La forza del mese di Sivàn Pubblicato il 17 Maggio, 2023

La Torà crea un’unione totale con il Creatore. Il valore più elevato, che è anche l’obiettivo ultimo, è quello di stabilire l’unità, escludendo ogni dualismo. L’unità, tuttavia, può essere riconosciuta come vera e provata solo quando essa continua a mantenersi e ad affermarsi tale, anche di fronte ad altre realtà che le si oppongano.

infinitoUno o tre?
La Torà fu data al popolo Ebraico nel mese di Sivàn, il terzo mese. La Torà è quindi correlata al numero tre, dato che ogni cosa, ed in particolare ogni cosa che riguarda la Torà e i precetti, avviene per mano della Divina Provvidenza. Inoltre, anche i nostri Saggi fanno risaltare il collegamento del Matàn Torà col numero tre: “La triplice Torà (Pentateuco, Profeti e Agiografi), ad un triplice popolo (Cohen, Levi e Israel) nel terzo mese”. Ma cosa vi è di così speciale riguardo proprio al terzo mese? Dopotutto, lo scopo della Torà è di usare la ‘Torà una’ per rivelare nel mondo la realtà del ‘D-O Uno’. La particolarità unica della Torà è quindi legata all’uno, all’unità e non al numero ‘tre’. Il legame, poi, è proprio e principalmente con la Torà, dato che, riguardo ai precetti, alcuni di essi furono comandati già prima del Dono della Torà, come quelli ordinati ai discendenti di Noè (i sette precetti che riguardano tutta l’umanità), o il precetto della circoncisione o quelli che furono comandati a Marà (Esodo 15:25). È vero che questi precetti non sono esattamente equivalenti a quelli comandati al Sinai, neppure nel caso di quei precetti che sono proprio uguali a quelli poi dati nuovamente al Sinai. Tuttavia, l’idea generale di ‘precetto’ già esisteva. L’innovazione principale di Shavuòt, nel terzo mese, fu quindi il Dono della Torà. Il vantaggio della Torà sui precetti è spiegata nel libro del Tanya (il testo base della Chassidùt Chabad): tramite i precetti, l’uomo diviene una merkavà (un cocchio) per la Divinità. Un cocchio è in una posizione di totale auto-annullamento nei confronti del cocchiere, lasciandosi esso guidare in ogni suo movimento. Esso resta però un’entità distinta da lui, non diviene cioè una cosa sola con il cocchiere. La Torà, invece, crea un’unione totale con il Creatore. Ma questo fatto rafforza ancora di più la nostra domanda: come può essere che la Torà, tramite la quale è possibile unirsi a D-O in una cosa sola, sia stata data proprio nel terzo mese?

La vera unità
Il valore più elevato, che è anche l’obiettivo ultimo, è quello di stabilire l’unità, escludendo ogni dualismo. L’unità, tuttavia, può essere riconosciuta come vera e provata solo quando essa continua a mantenersi e ad affermarsi tale, anche di fronte ad altre realtà che le si oppongano. Senza la consapevolezza dell’esistenza di qualcos’altro, l’affermazione dell’unità non avrebbe alcuna dimostrazione. In quel caso, infatti, non ci sarebbe modo di conoscere quale sarebbe stata la nostra reazione, nel divenire consapevoli di un’altra realtà. Vi è una parabola, che descrive in termini di esperienza umana la discesa dell’anima in questo mondo. Un re, per provare la lealtà del proprio figlio e quanto egli fosse legato al proprio padre, lo mandò lontano dal suo palazzo, a vivere fra gente semplice, in un remoto paese. Se il figlio si fosse comportato anche lì come si conviene ad un principe, avrebbe dimostrato di essere veramente legato a suo padre, il re. Così vale anche per noi. Quando ci si trova davanti a un dualismo, quando si è confrontati da situazioni che si oppongono alla realtà dell’unità, e nonostante ciò si rimane saldamente convinti dell’unità, ciò dimostra che si è veramente un tutt’uno con essa. Una situazione come questa può manifestarsi in due modi. Si può negare la realtà che si oppone, ignorandola completamente, o si può trasformare quella stessa realtà in uno strumento per l’unità. La seconda via è molto più profonda e vera. Ignorare una realtà che viene ad opporsi, non la fa sparire: la realtà che contraddice l’unità e le si oppone rimane, solo viene ignorata. Se invece il concetto di unità penetra al punto che tutta la realtà percepita diventa essa stessa uno strumento per l’unità, allora si tratterà di vera e perfetta unità.

Nissàn, Iyàr e Sivàn
Gli aspetti trattati riguardano anche i tre mesi di Nissàn, Iyàr e Sivàn. Nissàn è il primo mese. In esso ebbe luogo l’esodo dall’Egitto, quando “il Re di tutti i re, il Santo, benedetto Egli sia, si rivelò a loro.” Si trattò allora di una rivelazione dall’alto, senza alcun riguardo al mondo inferiore. Per questo è detto, “Il popolo fuggì”, una fuga, cioè, da ogni cosa qui in basso, per collegarsi e unirsi al Divino. Iyàr è il secondo mese. In esso, ogni giorno si svolge il Conto dell’Omer, che rappresenta un raffinamento degli attributi emozionali dell’anima animale dell’uomo. Qui si ha un coinvolgimento con la materialità del mondo, che ci pone di fronte al dualismo, ma la parte mondana viene sublimata a favore di quella spirituale. Nonostante ciò, la materialità mantiene un senso di realtà indipendente, come se essa non fosse tenuta in essere, ad ogni istante, dalla forza creatrice Divina, e quindi non risulta assorbita in perfetta unione col Divino. Ciò è alluso nel nome stesso Iyàr, acronimo di ‘Avraham, Izchàk, Yacòv, Rachèl’, i quattro sostegni della merkavà, il ‘cocchio’. Un cocchio è in una posizione di completo auto-annullamento nei confronti del cocchiere, ma non è unito a lui in una singola entità. Sivàn, il terzo mese, è il mese del Dono della Torà. I due aspetti di ‘sopra’ e ‘sotto’, mondo superiore e mondo inferiore, spirito e materia vengono considerati entrambi e trasformati in un terzo aspetto, che li trascende: una vera unione ed un completo assorbimento nel Divino.

Con la Torà ci uniamo a D-O
Ciò spiega perché la Torà fu data nel terzo mese. Torà significa unità. L’osservanza dei precetti implica un proprio annullarsi davanti al precetto, alla volontà Divina, ma non significa un’unione con essa. L’intelletto dell’uomo, invece, ha la possibilità, tramite la Torà, di unirsi con “la sapienza e la volontà dell’Onnipotente”. Questo è il concetto del “terzo”. L’intelletto dell’uomo e la sapienza Divina vengono presi, per così dire, e trasformati in una nuova, terza realtà, divenendo un tutt’uno. Questo concetto è alluso anche nell’espressione “Moshè ricevette la Torà dal Sinai.” I precetti furono dati anche prima, a Marà, ma la Torà viene solo dal Sinai. Il Sinai e la “più bassa fra tutte le montagne”, un’unione di due opposti (anche bassa e anche montagna). Questa unione, quindi, si manifestò in particolare nella Torà.

(Shabàt parashà Behàr-Bechukkotài 5718)

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