore mio”, disse il Messicano, avvicinandosi a Chaim, “non le ho mica venduto la cravatta così, tanto per fare. Questa cravatta, lei la deve indossare veramente! La farà figurare proprio bene!” Chaim non fece in tempo a fiatare, che quell’ambulante gli aveva già sfilato la cravatta di mano e gliela stava mettendo intorno al collo. “Si chini un po’…alzi il colletto della camicia e…ah,ecco! Proprio bello, adesso sì, fa davvero una bella figura”, lo fissò il venditore, rimirando con soddisfazione la propria opera. In quello stesso momento arrivò il treno e Chaim con i suoi amici vi salirono. Chissà cos’altro sarebbe successo, se il treno avesse tardato ancora… Il gruppo di giovani compì il suo solito percorso, fino a che, come tutte le settimane, arrivò anche all’ultimo recapito: il famoso ufficio di quegli avvocati. Essi uscirono dall’ascensore, al quindicesimo piano di un edificio lussuoso, ed entrarono nell’ingresso ricoperto di marmo lucido, con l’intenzione, perlomeno, di lasciare qualche pubblicazione di Ebraismo a disposizione di quegli impiegati, che forse potevano esservi interessati. Se non che, proprio in quel momento, ecco fare la sua comparizione il ‘boss’. “Chi siete? Cosa volete?”, domandò loro, come se li vedesse per la prima volta. “Siamo allievi del Rebbe di Lubavich”, decise di rispondere Chaim, innocentemente, come se quella fosse la prima volta, che essi entravano lì. “Siamo venuti a vedere se vi sono qui Ebrei, che vogliono compiere la mizvà dei Tefillìn”. Adesso, pensò fra sé e sé, arriva l’ordine di farci ‘buttar fuori’. Il direttore, invece, li guardò per un istante in silenzio, dopodichè, indicando Chaim, disse: “Tu, vieni con me”. All’interno dell’ufficio, dietro la porta chiusa, il direttore si rivolse a Chaim in modo diretto: “Voglio mettere i Tefillìn.” Quando, dopo aver finito, l’avvocato si tolse i Tefillìn, il suo volto era leggermente arrossato. “Certo vorrai sapere, cosa mi è successo, all’improvviso”, disse, rivolto a Chaim. Chaim assentì, con un cenno del capo, ammutolito per lo stupore. L’uomo sospirò profondamente. “Le cose stanno così: il nostro ufficio ha perso, nell’ultimo periodo, delle cause molto importanti. In più, sono sorti una serie di problemi a livello personale, per i quali non vedo via d’uscita. Sentivo bisogno di aiuto, ma non sapevo a chi rivolgermi. Cercavo qualcuno, al quale gli importasse veramente di me. Ieri, mi è capitato sotto gli occhi, uno di quei fogli che lasciate qui, con la foto del Rebbe. L’aspetto solenne del suo volto, mi colpì molto. Cominciai a pensare che, forse, una personalità religiosa, fosse l’indirizzo giusto per me. Arrivato a casa, andai a dormire, con la testa piena di pensieri. Fu allora, che vidi in sogno il Rebbe di Lubavich. Il Rebbe mi rivolse un sorriso luminoso, ed io mi sentii inondato da una sensazione di grande elevazione. Chiesi al Rebbe se poteva aiutarmi, ed il Rebbe, continuando a sorridermi, mi rispose: ‘Ma io già ti mando, ogni venerdì, un gruppo di miei allievi con i Tefillìn’….. Ero imbarazzato. ‘Ma Rebbe’, cercai di districarmi, ‘il loro modo di vestire, è così sciatto e trascurato, che non riesco neanche ad avvicinarmi. Addirittura, neppure uno di loro indossa la cravatta!’. Il Rebbe, con lo stesso sorriso carezzevole sul viso, mi disse: ‘È una cravatta, che vuoi? Va bene. Questa volta verrà uno con la cravatta!’ A quel punto, mi svegliai. Ora capisci”, disse il direttore, cercando di nascondere una lacrima, che gli spuntava dall’angolo dell’occhio, “quando ti ho visto, per la prima volta con la cravatta, ho capito che non si era trattato di un semplice sogno. Il sogno si è ben conciliato con la realtà”…
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