Elevarsi per mezzo di un sogno Pubblicato il 10 Dicembre, 2023
Un Ebreo deve ‘afferrare’ ed attuare ogni cosa egli sia in grado di fare, ogni precetto, ogni buona condotta egli possa assumere, ogni buona azione, senza stare a calcolare, valutando se ha già raggiunto il livello richiesto per fare una determinata cosa.
I sogni nella Torà
Sia la parashà Vayeshev che la parashà Mikkèz parlano di sogni: i sogni di Yosèf, quelli dei due ministri del faraone, il capo dei coppieri ed il capo dei panettieri, e quelli del faraone stesso, il re dell’Egitto. Ciò che accomuna questi sogni è che essi rientrano tutti nell’ambito delle fasi di un processo che portò alla discesa di Yacov e dei suoi figli in Egitto e del conseguente esilio dei Figli d’Israele in Egitto. Nella Torà ogni cosa è precisa ed ha un significato. Se la Torà dà una tale importanza ai sogni in quanto fasi della discesa nell’esilio, certamente deve esserci un collegamento causale e di contenuto fra esilio e sogni. Più ancora, il collegamento fra esilio e sogni esprime l’essenza stessa dell’esilio ed anche la via per affrontarne le difficoltà.
Un elefante attraverso la cruna di un ago
Secondo l’insegnamento della Chassidùt, una delle caratteristiche più evidenti del sogno è la sua capacità di collegare opposti, che nella realtà del mondo non hanno alcuna possibilità di coesistere. Ecco un esempio: nel sogno una persona può vedere un elefante passare attraverso la cruna di un ago, e non trovare in ciò nulla di strano o di straordinario. Ciò esprime anche che cosa in sostanza sia l’esilio: una condizione sbagliata e scorretta che appare come naturale e normale, tanto che chi vi è immerso, non percepisce assolutamente alcuna contraddizione nel combinarsi delle cose.
Viviamo nella contraddizione
Questa caratteristica noi la troviamo anche nell’esilio spirituale. Per esempio: ogni uomo capisce che l’amore per se stessi, in particolare se esso ci porta a correre dietro ai piaceri materiali fino a contravvenire alla volontà Divina, è in contraddizione con l’amore per D-O. Eppure, ognuno di noi è testimone della realtà quotidiana, in cui l’Ebreo si immagina di amare D-O e di esserGli vicino, e allo stesso tempo è immerso nell’amore per se stesso, al punto tale da prendersi cura esclusivamente di se stesso e del proprio ‘ego’. E in ciò non vede alcuna contraddizione. Un altro esempio: durante la preghiera, nell’Ebreo si risvegliano meravigliosi sentimenti di attaccamento a D-O, mentre al termine di essa è come se egli dimenticasse ogni cosa, immergendosi completamente nelle cose di questo mondo. Nella preghiera, egli era in una condizione di elevazione spirituale e dentro di sé poteva sentire il risveglio di pensieri di teshuvà (pentimento, ritorno), ma ecco, nel momento in cui ritorna alle cose della vita quotidiana, il suo attaccamento a D-O si trasforma in una corsa dietro ai desideri della sua anima animale, del suo ego. Così noi viviamo come in un ‘sogno’, pieno di contraddizioni. Questo è l’esilio spirituale nel quale siamo immersi. È però ovvio che queste contraddizioni non devono portarci alla conclusione che, stando così le cose, non ci sia senso nel pregare e nel compiere i precetti. Ogni precetto ha il suo effetto ed anche l’attaccamento a D-O durante la preghiera lascia il suo segno, anche se a volte non sentiamo così tanto la sua influenza, quando torniamo ad occuparci delle cose di ogni giorno.
Il vantaggio dei sogni
Tuttavia, in quest’epoca di cui è detto “eravamo come in un sogno” vi è anche un vantaggio. In circostanze normali il procedere dell’uomo segue un ordine e un processo graduale. Nel tempo dell’esilio, invece, il metodo è secondo il detto della Ghemarà (Eruvìn 54a): “Afferra e mangia afferra e bevi”. Non bisogna stare a calcolare, valutando se abbiamo già raggiunto il livello richiesto per fare una determinata cosa. Un Ebreo deve ‘afferrare’ ed attuare ogni cosa egli sia in grado di fare, ogni precetto, ogni buona condotta egli possa assumere, ogni buona azione. Nel tempo del ‘sogno’ si può ‘saltare’ ai livelli più alti e conseguire mete che sono al di là della propria portata nei momenti di ‘veglia’. E questo è lo scopo interiore dell’esilio!
(Da Likutèi Sichòt vol., pag. 85)