La corda dell’anima Pubblicato il 6 Ottobre, 2022

Vi è un livello del legame dell’Ebreo con D-O che è al di sopra di ogni possibilità di rottura, e di questo livello è detto: “perfino nel momento del peccato Gli è rimasto fedele”

“Yacov, la corda della Sua eredità”
Nella cantica di Ha’azìnu è descritto il legame fra il popolo d’Israele e il Santo, benedetto Egli sia: “Poiché parte di D-O è il Suo popolo, Yacov la corda della Sua eredità” (Devarìm 32:9). Il paragone di questo legame con una corda contiene molti profondi significati. L’Admòr HaZaken, autore del Tanya (il testo fondamentale della Chassidùt), spiega che l’anima è come una ‘corda’ e come una corda ha la funzione di collegare due cose, così, tramite la corda dell’anima, l’uomo che si trova in questo mondo si collega a D-O. Quando questa corda è integra, si mantiene anche un legame integro e manifesto fra l’uomo e D-O. Può accadere però che la corda si danneggi, e questo a causa dei peccati. In questo caso, è danneggiato anche il legame fra l’Ebreo e il Creatore, e l’entità del danno dipende dalla gravità del peccato.

Spezzare la corda
Anche la gravità del danno l’Admòr HaZakèn la spiega con il paragone della corda e qui, nelle sue parole, noi troviamo due aspetti. All’inizio, egli spiega che la corda dell’anima è formata dall’intreccio di 613 fili sottili (corrispondenti ai 613 precetti della Torà), e quando l’Ebreo commette un peccato disobbedendo ad un precetto, si rompe il filo sottile corrispondente a quel precetto. La rottura del filo sottile danneggia anche tutta la corda, poiché la indebolisce, indebolendo contemporaneamente anche la forza del legame che unisce l’Ebreo a D-O. Vi sono poi peccati più gravi che comportano il karèt, con la seguente rottura di tutta la corda e la separazione dell’Ebreo, D-O abbia misericordia, dal Creatore (all’epoca del Tempio, questo distacco arrivava al punto di manifestarsi con l’accorciamento della vita stessa del peccatore).

La gravità del peccato
In seguito, però, l’Admòr HaZakèn spiega un secondo aspetto, che sembra contrapporsi completamente al primo. Egli spiega la gravità del peccato proprio col fatto che l’Ebreo è legato a D-O tramite una ‘corda’. Se abbiamo una corda che ha “un’estremità in alto e l’altra in basso”, quando l’uomo tira l’estremità inferiore verso una determinata direzione, egli trascina in questo modo anche l’estremità superiore in quella stessa direzione. Ed è proprio questa la gravità più grande del peccato: quando l’Ebreo pecca e volge le facoltà della sua anima verso la parte del male, egli porta con sé, per così dire, anche D-O, trascinandoLo verso il male. Egli costringe, per così dire, D-O a dirigere le Sue forze e il flusso Divino verso “l’altra parte”, la parte che si oppone al bene. Ma non avevamo detto che, a causa del peccato, la ‘corda’ si spezza? Ed ora vediamo invece che il legame continua ad esistere, al punto che anche al momento del peccato l’uomo continua a tirare con sé pure l’estremità superiore della ‘corda’?!

Un legame eterno
Ed ecco la spiegazione: il legame dell’Ebreo con D-O, paragonato ad una ‘corda’, possiede due livelli. Vi è un livello che è influenzato dai peccati, e lì si può creare una rottura della ‘corda’, che comporta una separazione fra l’Ebreo e D-O. Vi è però anche un livello del legame dell’Ebreo con D-O che è al di sopra di ogni possibilità di rottura, e di questo livello è detto: “perfino nel momento del peccato Gli è rimasto fedele” (Tanya, cap. 24). Il legame è così forte e profondo, che l’Ebreo trascina con sé, per così dire, D-O verso “l’altra parte”! D’altro canto, questo legame spiega anche la possibilità illimitata dell’Ebreo di tornare a D-O e pentirsi poiché, rimanendo egli sempre ed in ogni caso legato a D-O, alla fine il Santo, benedetto Egli sia, farà sì che egli torni a Lui con un pentimento completo.

(Da Likutèi Sichòt, vol. 9, pag. 215)

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