Il ‘rabbino’ laico Pubblicato il 4 Agosto, 2021
La proposta di ricoprire la carica di rabbino della piccola comunità Ebraica di Hobart lasciò sconcertato Michael Hasofer, che si era appena trasferito lì. “Voi dovete capire ... Io sono un laico, anzi, sono completamente ateo! Non ho alcun legame con questioni religiose. Sono l’ultimo che può farvi da rabbino, nella vostra comunità!” Ma a niente valsero le sue proteste. Fu da lì, che poi....
Michael e Atarà Hasofer avevano deciso di lasciare la loro vita israeliana, la loro casa e le loro abitudini, per trasferirsi con i loro figli nella città di Hobart, nella lontana isola australiana di Tasmania. La madre di Michael, che viveva lì, era riuscita a convincerli a quel grande passo. Dopo un lungo viaggio, l’intera famiglia arrivò alla fin fine in quella lontana terra e in breve tempo si insediò. Alla nonna non parve vero di poter vedere finalmente i nipotini. Michael frequentò i corsi di statistica matematica all’università, mentre sua moglie seguì quelli di psicologia. I bambini furono iscritti alla scuola statale, evidentemente non ebraica. Michael era cresciuto in un kibbùz e non era mai venuto in contatto con l’Ebraismo. Atarà era cresciuta in Francia, in una famiglia tradizionalista. Invano da bambina aveva cercato di conoscere il perché degli usi osservati in casa. Non avendo ottenuto risposte dai genitori, decise alla fine che, evidentemente, quei riti non avevano una grande importanza e, crescendo, li abbandonò. Con sua sorella si trasferì in Israele, dove conobbe Michael e si sposò. A Hobart vivevano una trentina di famiglie ebree che, pur non osservando la Torà, ci tenevano a mantenere un qualche contatto con l’Ebraismo. Di Sabato e nelle Feste si riunivano in sinagoga, arrivandovi in macchina, completamente ignari dell’halachà. Quella piccola comunità non aveva un rabbino che li guidasse. Uno di loro, Jack Adelstein, pur non avendo alcuna conoscenza di Torà, ma sapendo leggere l’ebraico, era stato nominato responsabile per tutto ciò che riguardava la sinagoga e aveva il compito di fungere da ‘cantore’ nella preghiera e di leggere la Torà. Tutto il rito era condotto nell’ignoranza più totale, ma ciò non mise mai in discussione la volontà di quella piccola comunità di mantenere in qualche modo acceso il loro legame con l’Ebraismo. Una sera, la famiglia Hasofer ricevette una visita: una distinta delegazione si presentò alla loro porta, destando non poca meraviglia. Alla richiesta di parlare con il signor Hasofer, Atarà andò a chiamare il marito, dopo aver fatto accomodare i visitatori. Davanti ad una tazza di te, Ray, il capo della delegazione, espose lo scopo di quella visita: Jack Adelstein, il precedente incaricato alla funzione di ‘rabbino’, doveva lasciare la città!… Michael non capiva come la cosa lo riguardasse, finché Ray chiarì il punto: “Siamo stati incaricati dalla comunità ebraica di Hobart di informarvi che abbiamo deciso all’unanimità la vostra nomina, signor Michael Hasofer, a prossimo ‘cantore’ e lettore della Torà, nella veste di nuovo rabbino della nostra comunità”…! Michael non poté trattenere una risata. “Signori, sono grato per la fiducia che riponete in me, ma mi dispiace deludervi: io non sono assolutamente adatto all’importante posizione che mi offrite…” Quelli però insistettero imperturbabili: “Lei è il più adatto! È israeliano, parla correntemente l’ebraico e lo legge. È esattamente quello che ci serve!” Michael capì di trovarsi in una situazione per niente facile e cercò di spiegare loro con la massima chiarezza il problema legato a quella nomina. “Voi dovete capire … Io sono un laico, anzi, sono completamente ateo! Non ho alcun legame con questioni religiose. Sono l’ultimo che può farvi da rabbino, nella vostra comunità!” Le sue parole non cambiarono però l’opinione dei loro ospiti. Ray rispose: “Nessuno vi chiede di cambiare la vostra visione del mondo. Non è necessario che diventiate un credente o un religioso osservante. Noi le chiediamo solo di seguire le istruzioni sul libro di preghiere, in modo da poterci fare da ‘cantore’ e da leggere per noi la Torà. Lei è l’unico in grado di farlo, a Hobart.” Prima ancora che potesse reagire, Ray concluse: “In ogni caso, per quel che ci riguarda, la questione è chiusa!” Gli ospiti si alzarono, gli strinsero la mano e se ne andarono, lasciando Michael nel più completo stupore. “Cosa ne pensi?”, disse alla moglie. “Riesci ad immaginarmi, io, un accademico, laico, ateo dichiarato, nella funzione di rabbino?! È una pazzia!” Ma la risposta di Atarà lo sorprese: “Potresti vedere le cose da un altro punto di vista. C’è una comunità ebraica, che ha bisogno di aiuto e tu sei l’unica persona che può farlo. Solo per ragioni umanitarie, s’intende.” Michael soppesò la cosa. “In realtà, hai ragione. Vista come un’attività di assistenza sociale, la cosa non mi sembra più così inverosimile e neanche spaventosa. E sai una cosa? Ciò mi aiuterà anche a tenere in esercizio il mio ebraico, ma … e per la preghiera? Come faccio? Io non conosco le melodie della preghiera! Certo non si aspettano da me che io solo la legga…. Se faccio qualcosa poi, già che ci sono, la voglio fare bene!” Atarà gli promise allora che avrebbe cercato di ricordarsi le melodie della preghiera, che aveva sentito nella sua infanzia.” E così fu. Michael si abituò presto al suo nuovo ruolo. Si recava con l’autobus alla sinagoga il Sabato e le Feste. Lì cantava la preghiera, leggeva dal libro del Pentateuco, con il Rotolo della Torà appoggiato di fianco a lui, e infine tornava a casa, alla sua vita laica. Ma quelle preghiere e la lettura della Torà iniziarono a penetrare la sua anima. Cominciò a rendersi conto della tradizione millenaria del popolo d’Israele, e del fatto che loro e i loro figli non ne sapevano quasi nulla. Prima ancora di farne parola con sua moglie, fu proprio lei a toccare l’argomento: “Ho capito ultimamente che è importante che i nostri figli non siano completamente tagliati fuori dal retaggio del popolo di Israele, che non sappiano neppure di essere Ebrei”, disse un giorno. Fu così che la famiglia Hasofer decise di rafforzare la propria identità ebraica. Ma come, si chiesero? Atarà non vide altra via che cominciare ad osservare qualche mizvà in casa. “Cosa?! Non vorrai mica che ci mettiamo ad osservare leggi antiche e primitive, che risalgono a migliaia di anni fa?! Noi siamo gente di scienza, intellettuali che si basano sulla realtà!” “Come fai a dire che la Torà è primitiva? Non ne sappiamo quasi niente” rispose sua moglie. “E poi c’è un’altra cosa interessante: quando torni dalla sinagoga, sento che sei più rilassato e felice. Hai una spiegazione anche per questo?…” Dopo varie esitazioni, la decisione fu presa. Avrebbero introdotto qualche mizvà in casa, non per fede, certo, ma solo per non recidere completamente i loro figli dalle radici del loro popolo. Michael però non aveva idea di cosa fare, ed anche questa volta fu Atarà a salvare la situazione, rispolverando i ricordi delle poche tradizioni che aveva visto osservare nella sua infanzia: le candele del Sabato, il Kiddùsh sul vino, il lavaggio delle mani e la benedizione sul cibo. Ah, e anche la proibizione di cucinare e di viaggiare di Sabato. Cominciarono da queste cose, ma col tempo crebbe anche il loro desiderio di osservare altre mizvòt. Atarà si ricordò allora di alcune regole della kasherùt, come la divisione fra carne e latte. Comprarono nuovi utensili per la cucina, ma si resero subito conto di non poterli usare fino a che il marmo e tutta la cucina non fossero stati resi kashèr. Non avendo idea di come farlo, il loro bel progetto si bloccò, lasciandoli delusi e frustrati. Nonostante la loro buona volontà di imparare, non c’era nessuno lì in grado di insegnare loro. Fu allora che Atarà pensò, dopo aver letto più storie del Tanàch, che da Avraham Avinu il popolo d’Israele aveva sempre avuto una guida, e che anche in questa generazione doveva pur esserci una guida, col compito di aiutare ogni Ebreo. Ella cominciò a pregare in cuor suo, accompagnandosi spesso con lacrime e suppliche di ricevere finalmente l’aiuto sperato. Un giorno, comparve inaspettatamente nella sinagoga un rabbino di nome Chaim Gutnick. Michael, come lo vide, lo invitò subito a casa, dove Atarà li accolse con gioia inaspettata. Per ore la coppia subissò il rabbino di domande riguardanti l’halachà e quello rispose loro con infinita pazienza. Michael e Atarà, seduti di fronte a lui come scolaretti diligenti, segnarono ogni cosa. Dopo che l’ospite li lasciò, i due si guardarono con stupore, chiedendosi da dove fosse spuntato un rabbino a Hobart?! D-O doveva aver ascoltato le loro preghiere! La famiglia divenne man mano sempre più osservante, fino a che sentì il bisogno di trasferirsi dove vi fosse una comunità ebraica più organizzata, a Camberra. Da lì spesso visitarono anche Melbourne e Sydney, dove ebbero occasioni di fare nuove amicizie con Ebrei osservanti. Fu così che Atarà conobbe Perla, alla quale raccontò della loro vita in Tasmania e del loro processo di riavvicinamento all’Ebraismo. Colpita da ciò, Perla raccontò a sua volta di come suo padre, rav Chaim Gutnick (!) avesse ricevuto anni fa una lettera dal Rebbe di Lubavich, che gli dava l’incarico di recarsi in Tasmania, senza chiarire lo scopo del viaggio e di come suo padre, senza fare domande, avesse semplicemente fatto i bagagli e fosse partito per quella misteriosa missione. Atarà impallidì, gli occhi sgranati, incapace di credere a quelle parole. “Ora capisco la visita di quel rabbino, di tuo padre, in Tasmania. È venuto per noi!! Il Rebbe l’ha mandato! Ma come faceva a conoscere la nostra pena, il nostro bisogno!? Ora capisco tutto! Quando ho pregato D-O, ho chiesto che la guida del popolo Ebraico, che doveva esserci senz’altro anche nella nostra generazione, ci inviasse un aiuto….e lo ha fatto!” Grati per il miracolo, Michael e Atarà decisero di recarsi a ringraziare personalmente il Rebbe. In quell’incontro, il Rebbe li accolse con calore, rispose alle loro domande, ma alla loro richiesta di lasciare l’Australia rispose negativamente, incoraggiando invece Michael, che ricopriva un importante ruolo nell’università di Sidney, a sfruttare la sua posizione per influenzare ed avvicinare gli studenti Ebrei alle loro radici e ad una vita di Torà e mizvòt, con il suo approccio intellettuale. E così fu: la famiglia Hasofer, con la sua calda e amichevole ospitalità, divenne una fonte di luce e di ritorno per innumerevoli giovani studenti Ebrei.