L'”altare” resta puro per sempre Pubblicato il 26 Febbraio, 2023
Nella sua interiorità, nell’essenza della sua anima, l’Ebreo resta sempre legato a D-O
“Farai un altare su cui far ardere l’incenso” (Shemòt 30:1)
Dopo aver ricevuto da D-O (parashà Terumà) il comando di costruire nel Santuario l’altare di rame, sul quale sarebbero stati offerti i sacrifici, il popolo Ebraico ricevette le istruzioni (parashà Tezavvè) per la costruzione di un altro altare, l’altare d’oro, che doveva essere posto nella camera interna del Tabernacolo, il Santo, a metà fra il tavolo ed il candelabro, e sul quale avrebbero dovuto far ardere l’incenso. Questi due altari erano differenti da tutti gli altri arredi del Santuario, per il fatto che non potevano essere contaminati da alcuna impurità. Gli altri arredi del santuario potevano divenire impuri, mentre gli altari, per la loro stessa essenza, non potevano mai divenire impuri.
Il “Santuario” personale
La Torà è eterna ed in essa si trovano profondità infinite. Anche questa halachà, secondo la quale l’altare non assume alcuna impurità, può essere interpretata in modo più profondo, alludendo essa anche all’anima dell’Ebreo. È noto che l’obbligo di costruire un Santuario a D-O, oltre ad essere un comando generale rivolto a tutto il popolo d’Israele, si rivolge anche a ciascun Ebreo, affinché costruisca un Santuario nel proprio cuore. L’Ebreo è chiamato a fare di se stesso un Santuario, nel quale possa risiedere e rivelarsi la luce Divina. Come nel Santuario vi sono numerosi arredi sacri, per mezzo dei quali viene a risiedere la Presenza Divina, così anche nel Santuario personale, nell’uomo, vi sono ‘arredi’ coi quali egli serve D-O. Questi sono il cervello, il cuore, la bocca, le mani, i piedi, ecc. L’Ebreo deve attivare il proprio intelletto nello studio della Torà; riempire il proprio cuore di amore per D-O e di timore per D-O; emettere con la propria bocca parole di Torà e di preghiera; compiere precetti con le proprie mani; recarsi con le proprie gambe a svolgere opere di bene, ecc. Quando egli usa i propri organi e le proprie membra per servire D-O, egli fa di se stesso un Santuario per D-O.
L’essenza Ebraica
Accade talvolta che questi ‘arredi’ divengano ‘impuri’. Quando l’Ebreo usa il proprio intelletto, o dirige le proprie emozioni e le sue altre facoltà verso cose che non sono desiderabili, egli le rende impure. Con questo peccato egli allontana da sé la luce della santità. Per tornare ad essere un Santuario per D-O, egli deve fare teshuvà, pentirsi e tornare a D-O, cosa che permette di purificare nuovamente gli ‘arredi sacri’ del suo Santuario. C’è però un ‘arredo’ che non può mai divenire impuro: l’altare. L’altare è la cosa principale del Santuario ed esprime la dedizione completa a D-O, la distruzione del proprio ego nel fuoco dell’amore per D-O. Qui, in questo posto, l’impurità non ha alcun potere! L’altare simbolizza l’essenza dell’anima di ogni Ebreo, il punto interiore di Ebraismo che è in lui, che non perde mai la sua purezza. Questo punto interiore non è influenzato dal comportamento della persona, dalle sue azioni e dal suo modo di pensare. In questo punto interiore egli resta sempre legato a D-O, e non vuole e non può essere separato dal suo Ebraismo.
Povertà e ricchezza
Non fa differenza quale rivestimento abbia questo ‘altare’, sia esso di rame o d’oro. Il ‘rame’ e l’‘oro’ rappresentano due condizioni generali che si pongono come una prova, nel servizio Divino: la povertà (il ‘rame’) e la ricchezza (l’’oro’). L’uomo può arrivare a trasgredire alla volontà Divina a causa delle tentazioni che derivano dalla ricchezza, o delle difficoltà che provengono dalla povertà. Tutto ciò si ferma però alla parte più esteriore dell’anima. Nella sua interiorità, nell’essenza della sua anima, l’Ebreo resta legato a D-O. La Torà assicura che, con la sua forza, l’interiorità prevarrà alla fine sull’esteriorità, cosicché anch’essa sarà purificata e, con una teshuvà sincera, il ‘Santuario’ ed i suoi ‘arredi’ saranno limpidi e puri.
(da Likutèi Sichòt, vol. 3, pag. 910)