Un asino particolare Pubblicato il 5 Gennaio, 2024

Un asino e più significati legati ad Avraham, Moshe ed il Re Moshiach.    

 

 “E li farà montare sull’asino”

   Di Moshè che, seguendo il comando di D-O, uscì dal paese di Midiàn, diretto verso l’Egitto, la Torà dice: “Moshè prese la moglie ed i figli e li fece montare sull’asino” Commenta Rashi, a nome dei nostri Saggi: Era, questo, l’asino che Avraham aveva sellato, quando si era recato per sacrificare Izchak, e questo è pure l’asino sul quale il Re Moshiach si presenterà, come è detto: “Un povero che cavalca un asino.” Si può riconoscere qui un uso diverso che ognuna di queste personalità fa dell’asino: di Avraham è detto: “L’asino che Avraham aveva sellato”; di Moshè è detto: “…e li fece montare sull’asino”; di Moshiach, invece, viene detto che, in futuro: “si rivelerà su di esso”. Queste differenze riflettono il compito particolare di Avraham, di Moshè e di Moshiach.

   Hanno aperto la strada
Si tratta, qui, di tre personalità che hanno aperto la strada all’instaurarsi del Regno di D-O nel mondo: Avraham Avìnu fu il primo, che divulgò il Nome di D-O nel mondo; Moshè Rabènu liberò il popolo d’Israele dall’Egitto, portandolo a ricevere la Torà, al monte Sinai ed il Re Moshiach sarà colui che completerà l’opera, rendendo tutto il mondo confacente al Regno di D-O. Queste differenze trovano la loro espressione nell’ ‘asino’. L’asino simbolizza la materialità del mondo fisico, che va conquistata e purificata fino a renderla atta alla rivelazione della verità Divina. L’uso dell’‘asino’ (chamòr) esprime, quindi, il servizio particolare di ognuna di queste tre personalità, nella purificazione della ‘materia’ (chòmer) e della materialità del mondo.

   Un processo per fasi
Il compito di Avraham Avìnu si espresse nella guerra contro l’idolatria e nello spezzare la materialità del mondo, che si opponeva alla verità Divina. Per questo è detto di lui: “L’asino che Avraham aveva sellato”, poiché egli doveva sellarlo, sottometterlo, cioè, e spezzare la sua opposizione. Al tempo di Moshè Rabènu, il processo avanzò di una fase ulteriore. Moshè portò il popolo d’Israele a ricevere la Torà, in quanto allora, il mondo fisico era già divenuto un recipiente adatto al dimorarvi della Santità. Moshè spianò la strada alla santificazione della materia, alla sua possibilità, cioè, di divenire essa stessa un recipiente adatto alla luce della verità Divina. Per questo fu detto di lui: “e li fece montare sull’asino”, dato che per lui la ‘materia’ già poteva portare su di sè la santità.

   Il completamento dell’opera
Il completamento di quest’opera si compirà tramite il Re Moshiach, che eleverà la materialità del mondo fino al punto che, non solo essa non si opporrà alla luce della Santità, ma irradierà essa stessa la verità Divina. La ‘materia’ (chomer) stessa rivelerà, allora, il Santo, benedetto Egli sia. Per questo, l’utilizzo di Moshiach dell’asino (chamòr), è quello di “rivelarsi su di esso”, nel senso che il ‘chamòr’ stesso (che rappresenta il chòmer) rivelerà il Divino. Questa è la particolarità unica del Re Moshiach, di portare la materialità del mondo al punto di rivelare essa stessa la luce della Santità. Non vi sarà, allora, più la necessità di spezzare la materialità e di combatterla. La materialità stessa, infatti, diffonderà la luce e rivelerà come la verità di tutta la realtà è la Santità. Allora si realizzerà la meta: “E sarà piena la terra della conoscenza del Signore, come le acque coprono il fondo del mare”.
(Likutèi Sichòt, vol. 31 pag. 15)

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