Vaerà Pubblicato il 11 Gennaio, 2024

Il processo di rivelazione della Divinità, nelle sue varie fasi, fino al suo completamento, nella Gheulà vera e completa.  

 

PADRI E FIGLI
All’inizio della nostra parashà è detto: “Apparvi ad Avrahàm, Izchàk e Yacov come E-l Shada-i, ma con il Mio Nome, Havaye, non mi feci conoscere da loro ….Perciò (lachèn), dì ai Figli d’Israele….” In questo verso, la Torà utilizza due dei Nomi del Santo, benedetto Egli sia: “E-l Shada-i” e “Havaye” (l’ineffabile e impronunciabile Nome di D-O). Ognuno di questi Nomi esprime un determinato livello di rivelazione del Divino nel mondo, e fra questi, il Nome Havaye rappresenta quello più elevato: il livello di Divinità, che è al di sopra del mondo, chiamato anche “Shem HaMeforàsh” (Il Nome Esplicito), che esprime l’ “Essenza” – l’essere e l’essenza stessa del D-O benedetto.
Se così, non è chiaro perché la Torà usi il termine esplicativo “perciò” (lachèn), dato che la rivelazione del Nome Havaye ai Figli d’Israele non fu il risultato del rivelarsi del Santo, benedetto Egli sia, con il Nome E-l Shada-i ai Patriarchi, ma anzi, rappresentò un qualcosa di completamente nuovo rispetto a loro! Oltretutto, perché la parashà in cui si parla della rivelazione ai Figli d’Israele (e non di quella ai Patriarchi), viene chiamata ‘Vaerà’ (apparvi), proprio in riferimento alla rivelazione ai Patriarchi?
La risposta a ciò, è che, in ogni caso, i padri sono al di sopra dei figli, essi ne sono l’origine. Il livello dei padri supera quello dei figli, tanto che fu proprio l’ “apparvi ai Patriarchi”, a permettere la successiva rivelazione ai figli.
Eppure, a prima vista, sembra che i figli, i Figli d’Israele, abbiano meritato una rivelazione Divina più elevata: la rivelazione del Nome Havaye, della quale i padri non ebbero il privilegio, dato che essa fu concessa solo al Matàn Torà, mentre i Patriarchi vissero in un’era precedente al Matàn Torà, era nella quale vigeva il decreto secondo cui “(i mondi) superiori non scendevano in basso, e (quelli) inferiori non salivano in alto”, per cui la rivelazione del Nome Havaye, che rappresentava la rivelazione della Santità (Mondi superiori) qui nel modo (inferiore), non era ancora possibile.
Eppure, è noto che il processo di rivelazione, che doveva portare al Matàn Torà, ebbe inizio proprio coi Patriarchi, come appare evidente dalla mizvà della circoncisione, che possedeva già le caratteristiche delle mizvòt, che furono date al Matàn Torà, avendo esse la capacità di attrarre la Santità e farla discendere in un oggetto materiale, qui nel mondo. L’innovazione del Matàn Torà, che permise al Divino di discendere in questo mondo, iniziò, quindi, con la mizvà della circoncisione da parte di Avraham Avìnu!
Alla luce di ciò, ci chiediamo: Perché è detto dei Patriarchi “e con il Mio Nome Havaye, non mi feci conoscere da loro”?

LE AZIONI DEI PADRI SONO UN SEGNO PER I FIGLI
Come abbiamo detto, il Nome Havaye esprime la rivelazione dell’ “essenza” stessa di D-O. Si riferisce, cioè, a qualcosa che non è limitato da nessun tipo di limite né di definizione, e che, proprio per questo, può rivelarsi in ogni luogo.
Da qui, considerando che l’attrazione della Santità nella materia ad opera dei Patriarchi, riguardò solamente la mizvà della circoncisione, mentre nel resto del mondo la Santità non penetrò la materia, noi apprendiamo che, allora, non vi fu ancora una vera rivelazione del Nome Havaye. Il Nome Havaye, infatti, rispecchia l’“Essenza” di D-O, che è illimitata, la cui rivelazione, quindi, deve arrivare a toccare tutti i particolari. Il fatto che ciò non accadde al tempo dei Patriarchi, dimostra che non si trattò ancora della rivelazione dell’ “Essenza”.
La completa dedizione e disponibilità a sacrificarsi dei Patriarchi, che provengono direttamente dall’essenza dell’anima, permisero l’apertura di un “canale”: con esse, fu data ai Figli d’Israele la possibilità e la forza di far discendere la Santità nel mondo, tramite l’osservanza delle mizvòt. Ciò spiega l’espressione “Perciò (Lachèn) dì ai Figli d’Israele…”, dato che furono proprio i Padri a fornire la forza necessaria ai Figli per giungere al livello, che permise loro, dal Matàn Torà in poi, di attrarre la Divinità in ogni luogo.
È interessante notare, come il Matàn Torà fu denominato dalla Mishnà: “il giorno del matrimonio” di D-O con i Figli d’Israele. Nel giorno del matrimonio di ogni Ebreo, vengono e partecipano ad esso i genitori ed i nonni, fino, almeno, alla terza generazione all’indietro, compresi quelli, che sono già nel ‘mondo della verità’. Con ciò, è evidenziato il fatto che il servizio dei Figli, dopo il matrimonio (Matàn Torà), è reso possibile grazie ai Padri, che vengono al matrimonio.

E ADESSO?
La Torà è eterna e riguarda ognuno, in ogni generazione. Se così, cosa ha, allora, a che fare con noi, oggi, migliaia d’anni dopo la rivelazione del Nome Havaye al Matàn Torà, il fatto che D-O non si sia rivelato con questo Nome ai Patriarchi? Il fatto è che qui, si arriva al livello più elevato della rivelazione del Nome Havaye nel mondo, in confronto al quale, il nostro livello attuale (dal Matàn Torà) non può essere considerato una rivelazione dell’“Essenza”: nel futuro a venire, infatti, si rivelerà un Nome di Havaye più elevato, per cui la rivelazione della Santità significherà vedere, di fatto, il Divino.
Ai nostri giorni, pur compiendo noi l’atto di attrarre e far discendere il Divino qui, nel basso mondo – l’Ebreo, infatti, può e deve introdurre il Divino in ogni luogo ed in ogni situazione in cui egli si trova – ciò non costituisce ancora il tipo di rivelazione del Divino, che si compirà nel futuro. Se così, anche oggi noi siamo ancora nella condizione di “con il Mio Nome Havaye, non mi feci conoscere da loro”. Infatti, fino a che la rivelazione è limitata e non ha raggiunto la sua completezza, non si tratta ancora della rivelazione dell’ “Essenza”.
E come il servizio dei Figli d’Israele, dopo il Matàn Torà, poté essere compiuto in virtù del lavoro svolto precedentemente dai Patriarchi, così il completamento che si opererà in futuro, sarà reso possibile dal servizio svolto nel tempo dell’esilio (nel senso dell’auto-sacrificio, che è compreso in questo servizio, e che proviene dall’essenza stessa dell’anima).

SHEMOT, VAERÁ, BO – E LA GHEULÁ
Secondo quanto detto finora, vi sono, in senso generale, tre epoche dalla creazione del mondo: quella precedente al Matàn Torà, il Matàn Torà e i Giorni di Moshiach. Queste tre epoche sono in corrispondenza alle prime tre parashòt del Libro dell’Esodo:
La prima epoca – parashà Shemòt –  fu come un cur habarzel (fornace), una preparazione al Matàn Torà.
La seconda epoca – parashà Vaerà –  rappresenta, come abbiamo visto, la rivelazione del Nome Havaye, che si ebbe col Matàn Torà.
La terza epoca – parashà ‘Bo el Parò’ (‘Vieni dal Faraone’) – rappresenta il periodo del futuro a venire, come è scritto nello Zohar, in cui si descrive l’esistenza di un ‘Parò deKedushà’ (un livello del Faraone, dal lato della Santità), parallelo al Faraone, che si oppone alla Santità, il Faraone, re dell’Egitto. Il nome ‘Parò’ (Faraone), viene dalla parola parùa (scoperto, fuori dall’ordine) – senza limiti. La valenza del Parò deKedushà, quindi, rispecchia il livello, dal quale si rivelano tutte le luci della Santità, come sarà nei Giorni di Moshiach. “Bo el Parò”, quindi, rappresenta l’ingresso nel tempo della Gheulà.
Un’allusione ai Giorni di Moshiach si trova anche nel nome del mese collegato alla parashà Vaerà, il mese di Shvàt, che è l’undicesimo mese. Il numero dieci esprime la completezza, la completezza del servizio dei Figli d’Israele nel mondo, e da esso si arriva all’undici: il massimo grado della completezza, cui si arriverà nel futuro a venire.
Con un cambiamento nella lettura delle vocali, la parola shvàt può anche essere letta come shevet (scettro, bastone) dal significato sia di regno, forza (shevet moshlim, la tribù dalla quale derivano i re), sia di ramo di un albero. Entrambi questi termini furono attribuiti al Re Moshiach: sul verso della parashà Balàk “Uno scettro sorgerà da Israele”, Rashi commenta: “Questo è il Re Moshiach”. Su quello in Isaia: “Uscirà un ramo dal tronco di Ishài, e un rampollo spunterà dalle sue radici” commenta il ‘Mezudàt Davìd’: “Uscirà un ramo (shevet) reale dalla radice di Ishài, discendente di Davìd: è il Re Moshiach.” Anche nel nome del mese, quindi, vi è un’allusione alla Gheulà.
Il rapporto con i Giorni di Moshiach è ancora più evidente in questa generazione, nella quale il dieci del mese di Shvàt segna il giorno della scomparsa del Rebbe precedente, Rabbi Yosèf Izchak. Il tema centrale, che emerge nel giorno della scomparsa di uno Zadìk (Yom haIlùla – giorno di gioia), è che in esso tutta la sua opera si rivela e risplende in tutti i mondi, portando salvezza nel mondo.  Ciò dà la forza per una continuazione della crescita, che si produce nella nostra generazione, la prima della Gheulà, come risultato di quanto il Rebbe precedente ha ‘seminato’ con il suo servizio. E questo, fino ad arrivare allo spuntare della parte essenziale: la Gheulà vera e completa, come ci ha testimoniato il Rebbe precedente, affermando che sono scaduti tutti i termini e che tutto è pronto per il banchetto, compresi il Shor haBar e il Leviatàn.

TRE EPOCHE
Anche la vita del Rebbe precedente, dalla sua nascita ad oggi si divide in tre periodi, corrispondenti ai periodi generali dei quali si è parlato precedentemente:
Il primo periodo – quarant’anni, nei quali fu leader suo padre, e durante i quali iniziò il processo che doveva portare al completamento della diffusione delle fonti (della Chassidùt), in particolare tramite la fondazione delle yeshivòt dei Tomchèi Tmìmim, che furono dirette dal Rebbe precedente. Questo periodo corrisponde al servizio dei Patriarchi, che fu di preparazione al Matàn Torà.
Il secondo periodo – i trent’anni in cui egli stesso fu il Leader della Generazione in questo mondo, e che furono caratterizzati dalle sue innovazioni nella diffusione delle fonti, che arrivarono a toccare, allora, i territori più lontani (sia materialmente, sia spiritualmente), come la novità della diffusione delle fonti negli Stati Uniti, anche denominati “l’emisfero inferiore”, opera paragonabile ad un rinnovato Matàn Torà.
Il terzo periodo – la continuazione della leadership, dopo la sua scomparsa, che iniziò l’undici, dell’undicesimo mese, dell’anno 5711 (giorno in cui, un anno dopo la scomparsa del Rebbe precedente, il Rebbe accettò ufficialmente la successione), periodo in cui si rafforzò senza precedenti la diffusione delle fonti, fino al completamento dell’opera: i Giorni di Moshiach.
Per essere più precisi, si possono dividere i trent’anni stessi della guida del Rebbe precedente in tre periodi:
Il primo periodo – l’inizio del suo compito di leader fino al suo imprigionamento in Russia ed alla sua liberazione dal carcere. In quel periodo la sua opera si svolse sotto i decreti del governo e può essere vista in corrispondenza alla ‘fornace’ dell’ Egitto, un servizio che comporta auto-sacrificio (come quello dei Patriarchi).
Il secondo periodo – la sua presenza in Polonia, dove si occupò principalmente della diffusione della Torà e della Chassidùt Chabad, in modo tale da potere essere afferrate e comprese (cosa che non fu fino ad allora). Questo periodo corrisponde all’innovazione del Matàn Torà.
Il terzo periodo – quello dal suo arrivo negli Stati Uniti, quando la parte essenziale della sua opera fu quella della diffusione delle fonti, in modo tale da raggiungere ogni angolo della terra, epoca che corrisponde al tempo dei Giorni di Moshiach, in cui egli è anche colui che porta alla Gheulà vera e completa nell’immediato, come dice la sua famosa affermazione: “Subito teshuvà, subito Gheulà.”

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L’IMPORTANZA DI ESSERE COLLEGATI AL LEADER DELLA GENERAZIONE
(Citazioni dirette dal discorso del Rebbe)

           “Bisogna che ognuno prenda su di sé l’impegno di incrementare l’opera, l’insegnamento ed il servizio del Rebbe precedente… ed in particolare di aumentare la propria disponibilità ad annullarsi e a collegarsi al Leader della Generazione, e ‘Il Leader della Generazione è tutto’ (Rashi), cosicché ognuno, con tutta la sua realtà e con tutto ciò che lo riguarda, in tutti i sensi, sia dedicato al Leader della Generazione, con l’essere completamente immerso nella missione del Leader della Generazione, il Moshè Rabeinu della generazione, primo redentore ed ultimo redentore, il cui compito principale è ‘portare ai Giorni di Moshiach’, proprio di fatto.”

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