Pèsach Shenì: vi è sempre una seconda possibilità! Pubblicato il 5 Maggio, 2023

Anche quando si pensa che tutto sia perduto, che la propria impurità rappresenti un ostacolo troppo grosso alla nostra possibilità di avvicinarci a D-O, l'espressione del nostro profondo desiderio di attenerci alla Sua volontà, affermato con forza e decisione, ha il potere di influenzarla al punto di "cambiare i Suoi programmi" in nostro favore. Un insegnamento nell'approssimarci alla festa di Pèsach Shenì.  

Pèsach Shenì (il secondo Pèsach) ha, come suo tema centrale: “Niente è mai perduto, è sempre possibile riparare. Persino chi era impuro, o chi era in un luogo lontano, ecc., potrà, in ogni caso, riparare.” L’Admòr HaZakèn spiega, che la possibilità di riparare esiste, anche nella situazione più degradata, nella condizione opposta a quella della purezza o in quella di lontananza dal Tempio, o, addirittura, in quella in cui non si è portato il sacrificio per propria volontà, e, cioè, con intenzione (che D-O abbia misericordia); anche in questa condizione, niente è perduto, si può riparare.

    L’accento sulla possibilità di riparare, anche nelle situazioni più degradate, viene ad aggiungersi al significato semplice del contenuto della parashà, che parla della mizvà del Pèsach Shenì. Gli “uomini che erano impuri, avendo avuto un contatto con un morto, e non potevano compiere il sacrificio di Pèsach in quel giorno”, non erano di certo in una condizione di degradazione. Anzi, come dice la Ghemarà: “Chi erano quegli uomini? Coloro che portavano la bara di Yosèf, secondo le parole di Rabbi Yossei HaGlili; Rabbi Akìva dice Mishaèl ed Elzafàn, che si occupavano di Nadav e Avìhu; Rabbi Izchak dice… coloro, che si occupavano della mizvà del morto”. La causa, cioè, della loro impurità, non era dovuta ad un difetto, ma, anzi, al fatto di essere occupati  ad eseguire la volontà Divina. Pur non essendovi alcun difetto nel loro stato, anch’essi vollero, tuttavia, godere della completezza del sacrificio di Pèsach, e non esserne esclusi. La loro lamentela, portata con decisione davanti a Moshè, ottenne ascolto in Alto, tanto che D-O diede, in quell’occasione, una nuova mizvà, una mizvà, che doveva valere anche per il futuro, per tutte le generazioni: una seconda possibilità di portare il sacrificio pasquale, il mese successivo a Pèsach, il 14 di Yiàr.

    Questo completamento del Pèsach Shenì non riguarda solo il riempimento di una mancanza. Esso rappresenta un movimento volto al completamento, al perfezionamento, non solo per quel che riguarda il presente, ma anche per quel che riguarda il futuro. Ciò che può essere, infatti, completezza nel momento presente, rispetto ad un livello superiore che può essere raggiunto in futuro, rappresenta una mancanza. La Ghemarà spiega che quegli uomini, che non poterono portare il loro sacrificio il 14 di Nissàn, a causa della loro impurità, non protestarono per ciò, fino a quello stesso giorno, che era anche il loro settimo ed ultimo giorno di impurità. Perché essi aspettarono fino all’ultimo momento, e solo allora si rivolsero a Moshè? Perché non chiesero chiarimento sulla loro posizione subito, appena seppero del comando Divino e si resero conto di non poterlo compiere?

      Si sa che “chi è occupato in una mizvà è esentato dalla mizvà (da altre mizvòt)”, e questo perché ogni mizvà è compresa in ogni mizvà, cosicché l’occuparsi di una mizvà, viene a comprendere anche la mizvà dalla quale si viene esentati, che sarà considerata anch’essa, come se fosse stata compiuta. “Quegli uomini”, quindi, non sentirono la mancanza del sacrificio pasquale, poiché, occupandosi della mizvà per il morto, era come se si occupassero anche del sacrificio pasquale. Questo era valido, però, per quel che riguardava la condizione presente, fino a che essi, cioè, furono occupati nella mizvà, e nello stato di impurità, che ne derivava. Riguardo, però, la condizione futura, lo stato, cioè, di purezza, che avrebbe permesso loro di portare il sacrificio, la condizione precedente (in cui erano impossibilitati a portare il sacrificio), veniva ad essere percepita come manchevole. Fino all’ultimo momento, essi non sentirono la mancanza, e non ebbero motivo di protestare, ma quando arrivarono alla vigilia di Pèsach, il momento del sacrificio pasquale, ed il giorno dopo anch’essi sarebbero stati puri per poterlo compiere, allora essi sentirono la condizione di mancanza, rispetto al futuro, e chiesero, con tutta la forza, di non essere esclusi, da neppure una delle mizvòt di D-O.
(Shabàt parashà Be-hàr, 15 Yiàr 5749)

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