L’aspetto più profondo della teshuvà del futuro Pubblicato il 24 Settembre, 2023
Il completamento del processo di teshuvà è quando si arriva alla teshuvà che deriva dall’amore.
“Per i peccati che abbiamo commesso davanti a Te…” (Dalla preghiera di Yom Kippùr)
A Yom Kippùr noi siamo impegnati nel servizio della teshuvà, del pentimento e del ritorno a D-O. Una parte di questo servizio è la confessione dei propri peccati, come dice la Torà: “Dovranno confessare la loro colpa” (Bamidbar 5:7). Questa è la ragione per la quale diciamo ‘al chata’ a Yom Kippùr, secondo il formulario della preghiera stabilita dai nostri Saggi per questo giorno, nel quale vengono elencati ogni tipo di peccati. Nel Talmùd Yerushalmi vi è una disputa se sia sufficiente la recitazione generale di questo rito o se vi sia la necessità che nella confessione ognuno entri anche nel dettaglio dei propri peccati personali. Rabbi Yehuda dice che ognuno deve specificare verbalmente anche i suoi peccati personali, mentre Rabbi Akìva sostiene che non vi è la necessità di specificare le proprie azioni.
Presente o futuro
I ragionamenti che portano a queste due opposte posizioni vengono spiegati dai Tosafòt. Rabbi Yehuda sostiene che si debbano specificare i peccati personali, al fine di risvegliare nell’uomo un senso di vergogna, che renderà così più profonda la sua teshuvà. Rabbi Akìva, invece, sostiene che si debba tener conto del timore “che non venga sospettato di altri peccati”. Ossia, se qualcuno sentirà la lista dei peccati di quell’uomo, la cosa potrebbe poi minare l’affidabilità che la gente gli attribuisce e il suo status in generale nella società. In profondità, alla base della disputa, si trova la domanda se bisogna dare la preferenza al presente o al futuro. Se ci si riferisce al presente, oggi è Yom Kippùr, e grazie alla specificazione dei peccati personali, la teshuvà sarà più profonda e completa. Rispetto al futuro, invece, la cosa potrebbe danneggiare la persona e ledere la sua immagine agli occhi delle creature.
Timore e amore
Su questa base, è necessario fornire un’ulteriore spiegazione a questa disputa. Rabbi Yehuda vede colui che si confessa nel suo stato attuale, come qualcuno che inizia il suo processo di teshuvà. La prima fase della teshuvà è quella mossa dal timore e in questa fase della teshuvà è importante specificare i propri peccati. Il timore per un peccato lieve non è paragonabile a quello per un peccato grave e in corrispondenza della gravità del peccato, così sarà il timore e il pentimento. Rabbi Akiva, invece, guarda al futuro, al completamento del processo di teshuvà, quando si arriva alla teshuvà che deriva dall’amore. In questo tipo di teshuvà la gravità del peccato non significa più nulla, poiché in una condizione di amore, ogni peccato provoca una separazione da D-O, e chi ama si sente respinto sia dal peccato lieve che da quello grave. Per questo, dato che Rabbi Akiva prevede già che il peccatore arriverà alla teshuvà per amore, sostiene che fin da ora non c’è bisogno di specificare i peccati.
La teshuvà nel suo aspetto più profondo
Così Rabbi Akìva, seguendo il suo metodo, vedeva ogni cosa come essa è nella sua parte più vera e profonda. Fu lui a dire che tutto quello che D-O fa, lo fa per il bene, così che anche nel male egli vedeva il bene nascosto. Fu lui a ridere quando i suoi compagni piangevano alla vista di una volpe che usciva dal Santo dei Santi, quando il Tempio fu distrutto. Egli rise poiché proprio in ciò vide una forte conferma alla profezia della Redenzione (è una regola che una profezia negativa non per forza debba realizzarsi, mentre lo deve una profezia positiva; alla vista della realizzazione della profezia negativa gli fu quindi ancora più chiaro come quella della Redenzione fosse assolutamente certa). Così anche riguardo alla teshuvà, Rabbi Akìva vede l’aspetto interiore che si nasconde dentro a quello esteriore. Nonostante la persona sia solo ai i suoi primi passi nel suo processo di teshuvà e per ora si trovi solo nella sua prima fase, la teshuvà che deriva dal timore, dentro di essa, nel profondo, Rabbi Akìva vede già la teshuvà che deriva dall’amore ed il suo perfetto completamento.
(Da Likutèi Sichòt, vol. 24, pag. 239)