La vera vita Pubblicato il 26 Dicembre, 2023
La vita di Yacov fu una vita di connessione a D-O, capace di trascendere il suo ambito materiale. Egli condivise questa qualità, trasmettendola ai suoi discendenti, a tutti gli Ebrei di tutti i tempi. E la connessione alla Torà, che Yacov nutriva, è la fonte di vita per tutti i suoi discendenti in tutte le generazioni.
I migliori anni di Yacov
Quando il Zemmach Zedek (il terzo Rebbe di Chabad) era ancora un bambino, il suo maestro a scuola gli insegnò il verso: “E Yacov visse nella terra d’Egitto per diciassette anni,” spiegando che quelli furono i migliori anni della vita di Yacov. Il Zemmach Zedek chiese allora stupito a suo nonno, l’Admòr HaZakèn, come fosse possibile che i migliori anni, Yacov li avesse trascorsi in Egitto, un paese così depravato? E questa fu la risposta dell’Admòr HaZakèn: “Ancor prima di arrivare, Yacov inviò Yehuda in Egitto per stabilirvi una yeshivà (scuola di Torà). Studiando la Torà ci si avvicina a D-O, e questa vicinanza consente di vivere una vita vera e genuina anche in Egitto.” In realtà, la depravazione dell’Egitto migliorò la vita vissuta da Yacov, in quanto la trasformazione del buio rivela una qualità di luce superiore. Col fondare Yacov una vita di Torà in mezzo all’oscurità della società egiziana, egli espresse la qualità essenziale della vita da lui vissuta, qualità che egli trasmise ai suoi figli.
Vivere con la Torà
La vera vita può essere attribuita solo a D-O, come è scritto: “Il Signore è il vero D-O, Egli è il D-O vivente.” Come la verità è eterna ed immutabile, così la vita è, nella sua essenza, eterna ed immutabile. Per questo i nostri Saggi attribuiscono ad un corso d’acqua l’appellativo di ‘acqua viva’ solo quando esso scorre di continuo, senza prosciugarsi di tanto in tanto. L’esistenza mortale, invece, è temporanea e soggetta a cambiamenti. Tuttavia, avvicinandosi a D-O con lo studio della Torà, la persona può conseguire una certa dimensione dell’eternità Divina, come è scritto: “Mentre voi che siete rimasti fedeli all’Eterno, vostro Signore, oggi siete ancora tutti in vita” (Deuteronomio 4:4). Questa fu la spinta dell’intera vita di Yacov. Nel descrivere la natura della sua personalità, la Torà lo descrive come “un uomo retto, che risiedeva nelle tende”, intendendo con esse le ‘tende di Shem ed Ever’, la casa di studio della Torà di allora. In questo ambito si formò il carattere di Yacov. Eppure, egli non rimase lì a studiare per sempre. Come espressione della genuinità della connessione da lui stabilita con D-O, tramite la Torà, la sua vita comprese un vasto spettro di circostanze e di sfide. E attraverso tutte queste diverse esperienze, egli mantenne il suo legame con la Torà.
Luce e buio
Yacov raggiunse l’apice del viaggio della sua vita, in Egitto. Lì egli si trovò ad affrontare sfide di natura diversa da quelle sperimentate in precedenza, poiché lì egli dimorò nel massimo della prosperità, nel paese di un popolo decadente. Ma noi abbiamo visto come, ancor prima di entrarvi, Yacov risolse queste difficoltà mandando Yehuda a fondare una yeshivà. Con questo atto, egli impostò il tono per il suo futuro in Egitto. Inoltre, Yacov non si preoccupò di garantire la possibilità di studiare solo a se stesso, ma in questo suo progetto spirituale egli comprese anche i figli ed i figli dei suoi figli. Al posto di accettare i valori della cultura circostante, i discendenti di Yacov si unirono a lui nello studio. Per essi, la loro discesa in Egitto costituì un cambiamento radicale, poiché la maggior parte della loro vita adulta, l’avevano trascorsa nella Terra d’Israele, in un’atmosfera di santità. Eppure, motivati dall’esempio e dalla guida di Yacov, essi furono in grado di estendere l’atmosfera della Terra d’Israele in Egitto, tramite la loro devozione allo studio. La dedizione continua ed immutabile di Yacov alla Torà, nonostante la diversità degli ambienti nei quali egli visse, dimostra che la vera vita gli proveniva dalla Torà. Il suo rapporto con D-O fu così comprensivo, da permeare ogni aspetto del suo essere e della sua personalità.
Yacov è sempre vivo
Quanto detto ci aiuta a capire perché il nome della parashà sia Vayechì, “Ed egli visse”, nonostante essa parli della morte di Yacov. Come lo dimostrano gli eventi narrati, la vita di Yacov fu una vita di connessione a D-O, capace di trascendere il suo ambito materiale. E poiché egli condivise questa qualità, trasmettendola ai suoi discendenti, noi la possiamo ritrovare nella sua posterità, ben oltre il tempo della sua vita mortale. Come dicono i nostri Saggi: “Yacov, nostro patriarca, non è morto. Così come i suoi discendenti sono vivi, egli vive.” E questo concetto non si applica solo ai suoi discendenti più diretti, ma a tutti gli Ebrei di tutti i tempi. La vitalità che un Ebreo prova nel suo servizio Divino oggi, riflette la vita di Yacov, nostro patriarca. E viceversa, la connessione alla Torà che Yacov nutriva, è la fonte di vita per tutti i suoi discendenti in tutte le generazioni. È vero che nella storia Ebraica vi sono sempre stati, come succede anche oggi, membri del popolo Ebraico che, perlomeno all’apparenza esteriore, non conducono la loro vita quotidiana secondo le direttive della Torà e dei suoi precetti. Ma questa è solo un’espressione della loro realtà esteriore. La verità interiore è che essi sono vivi, e che la loro vitalità deriva dalla Torà e dai suoi precetti. Dicono i nostri Saggi: “Anche quando un Ebreo pecca, egli rimane un Ebreo” ed il Rambam afferma: “Una persona la cui inclinazione al male la spinge a trascurare l’adempimento di un precetto o a commettere un peccato… desidera pur sempre di essere parte del popolo Ebraico e di adempiere a tutti precetti e separarsi dal peccato. È solo la sua inclinazione al male che la induce a comportarsi diversamente. A prescindere dalla sua condotta di fatto, ogni membro del nostro popolo rimane un Ebreo e condivide un legame con l’intera Torà. “La Torà che ci ha ordinato Moshè è un’eredità dell’assemblea di Yacov” (Deuteronomio 33:4). Questa è l’eredità spirituale che Yacov ci ha trasmesso, il segno della sua vita che continua e della nostra stessa vitalità.
Consapevolezza: una fonte di forza
Ciò ci fa comprendere l’importanza di incoraggiare una persona ad esprimere la sua connessione alla Torà. Un potenziale esistente cerca una propria via d’espressione e questa tendenza viene intensificata dalla consapevolezza della sua esistenza. Diffondere la consapevolezza della natura interiore dell’Ebreo, risveglierà il desiderio di vedere quella natura realizzata, tramite l’osservanza della Torà e dei suoi precetti. E questa non è una semplice teoria, ma qualcosa che l’esperienza ha confermato. Un approccio che invece critica duramente l’Ebreo che al momento non osserva la Torà e i suoi precetti, minacciandolo di sinistri castighi Divini, non incoraggia nessuno ad accrescere la propria pratica religiosa, e ad osservare di più la Torà ed i suoi precetti. Anzi, otterrà solo il risultato contrario, indebolendo il sentimento per l’Ebraismo di molte persone ed allontanandole dalla possibilità di tornare. La consapevolezza che ci proviene dalla lettura della parashà Vayechì genera in noi una grande forza, la forza dell’Ebreo che sa di aver ricevuto in eredità la vita, nella sua essenza, la vita che si esprime nella connessione con la Torà. Egli saprà allora anche, che questa connessione gli conferirà la forza di confrontarsi e superare tutte le sfide proposte dal proprio ambiente. E accrescendo ognuno di noi l’espressione di questo potenziale, noi affrettiamo il tempo in cui esso fiorirà, raggiungendo il suo massimo splendore, al tempo della Redenzione. Possa essa aver luogo nell’immediato futuro.
(da Likutèi Sichòt, vol. 10, pag. 160; vol. 15, pag. 422; discorso di Shabàt parashà Vayechì 5751)
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