Fede e ragione Pubblicato il 3 Febbraio, 2024

La fede è un bastione per il servizio Divino, poiché l’intelletto, se lasciato a se stesso, può molto facilmente tradire l’uomo, che a causa dell’amore per se stesso può divenire cieco di fronte alla verità.  

mishpatimRazionale e sovra-razionale I precetti della Torà sono suddivisi in comandi razionali e comandi sovra-razionali. I precetti razionali, logici, chiamati mishpatìm, sono comandi Divini che hanno la possibilità di essere compresi, valutati e imposti anche dalla logica umana. I precetti che invece non sono razionali, sono quei comandi ai quali gli esseri umani non avrebbero mai pensato da soli: decreti Divini che sfidano la logica umana. La parashà Mishpatìm, come implica il nome stesso, si occupa essenzialmente dei precetti razionali, sia quelli morali che quelli civili. Questo tema segue immediatamente la parashà Itrò, che parla del Matàn Torà, il dono della Torà che D-O fece al popolo Ebraico. La caratteristica unica dei precetti dati al Matàn Torà è rappresentata al meglio proprio da quelli la cui natura è sovra-razionale, poiché più di tutti essi esprimono la loro origine Divina ed il nostro obbligo di osservarli solo in quanto costituiscono la volontà di D-O, dato che, senza il Matàn Torà, non ne saremmo mai divenuti consapevoli. Perché, allora, la parashà che segue immediatamente il Matàn Torà tratta invece le leggi razionali, sociali, piuttosto che i comandi sovra-razionali?

“Il mio D-O e il D-O di mio padre” Dice la Torà: “Questo è il mio D-O ed io Lo glorificherò, il D-O di mio padre ed io Lo esalterò” (Shemòt 15:2). Questo verso indica che un Ebreo si relaziona a D-O sia come al “mio D-O”, sia come al “D-O di mio padre”. Che differenza c’è fra questi due approcci? All’Ebreo è richiesto di relazionarsi a D-O nei due modi. Innanzitutto, vi è la fede in D-O, che è radicata in lui, in quanto tramandata da padre a figlio: “il D-O di mio padre.” Tuttavia, gli si richiede anche di relazionarsi a D-O e di unirsi a Lui utilizzando i propri processi di comprensione: il “mio D-O”. Nel primo caso, dal momento che egli semplicemente crede, ma non conosce, il suo rapporto con D-O è informe e distante; si tratta solo del “D-O di mio padre”. Solo quando egli comprende D-O, a un qualche grado limitato, questa relazione permeerà la sua mente. Egli potrà allora dire: “Questo è il mio D-O!”

Materia e spirito Il Matàn Torà ha reso possibile a “ciò che sta in alto di scendere in basso”, permettendo alla spiritualità di permeare il mondo materiale, e a “ciò che è in basso di salire in alto”, permettendo alla materialità di aderire alla spiritualità. Ciò comporta la possibilità per un’entità materiale di divenire una cosa sola con il Divino, pur mantenendo la propria fisicità. Se fosse solo la spiritualità a scendere in basso, senza una corrispondente possibilità di ascesa per questo mondo materiale, ciò comporterebbe semplicemente l’annullarsi del materiale nello spirituale. Poiché lo scopo di D-O nel creare un mondo fisico fu quello di una sua santificazione e non di un suo annullamento, fu necessario che la materialità mantenesse la propria identità. Ciò può essere realizzato solo quando coloro che sono in “basso” si elevano, in forza del proprio servizio spirituale. Comunque, per poter fare ciò, bisogna che prima D-O discenda in “basso”, in modo da elargire la forza necessaria a potersi poi elevar attraverso i propri sforzi.

Credere e comprendere, due obblighi che si completano Nei termini del servizio spirituale dell’uomo, questi due livelli corrispondono alla fede in D-O e alla conoscenza di D-O. La fede assoluta è un dono dall’alto. Quindi, anche quando una persona è benedetta con la fede – “il D-O di mio padre” – questa non permea il suo essere, fino a quando non è la persona stessa a sforzarsi per essa. Solo quando una persona si sforza di comprendere D-O – al punto di “questo è il mio D-O” – essa può veramente essere unita a Lui. In ogni caso, la fede è un bastione per il servizio Divino, poiché l’intelletto, se lasciato a se stesso, può molto facilmente tradire l’uomo, che a causa dell’amore per se stesso può divenire cieco di fronte alla verità. Facendo precedere la fede alla conoscenza, ci si assicura che la successiva comprensione sarà corretta. L’intento del Matàn Torà nella parashà Itrò, che descrive gli eventi che riempirono di fede gli Ebrei grazie al discendere di D-O dall’alto, fu che coloro che erano in “basso” si elevassero grazie al loro stesso servizio e al loro proprio intelletto; che la Torà cioè permeasse e divenisse una sola cosa con l’intelletto dell’uomo, come è espresso nei comandi razionali della parashà Mishpatìm. Questo è il motivo per cui la parashà Mishpatìm, che rappresenta l’unione della mente umana con quella Divina, segue immediatamente la parashà Itrò, che tratta della fede e del rivelarsi del Divino dall’alto. (Basato su Likutèi Sichòt, vol. 16, pag. 243-247)

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