“Medicina preventiva” Pubblicato il 21 Dicembre, 2023

Il 10 di Tevèt ricorda agli Ebrei principalmente ed innanzitutto che, per annullare ogni ‘afflizione’ e 'prevenire' ogni ‘malattia’, la via è quella dell’amore disinteressato di un Ebreo verso il suo compagno e dell'unità di tutto il popolo d'Israele!

Il 10 di Tevèt
Assarà be Tevèt, il decimo giorno del mese di Tevèt, è uno dei digiuni che noi osserviamo durante l’anno, collegati alla distruzione del Tempio. In questo giorno, “Il re di Bavèl circondò (samàch) Gerusalemme, ponendola sotto assedio”. Questo evento segnò l’inizio dell’esilio del Popolo Ebraico e fu alla radice di tutte le seguenti tragedie che lo colpirono durante l’esilio. Gli eventi successivi – il 17 di Tamùz, quando fu aperta una breccia nelle mura di Gerusalemme; il nove di Av, quando il Tempio fu distrutto; e la morte di Ghedalia, il 3 di Tishrei – derivarono tutti dall’assedio iniziale, che incominciò il 10 di Tevèt. Dato poi che la distruzione del Secondo Tempio ed il successivo esilio non furono altro che una continuazione del processo iniziato con la distruzione del Primo Tempio, ne segue che il 10 di Tevèt fu all’origine di tutti gli esili. Ciò spiega anche perché, secondo l’Avudraham, il digiuno del 10 di Tevèt è ancora più severo, secondo l’halachà, di tutti gli altri digiuni commemorativi. Prova ne è che, se un qualunque altro di questi digiuni dovesse cadere di Sabato, esso verrebbe posticipato al giorno successivo, mentre per quel che riguarda il 10 di Tevèt, se esso dovesse cadere di Sabato, avremmo l’obbligo di osservarlo in quel giorno.

D-O fa precedere la cura alla malattia
La Torà afferma un principio secondo il quale D-O mette a disposizione il rimedio ancor prima che si presenti la malattia. Ciò significa che, in quanto ‘Supremo Guaritore’, il modo di guarire di D-O è tale che “Egli fa precedere la guarigione alla malattia”: Egli rende cioè possibile il massimo grado di guarigione possibile, quello secondo il quale fin dall’inizio non si verifica la malattia. È chiaro che la stessa regola vale anche per la ‘malattia’ dell’esilio: D-O infatti fa precedere all’esilio un metodo di guarigione, che rende superflua ed inutile addirittura la necessità stessa dell’esilio.

La forza dell’amore disinteressato
Come abbiamo detto in precedenza, l’esilio iniziò quando “Il re di Bavèl circondò (samàch) Gerusalemme, ponendola sotto assedio”. Già con questa fase D-O mostrò come la Sua cura avrebbe potuto prevenire del tutto la ‘malattia’. In che modo? I nostri Saggi dicono che ‘l’odio gratuito’ di un Ebreo verso l’altro è la causa della gravità e della lunghezza del nostro attuale esilio. Ciò che ne deriva è che la ‘cura’ che porta alla ‘guarigione’ (redenzione e liberazione) dalla malattia dell’esilio è l’impegnarsi in ciò che è l’opposto stesso dell’‘odio gratuito’, e cioè l’‘amore gratuito’, disinteressato, di un Ebreo verso l’altro. (Al suo livello più perfetto, esso porterà al raggiungimento di un’assoluta unità di tutto il popolo Ebraico). Dobbiamo dire quindi che, per fornire una cura già prima dell’inizio della ‘malattia’ dell’esilio, D-O si servì dell’assedio stesso (“Il re di Bavèl circondò (samàch) Gerusalemme”) per creare una possibilità di pace e unità fra il popolo Ebraico. Ciò avrebbe prevenuto e ‘curato’ la malattia dell’esilio in modo tale da evitarla del tutto.

La possibilità di unirsi
Dove possiamo vedere una condizione di pace e unità nell’assedio? Il risultato di un assedio, come dice il verso seguente, è che “nessuno può uscire né entrare”, nessun individuo che abiti in una città assediata può lasciarla e tutti gli abitanti della città sono costretti a rimanere insieme. Inoltre, nessuno ‘straniero’, nessun individuo che non sia un suo abitante, ha la possibilità di entrare in città. Ora, in questo caso, noi stiamo parlando dell’assedio della città di “Gerusalemme, costruita come una città unificata” (Salmi 122: 3), verso con il quale i nostri Saggi hanno voluto dire che essa unisce e collega tutti gli Ebrei. L’assedio di Gerusalemme fece quindi sì che gli abitanti di questa città santa ed unificante, venissero spinti ad un livello ancora maggiore di unione di quello che avrebbero potuto raggiungere, senza l’assedio della città. Di conseguenza, l’‘afflizione’ dell’assedio stesso avrebbe portato la ‘cura’: gli Ebrei avrebbero raggiunto un più alto grado di unità e di amore l’uno per l’altro, l’‘amore gratuito’. Non solo, in questo caso il procedimento Divino di far “precedere la cura alla malattia” fu molto chiaro, poiché gli effetti negativi dell’assedio – carenza di cibo e di acqua – non sarebbero stati percepiti che molto più tardi, date le abbondanti scorte, mentre l’effetto positivo ed unificante si sarebbe potuto avvertire da subito. Da qui l’insolito termine ebraico usato in questo caso per ‘assedio’: samàch. In ebraico, il termine samàch ha in genere una valenza positiva di ‘supporto’. Come mai allora fu usato qui per descrivere un assedio, che funse da precursore a tutti gli esili? Poiché alla sua origine, questo assedio, favorendo come esso fece la capacità del popolo Ebraico di raggiungere un maggiore grado di unità e di ‘amore gratuito’, fu sicuramente una manifestazione positiva e di ‘supporto’. Solo dopo che gli Ebrei non scelsero di comportarsi con saggezza e l’assedio non generò un ‘amore gratuito’, esso si trasformò in un evento negativo. Il 10 di Tevèt ricorda quindi agli Ebrei principalmente ed innanzitutto che, per annullare ogni ‘afflizione’ ed ogni ‘malattia’, la via è quella dell’amore disinteressato di un Ebreo verso il suo compagno e, come risulterà poi nella sua manifestazione più completa, della perfetta unione del popolo Ebraico. Ciò, a sua volta, porterà all’annullamento di questi dolorosi giorni di digiuno, in modo che essi si trasformino, con l’arrivo di Moshiach, in giorni di festa, di gioia e di letizia.
(Basato su Likutèi Sichòt, vol. 25, pag. 267-269)

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