L’esilio si sviluppa dall’importanza che si dà al mondo Pubblicato il 30 Luglio, 2023

Conoscere le cause dell'esilio ci aiuta a ripararle ed a meritare la Redenzione completa, al più presto.  

 

 

   “In un deserto grande e terribile, luogo di serpenti velenosi e scorpioni, un luogo arido per mancanza d’acqua.” (Devarim 8:15)

   Prima di giungere alla Terra d’Israele, i Figli d’Israele dovettero passare attraverso il deserto, che viene descritto dalla Torà in questi termini: “Lui, che ti ha portato in un deserto grande e terribile, luogo di serpenti velenosi e scorpioni, un luogo arido per mancanza d’acqua.” Nei particolari di questa descrizione, si nasconde un insegnamento valido per tutte le generazioni, che ha lo scopo di dirigerci nella nostra vita quotidiana. Il grande deserto rappresenta il lungo esilio, nel quale noi siamo immersi, prima della Redenzione. I particolari del deserto rappresentano l’essenza stessa di questo esilio e le sue cause; la conoscenza di queste cause ci renderà più facile il compito di ripararle e di meritare, così, la Redenzione.

    Le cause dell’esilio
Il deserto, in generale, è un luogo “dove nessuno abita” (Geremia 2:6), cosa che allude all’esilio, nel quale il popolo d’Israele è immerso, in mezzo alle nazioni. Il deserto, inoltre, è un territorio più vasto di un centro abitato, così come le nazioni del mondo sono maggiori per numero del popolo d’Israele (ed anche all’interno del popolo d’Israele stesso, coloro che osservano la Torà e le mizvòt non sono, per ora, la maggioranza).
Ci dice la Torà, che il vedere il deserto come ‘grande’, è, di per sé, la ragione principale dell’esilio. Quando noi consideriamo i goìm ed il mondo che ci circonda come più grandi del popolo d’Israele, noi forniamo, con questo, al mondo la possibilità di dominarci. L’Ebreo deve ricordarsi che “Tu ci hai scelto fra tutti i popoli… e ci hai elevato”, e con questa consapevolezza, che il popolo Ebraico è più elevato di qualsiasi altro, l’Ebreo si collegherà strettamente a D-O ed alle Sue mizvòt, e nessun esilio avrà presa su di lui.

    La paura ed il calore
Un’ulteriore discesa è allusa dal termine ‘terribile’. È questa la paura di fronte al mondo. L’esilio diventa ancora più profondo, quando l’Ebreo inizia a temere il goi, a temere che magari possa scoprire che egli è attaccato alla propria fede ed all’adempimento delle mizvòt. Una simile paura, che accompagna l’Ebreo anche nella sua stessa casa, rafforza ancora di più il potere dell’esilio sulla sua anima.
Questa riduzione porta alla terza fase della discesa: ‘serpente’. Del serpente è scritto che “il suo veleno è caldo”. Ciò allude al fatto che il mondo riesce ad introdurre nell’Ebreo calore ed entusiasmo estranei, entusiasmo per i piaceri del mondo, che produce, di conseguenza, una diminuzione dell’entusiasmo per tutto ciò che è santità. Di qui, ben presto, si arriva al saràf (‘serpente velenoso’ e anche ‘bruciare’), all’entusiasmo negativo, che ‘brucia’ e sopprime completamente ogni interesse e desiderio per la santità.

    Un luogo arido per mancanza d’acqua
Ad un livello ancora più grave è lo ‘scorpione’. Di lui è detto che “il suo veleno è freddo”. Si tratta qui di freddezza e indifferenza complete. Il calore e l’entusiasmo, se pure diretti alle cose del mondo, possono sempre essere reindirizzati in senso positivo, verso la santità. Quando, invece, un uomo è privo di vitalità, freddo ed indifferente a tutto (come è proprio dello scorpione), è molto difficile risvegliarlo.
Da qui è possibile ormai arrivare al livello più basso: ‘un luogo arido (zimaòn, che significa anche ‘sete’) per mancanza d’acqua’. A volte D-O risveglia l’Ebreo, facendogli sentire dentro una sete ed un anelito verso l’Ebraismo. A causa, però, della sua distanza da tutto ciò che riguarda la santità – ‘mancanza d’acqua’ (acqua è la Torà) – egli non sa neppure di che cosa ha sete e cosa desidera. Questo è l’apice dell’esilio.
Quando, però, si è consapevoli di tutto ciò, e si sta attenti a tenersi lontani dal primo stadio, quello di dare importanza al mondo, si esce dall’esilio, meritando la Redenzione completa, al più presto.
   (Likutèi Sichòt, vol. 4, pag. 1101)

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