Illuminiamo il mondo Pubblicato il 5 Novembre, 2023
Il servizio Divino di illuminare la dimensione materiale del mondo per mezzo delle mizvòt è proprio ciò che realizza l’intento stesso della creazione Divina, una dimora per D-O in questo mondo.
Sara: un paradigma di perfezione
La parashà Chayè Sara riporta la durata della vita di nostra madre Sara: 127 anni. È detto: “D-O conosce i giorni dei giusti”, che secondo i nostri Saggi significa: “Come essi sono perfetti, così anche i loro anni sono perfetti.” E come esempio e paradigma di questo concetto, il Midràsh sceglie proprio Sara. Come mai? Cosa contraddistingue Sara dagli altri giusti che meritarono che i loro giorni fossero perfetti? Il servizio Divino degli altri giusti fu ricompensato dal completamento dei loro giorni, ma quando accadeva che ad un giusto venissero tolti degli anni, ciò implicava una carenza nel suo servizio. Sara, invece, morì prima del suo tempo (in seguito alla notizia del legamento di suo figlio Izchàk), eppure “ i suoi anni furono perfetti”! La scelta di Sara contiene però anche altri significati, più profondi. Per comprenderli, poniamoci prima altre domande. Perché il ‘giusto’ viene descritto proprio come ‘perfetto’? Non può essere per indicare la perfezione nel suo adempimento delle mizvòt, dato che questo lo si può comprendere già dal termine ‘giusto’. Sembra perciò che il termine ‘perfetto’ usato dal Midràsh si riferisca ad un ulteriore attributo del giusto. Inoltre, quando la Torà associa due concetti, è per indicare un loro intimo legame, o il fatto che uno conduce all’altro. Così si può capire che il detto “Come essi sono perfetti, così anche i loro anni sono perfetti” allude al fatto che la perfezione dei giusti ha un’intima connessione con la perfezione dei loro anni o conduce ad essa.
“Avraham era vecchio ed avanzato negli anni”
Per comprendere, prendiamo un altro verso della parashà: “Avraham era vecchio ed avanzato negli anni”. Su di esso il Midràsh commenta: “Vi sono uomini che sono vecchi, ma non avanzati negli anni, ed altri che (sembrano) avanzati negli anni, ma non sono vecchi. In questo caso (di Avraham) la sua età corrispose al suo avanzamento negli anni ed il suo avanzamento negli anni corrispose alla sua età.” Ma che importanza possono avere qualità esteriori come l’età che si dimostra e quella reale? Come simili dati possono esprimere la grandezza di Avraham, quando ben altre sono le caratteristiche che contraddistinguono la sua unicità, come l’essere stato il solo, in un mondo di idolatri, a riconoscere e servire D-O e a propagare la Sua luce nel mondo, dando inizio ad una nuova epoca: ‘i due millenni di Torà’? Analizziamo i termini usati dalla Torà: ‘vecchio’ e ‘avanzato negli anni’. I nostri Saggi interpretano zakèn (‘vecchio’) come “uno che ha acquisito saggezza’ e ba baiamìm (‘avanzato negli anni’) come nella sua traduzione letterale, ‘egli viene con i suoi giorni’ e cioè non vi è un solo giorno in cui Avraham non abbia osservato le mizvòt (così come esse esistevano prima del Matàn Torà). Si citano qui quindi due qualità spirituali: ‘vecchio’, che si riferisce alla perfezione raggiunta dall’anima di Avraham, alla sua saggezza; ‘avanzato negli anni’, che si riferisce al suo agire nel mondo, alla sua capacità di riempire ogni giorno di mizvòt. Non tanto all’aver compiuto tante mizvòt, ma proprio all’aver riempito di esse ogni suo giorno. Da qui si comprende che ogni giorno ha la sua particolare mizvà che va compiuta.
Due direzioni del servizio Divino
La differenza fra la Torà e le sue mizvòt sta nel fatto che la Torà è sapienza Divina, un qualcosa di completamente spirituale, intellettuale. Studiando la Torà, l’Ebreo si dedica allo sviluppo della propria anima. Le mizvòt, invece, si rivestono dell’esistenza materiale. Il loro adempimento, quindi, non è inteso principalmente all’evoluzione dell’anima, ma piuttosto ad illuminare la dimensione materiale del mondo, trasformandolo così in una dimora per D-O. E ba baiamìm, avanzato negli anni, si riferisce proprio alle mizvòt, al rivolgere cioè le proprie energie verso l’esterno, verso il mondo, in modo da purificarlo e renderlo adatto ad essere una dimora per D-O. Ora, la capacità di dedicarsi a queste due direzioni del servizio Divino, combinandole insieme e con la stessa intensità, è prerogativa di pochissimi, in quanto si tratta di due direzioni molto differenti, e per certi aspetti opposte. Ma nel caso di Avraham non ci fu alcuna dicotomia: il suo sviluppo personale procedette di pari passo con le sue attività rivolte verso il mondo ed a ciò si riferisce il corrispondere della sua età cronologica al suo aspetto fisico. Ciò lo rese meritevole di essere citato dal Midràsh come colui che iniziò ad illuminare il mondo con la luce Divina. Ora possiamo comprendere perché il servizio di Avraham diede inizio ai “duemila anni di Torà”, in quanto esso fu una preparazione al Matàn Torà. Il Matàn Torà ha reso possibile la fusione di tendenze del tutto opposte, dello spirituale e del materiale, mettendo pace fra di loro per mezzo dell’osservanza delle mizvòt, e la preparazione a questa fusione iniziò col servizio Divino di Avraham. Questa fusione si rispecchiò infatti nella corrispondenza dei suoi sforzi verso una propria evoluzione personale e di quelli rivolti al suo agire nei riguardi del mondo, cosa che non accadde ai giusti che lo precedettero, per i quali una direzione prevalse sempre sull’altra. Questa capacità Avraham ce l’ha trasmessa in eredità, ed il nostro compito, il compito di ogni Ebreo è quello di fondere le due direzioni, in quanto la Torà è unità, armonia e pace.
L’importanza di ‘illuminare’ il mondo
Nonostante sia necessario un impegno in entrambe le direzioni, la Chassidùt dà maggiore risalto a quella che comporta la purificazione del mondo, come dicono i nostri Saggi: “È meglio un’ora di pentimento e di buone azioni in questo mondo che tutta la vita nel Mondo a Venire.” Il Mondo a Venire rispecchia il piacere che l’uomo, un essere creato, riceverà dalla rivelazione del Divino. Il nostro servizio della teshuvà e delle buone azioni, invece, arreca piacere a D-O. Questo piacere Divino è incommensurabilmente più grande di quello sperimentato dall’uomo, tanto da sorpassare di gran lunga quello che proveremo nel Mondo a Venire. Analogamente, lo sviluppo personale dell’uomo (zakèn) non può essere paragonato al suo servizio di illuminare il mondo (ba baiamìm). Quest’ultimo infatti è proprio ciò che realizza l’intento stesso della creazione Divina, una dimora per D-O in questo mondo: la rivelazione della Sua unità ed immutabilità anche dove tutto sembra essere soggetto al trascorrere del tempo ed al cambiamento, come è detto: “Io D-O non sono mutato”. E ciò porta al Suo piacere. Il servizio Divino di ‘ba baiamìm’ non riguarda solo l’occuparsi del mondo esterno, ma anche il nostro specifico modo di compiere le mizvòt, secondo la nostra natura e la nostra personalità. Ogni Ebreo ha alcune mizvòt che osserva più frequentemente e facilmente, ed altre che osserva solo ogni tanto e che gli richiedono un maggiore sforzo. Egli potrebbe pensare che valga la pena investire le sue energie per consolidare ciò che è più consono al suo carattere e che gli riuscirà meglio e che forse è anche più legato alla sua stessa essenza. Ma il servizio di Avraham di ba baiamìm viene ad insegnarci che l’Ebreo deve occuparsi con la stessa energia anche di quelle cose che sono più soggette al cambiamento, così da toccare tutti i campi e fare di tutto il mondo una dimora per D-O. Inoltre, ogni anima ha una sua particolare mizvà ed un suo particolare compito e spesso proprio le difficoltà che si oppongono al compimento di determinate mizvòt indicano che esattamente in esse si cela il compito personale di quell’individuo. L’istinto del male, infatti, si dà da fare in particolar modo quando vede che l’uomo è vicino a realizzare la missione particolare per cui è venuto al mondo. L’Ebreo non deve quindi disperare, vedendo che alcune mizvòt non gli sono consone, che non raggiungono in lui una stabilità e sono anzi più deboli e meno costanti. Egli deve invece concentrare le energie del suo servizio Divino proprio in quelle aree dove sente una fluttuazione. Quando farà ciò, i suoi sforzi saranno certamente corroborati e sostenuti da un aiuto dall’Alto. Anche rispetto ai giusti si può ora comprendere perché il termine ‘perfezione’ non appartenga ad ognuno di loro. Un giusto può seguire prevalentemente una sola direzione nel suo servizio e meritare comunque l’appellativo di giusto. Ma per essere ‘perfetto’ il suo servizio Divino deve essere rivolto a tutte le direzioni, unificando opposte tendenze. E questo fu il servizio di Sara. Nonostante ella sia morta prima del tempo, i suoi anni furono perfetti. Lo spirare di un’anima riflette il suo desiderio di elevarsi al di sopra dei limiti del mondo, direzione opposta a quella del servizio che comporta un coinvolgimento con il mondo (ba baiamìm). Ma il desiderio di elevare la propria anima corrispose sempre per Sara al suo servizio volto al mondo, e per questo i suoi anni furono perfetti.
(Discorso di Shabàt parashà Chayè Sara, 5722)
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