Il Santuario interiore Pubblicato il 7 Febbraio, 2019
La Presenza Divina risiede nel Santuario interiore di ogni Ebreo. Ricostruendo il nostro Santuario interiore, risvegliando la scintilla di Moshiach che esiste dentro di noi, noi fungiamo da catalizzatore collettivo per Moshiach, portando così la rivelazione della Redenzione.
Nella parashà che descrive la costruzione del Tabernacolo e dei suoi oggetti, vi è un verso famoso per l’interpretazione che ne viene data: “Mi faranno un Santuario, ed Io risiederò in essi”. Il comando di costruire un Santuario utilizza il pronome plurale “essi”. Grammaticalmente si sarebbe dovuto dire: “Mi faranno un Santuario ed Io risiederò in esso”. Dal momento però che D-O dice che Egli risiederà in “essi”, i nostri Saggi spiegano che “essi” si riferisce al popolo Ebraico. Con la costruzione di un Santuario, la Presenza Divina dimorerà in ogni Ebreo. Vediamo qui che il concetto di Santuario acquista un duplice significato: da un lato, esso si riferisce ad una struttura fisica, sia nel caso del Tabernacolo nel deserto, sia in quello del Tempio a Gerusalemme. Qui venivano portati i sacrifici. Tutti i vari utensili – l’altare, il candelabro, ecc. – avevano funzioni che contribuivano al processo. Attraverso i sacrifici e le procedure che li accompagnavano, la Presenza Divina diveniva manifesta nel Santuario. Da un altro lato, il Santuario è una struttura interiore, rappresentata dalla condotta e dal pensiero dell’individuo. Ogni Ebreo può costruire un Santuario personale ed interiore, ed anche lì la Presenza Divina vi risiederà. Con una analogia, noi possiamo vedere come ciò che esiste nel Santuario esteriore, materiale, e cioè l’edificio ed i suoi utensili, esista anche all’interno di ogni Ebreo. Una volta compresa la funzione e lo scopo di ogni particolare oggetto del Tempio, si potrà scoprirne l’equivalente anche dentro di noi. Questo parallelo ci offre un importante lezione. Noi sappiamo che Moshiach ricostruirà il Tempio, cosa che, insieme al raduno dei dispersi, permetterà di riconoscere con certezza assoluta l’identità di Moshiach. Ora, come dicono i nostri Saggi, la Presenza Divina risiede nel Santuario interiore di ogni Ebreo, così come essa risiede nella struttura fisica del Tempio. Gli sforzi dell’individuo di santificarsi, di interiorizzare la santità della Presenza Divina, corrispondono agli utensili ed alle attività svolte nel Tempio, secondo le prescrizioni della Torà. Ciò che accade nell’intimo ad ogni Ebreo corrisponde a ciò che accade esteriormente al Tempio. Il Tempio è stato distrutto ed il popolo Ebraico è in esilio. In qualche modo, il nostro Santuario interiore può essere distrutto. Ma come il Tempio a Gerusalemme può essere e sarà ricostruito, così anche noi possiamo ricostruire il nostro Santuario interiore. E si può dire che di fatto, ricostruendo il nostro Santuario interiore, risvegliando la scintilla di Moshiach che esiste dentro di noi, noi fungiamo da catalizzatore collettivo per Moshiach, portando così la rivelazione della Redenzione. Permettendo alla Presenza Divina di dimorare apertamente dentro di noi, noi causeremo contemporaneamente la rivelazione di Moshiach e la ricostruzione del Tempio.
L’Arca e l’altare
Tenendo a mente questo parallelo, esaminiamo ora più da vicino la funzione di due componenti, in qualche modo principali, del Santuario: l’Arca Santa e l’altare. L’Arca ospitava la Torà, ma era attraverso i sacrifici, che il popolo Ebraico dimostrava il proprio rapporto e la propria sottomissione a D-O. Il sacrificio è il prototipo di ciò che è la ‘mizvà’. Mizvà infatti significa precetto ma anche collegamento, e sia i sacrifici sia le mizvòt rappresentano un’iniziativa da parte dell’uomo di avvicinarsi e collegarsi a D-O. In questo modo, quindi, attraverso le mizvòt, esemplificate dal servizio dei sacrifici, la Presenza Divina viene a risiedere nel Tempio. Si può parlare di due luoghi: il primo, il Santuario stesso, il luogo delle mizvòt, rappresentate dai sacrifici, dove dimorava la Presenza Divina; il secondo, l’Arca, il luogo dove erano custoditi i Dieci Comandamenti, dove risiedeva la Torà. Qual’è la differenza fra l’altare e l’Arca, fra le mizvòt e la Torà? E, ugualmente importante, come ricostruire, metaforicamente, l’Arca e l’altare dentro noi stessi? Ricostruendo il nostro “Tempio interiore”, noi prepariamo la nostra parte di mondo alla venuta di Moshiach. In generale, un Ebreo è unito a D-O in uno di due modi: studiando la Torà o adempiendo alle mizvòt. Nello studio, quando comprendiamo veramente e completamente il soggetto, noi diveniamo completamente e totalmente uniti alla Torà. L’Ebreo e la Torà divengono un’entità unica. D’altro canto, quando noi compiamo una mizvà, adempiamo alla volontà Divina. La persona diviene una “carrozza” o un “veicolo”, ma non diviene una cosa sola con la mizvà. La mizvà e l’Ebreo rimangono due cose separate. Il Santuario deve contenere sia la Torà sia le mizvòt, sia l’Arca sia l’altare.
Due aspetti indispensabili
Noi dobbiamo tenere a mente lo scopo della costruzione del Santuario: creare una dimora per la Presenza Divina. Questa dimora, questo Santuario, sia nel caso della struttura fisica a Gerusalemme, sia nel caso della struttura interiore di ‘cuore, mente ed azioni’, presenta due aspetti. Nel primo, il Divino deve essere apertamente rivelato, dimostrando l’unità interiore della Presenza Divina e del suo Santuario. Questo è l’aspetto della Torà. Nel secondo aspetto, la Presenza Divina deve dimorare nei regni inferiori, il luogo della materialità. Questo è l’aspetto delle mizvòt, che si rivestono di oggetti materiali. La distinzione fra la Torà e le mizvòt, fra l’Arca e l’altare, deriva dalla loro natura fondamentale. Come dice lo Zohar, la Torà e D-O sono una cosa sola. D’altro canto, le mizvòt sono chiamate gli “organi del re”. Gli organi del corpo sono asserviti all’anima, ma non sono uniti ad essa. Così, quando un Ebreo studia la Torà, egli si collega e si unisce a D-O. Quando un Ebreo compie una mizvà, nonostante si tratti della volontà Divina ed egli si sottometta così a D-O, lui e il Divino non si fondono in un’unica esistenza. Noi possiamo ora comprendere perchè il nostro compito richieda sia la Torà sia le mizvòt. Per fare di questo mondo fisico una dimora per D-O, sono necessari entrambi gli aspetti. Ovviamente, con l’arrivo di Moshiach si realizzerà lo scopo della Creazione, così come ovviamente egli non potrà venire e costruire il Terzo Tempio a Gerusalemme, fino a che noi non avremo costruito il nostro Tempio interiore. E fare ciò comporta costruire sia l’Arca, sia l’altare. In altre parole, per trasformare questo mondo, il più inferiore fra i mondi, in una dimora per l’Essenza Stessa di D-O, sono necessarie due cose: qualcosa che attragga dall’Alto l’Essenza Divina e qualcosa che assicuri che l’Essenza Divina venga attratta nel mondo più inferiore. Lo studio della Torà fa discendere l’Essenza Divina, dal momento che D-O e la Torà sono una cosa sola. La Torà di per sè rimane però più in alto del mondo; essa non permette agli oggetti fisici di rivestirsi dell’Essenza Divina. D’altro lato, le mizvòt, che devono essere compiute con l’uso di oggetti materiali come la pelle usata per i tefillìn o la pergamena per le mezuzòt, raffinano e purificano l’oggetto stesso, facendo discendere il Divino nella sostanza materiale stessa. Certamente, ci sono momenti in cui lo studio della Torà o il compimento delle mizvòt non ci sembrano per niente facili e, di fatto, a ognuno può succedere di trasgredire ad un precetto, a prescindere dal suo livello di studio o di osservanza. Quando l’anima entra nel corpo, infatti, si trova ad affrontare tentazioni e distrazioni. Ciò accade persino ad un grande studioso di Torà. Cosa dire quindi dell’Ebreo ignorante o di colui che è pieno di trasgressioni? Quale protezione, quale Santuario egli avrà? Con cosa egli costruirà un Tempio? I nostri Saggi ci dicono che ogni Ebreo è pieno di mizvòt, come una melagrana è piena di chicchi. Noi dobbiamo riconoscere che i nostri peccati e le nostre trasgressioni sono temporanei ed esteriori. La reale esistenza dell’Ebreo sono la Torà e le mizvòt che egli possiede. Tramite il nostro studio – e lo studio conduce all’azione – noi costruiamo, mattone su mattone, per così dire, il nostro Santuario interiore. Con ogni mizvà quindi, noi aggiungiamo un mattone al Terzo Tempio. All’arrivo di Moshiach noi vedremo il compimento della nostra opera.
(Basato su Likutèi Sichòt vol. 16, pag. 434-442)
Lascia un commento
Devi essere registrato per pubblicare un commento.