La profezia Pubblicato il 29 Maggio, 2023

La fede nella profezia è un principio fondamentale dell’Ebraismo, ed essa è ovviamente connessa al principio della verità e dell’eternità della Torà. Nonostante ciò, essa è un principio di fede a se stante, un principio fondamentale della nostra fede.  

 

La fede nel profeta, come principio di fede
Uno dei temi principali che emergono nella parashà Behaalotechà, è quello della profezia. In due differenti episodi, la Torà ha occasione di definire ciò che qualifica un profeta e l’unicità di Moshè. Ciò serve come insegnamento a noi, in particolare oggi, dato che nei giorni di Moshiach, ogni Ebreo percepirà il Divino in modo profetico e tutti noi saremo allora riempiti della conoscenza di D-O. È vero, inoltre, che addirittura i giusti fra i gentili raggiungeranno un livello di profezia o di Ispirazione Divina. Isaia dichiara che: “La gloria di D-O sarà rivelata, ed ogni carne vedrà insieme, che la bocca di D-O ha parlato”. La fede nella profezia è un principio fondamentale dell’Ebraismo, ed essa è ovviamente connessa al principio della verità e dell’eternità della Torà. Da qui si potrebbe pensare che la fede nella profezia sia un qualcosa di subordinato alla fede nella Torà. Il Rambam invece insiste nel dire che la fede nella profezia è un principio a parte, indipendente da quello della verità e dell’eternità della Torà. Di fatto, egli elenca i due principi che si occupano della profezia prima di quelli che parlano della Torà. Il sesto ed il settimo principio dicono: “Io credo con fede perfetta che tutte le parole dei profeti sono vere.” “Io credo con fede perfetta che la profezia di Moshè è assolutamente vera; egli è il capo di tutti i profeti, sia di quelli che lo precedono che di quelli che lo seguono.” L’ottavo ed il nono principio sono: “Io credo con fede perfetta che tutta la Torà che noi abbiamo oggi è quella che fu data a Moshè” “Io credo con fede perfetta che la Torà non verrà cambiata, e che mai vi sarà un’altra Torà data da D-O”.


Due episodi nella Torà
Certamente deve esserci una ragione perchè il Rambam consideri la fede nella profezia separata dalla fede nell’immutabilità della Torà. Per comprendere ciò è tuttavia necessario approfondire prima gli episodi descritti dalla Torà, così da comprendere da essi la natura e ciò che qualifica un profeta. Il primo episodio riguarda la trasmissione dello spirito Divino sui settanta anziani. Quando Moshè disse di non poter sopportare da solo il peso delle lamentele del popolo Ebraico, D-O gli disse che avrebbe nominato i settanta anziani come suoi ‘assistenti’, per così dire. La Torà ci dice che, quando D-O prese dallo spirito di Moshè per trasmetterlo ai settanta anziani, essi profetizzarono. Questo trasferimento dello spirito di Moshè è paragonato dai nostri Saggi all’accensione di una candela da un’altra candela: la prima fiamma non viene diminuita dal suo accendere la seconda. Due degli anziani, tuttavia, non si presentarono con gli altri alla Tenda del Convegno. Nonostante ciò, nonostante essi non volessero essere scelti, avendoli D-O designati fra gli anziani, anch’essi iniziarono a profetizzare. Quando Yoshua informò Moshè, che Eldad e Meidad stavano profetizzando nell’accampamento, egli disse: “Moshè, padrone mio, imprigionali.” Ma Moshè rispose: “Sei tu geloso per me? Magari tutto il popolo dell’Eterno fosse formato da profeti e l’Eterno volesse porre il Suo spirito su di loro!” Il secondo episodio riguarda Moshè, Aharòn e Miriàm. Quando Miriàm scoprì che Moshè si era separato da sua moglie, essa si chiese con meraviglia se ciò fosse appropriato. Dopotutto, anche lei ed Aharòn erano profeti, eppure non si erano separati dai loro coniugi. D-O convocò allora tutti e tre alla Tenda del Convegno, e lì spiegò loro la differenza fra Moshè e tutti gli altri profeti. Prima però, la Torà ci viene a dire che Moshè era il più umile fra gli uomini di tutta la terra. Solo dopo di ciò D-O spiega come Egli comunichi con tutti gli altri profeti tramite una visione o un sogno, mentre “Questo non è il caso del mio servo Moshè; egli è il più fedele di tutta la Mia casa. Io parlo con lui bocca a bocca…”


Le caratteristiche del profeta
Nei nostri giorni, immediatamente precedenti la venuta di Moshiach, noi dobbiamo prepararci alla Redenzione. Questa preparazione include chiaramente lo studio di cosa la Torà dice riguardo le trasformazioni che avverranno. Queste trasformazioni non comprenderanno solo la fine dell’esilio, il ritorno del popolo Ebraico alla terra d’Israele e la ricostruzione del Tempio. Esse includono anche un’elevazione del popolo. L’ispirazione Divina, la profezia e la conoscenza di D-O costituiranno il normale stato delle cose. Ciò rende necessario per noi lo studio delle condizioni e delle qualifiche che servono per divenire profeti. E non solo lo studio, ma anche l’attuazione di quelle condizioni che ci rendono candidati idonei alla profezia. Quali sono, quindi, le caratteristiche di un profeta? Quali sono i tratti che noi dobbiamo rafforzare e cercare di instillare in noi stessi? Noi li possiamo imparare da Moshè. Innanzitutto un profeta deve essere saggio, pienamente consapevole della Sapienza Divina. La profezia rivela il segreto, l’interiorità, l’esoterico: un profeta – ed al tempo di Moshiach, ciascuno di noi raggiungerà quel livello – deve essere in grado di comprendere la grandezza di D-O. Sapendo che D-O fornisce l’ispirazione profetica, noi dobbiamo ottenere la conoscenza che ci permetterà di riceverla. Noi dobbiamo sapere come santificare noi stessi, come tenerci separati dalla caccia alle futili e transitorie mode del tempo. In secondo luogo il profeta deve avere forza, la forza di superare le tentazioni del mondo materiale e le lusinghe di ingannevoli filosofie. Anche questo richiede conoscenza. Noi dobbiamo conoscere le nostre debolezze spirituali, quali sono i desideri che più di altri ci tentano, quali false ideologie ci sembrano più attraenti. Noi dobbiamo conoscere anche le nostre forze, il fatto che la Torà, le mizvòt e la nostra anima Divina ci permettono di conquistare, sottomettere e reindirizzare il nostro yèzer harà, la nostra cattiva inclinazione. Vi sono altre caratteristiche che appartengono al profeta. Come Moshè, un profeta deve essere umile. Riguardo l’arrogante e il presuntuoso, D-O afferma: “Io e lui non possiamo abitare insieme nel mondo”. L’umiltà e l’auto-annullamento sono i prerequisiti per una mente aperta, in grado di percepire il Divino e di ricevere l’ispirazione e la conoscenza che Egli elargisce. Per ultimo, un profeta deve essere sano e ricco. Questi ultimi non sono tanto requisiti, quanto strumenti. Senza di essi una persona non può funzionare al meglio delle sue capacità. La profezia è un particolare tipo di conoscenza spirituale, ma la nostra mente non è veramente aperta, in grado di comprendere pienamente, quando è limitata dalla nostra situazione finanziaria o ostacolata dalle nostre condizioni fisiche. Un buono stato di salute e l’abbondanza materiale mettono la mente nella condizione di poter recepire l’ispirazione e le benedizioni Divine. Un profeta – e la Redenzione farà di ognuno di noi un profeta – ha raggiunto le vette più alte della sapienza umana, la comprensione del Divino. Un profeta ha conquistato le proprie inclinazioni, ha superato i desideri interiori e le tentazioni esteriori. Un profeta è umile e, annullando il proprio ‘ego’, è divenuto un veicolo per la Divinità. E per facilitare tutto ciò, un profeta è completo, sia materialmente che fisicamente.


Perfetta unione con D-O
Ora che abbiamo identificato le caratteristiche di un profeta, noi possiamo comprendere perchè il Rambam dia un’importanza particolare alla fede nel profeta come principio di fede a sè stante. Noi potremmo pensare che il profeta di per sè sia irrilevante per il processo, che egli sia non più che una sorta di altoparlante, atto a trasmettere le istruzioni Divine, rimanendo però egli stesso inalterato, un “umano” tale quale a prima. Di fatto, attraverso la profezia, D-O porta la Sua presenza nelle menti di alcuni esseri umani. Essi vengono a conoscere D-O e la loro mente diviene un ricettacolo per il Divino. Con la profezia, un uomo diviene così unito alla Parola di D-O, che la sua mente stessa se ne riveste. È quindi un principio fondamentale della nostra fede quello di conoscere – fare esperienza, realizzare e comprendere – che D-O rivela i Suoi segreti, divenendo una cosa sola con la daat, la conoscenza del profeta.
(Likutèi Sichòt, vol. 23, pag. 82 – 91)

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