Sentire la Meghillà in viaggio Pubblicato il 6 Marzo, 2023

“Wow!” comprese in quel momento il professore. Il rav aveva viaggiato per un’ora, solo per permettergli di ascoltare la Meghillà!! Ed ora, sarebbe tornato a Los Angeles…

Los Angeles è una delle più grandi città dell’America, visitata continuamente dai turisti, piena di attrazioni e ‘capitale’ dell’industria cinematografica, con la famosa Hollywood. In pratica, una città che rappresenta bene tutti i valori più materiali di questo mondo. Una cinquantina d’anni fa, in questo luogo così basso spiritualmente, dove l’assimilazione rappresentava la norma per gli Ebrei del posto, fu fondato il primo Beit Chabad del mondo, da rav Shlomo Kunin, emissario del Rebbe di Lubavich. Piano piano, iniziò a compiersi una profonda trasformazione nella città, con l’arrivo di nuovi emissari e un’attività a tutto campo per risvegliare i valori e la luce dell’Ebraismo e creare tutti i servizi indispensabili ad una vita ebraica. Il tutto, con il calore e la vitalità che contraddistinguono gli emissari del Rebbe. Oggi, chi vede le sinagoghe, i ristoranti kashèr, le istituzioni fondate per lo studio, la vita sociale della comunità ed altro, difficilmente crederebbe che solo cinquant’anni fa ci fosse qui un ‘deserto’ spirituale. Chi si occupò della grandissima università di Los Angeles, fu un giovane ed intraprendente emissario del Rebbe, di nome Shlomo Shwarz. In quei giorni, gli studenti Ebrei si vergognavano del loro Ebraismo e cercavano in tutti i modi di apparire ‘uguali’ agli altri, americani moderni che non hanno a che fare con certe vecchie mentalità. Persino gli Ebrei osservanti della città cercavano quanto più possibile di mimetizzarsi. Mettere i tefillìn per strada, erigere una grande chanukkià in mezzo ad una piazza? A nessuno sarebbe mai venuto in mente! Per carità, che vergogna, sono cose che non si fanno…!! Tanto più gli studenti Ebrei di un’università tanto moderna e prestigiosa! Meglio essere in tutto e per tutto uno di loro, un giovane e moderno americano e basta. Rav Shwarz, però, non si lasciò scoraggiare. Egli pose davanti a sé uno scopo ben preciso e lo perseguì senza mai esitare: trasformare quel luogo così materiale, in un posto dove D-O venga riconosciuto, collegando sempre più Ebrei al loro Ebraismo, alla loro vera fonte e aiutandoli a risvegliare la loro anima. A Purim, rav Shwarz si piazzava nel bel mezzo dell’università, si rivolgeva ai passanti con un grande sorriso: “Oggi è Purim! Purim sameach! Vuoi sentire la lettura della Meghillà?” I più educati rispondevano “No, grazie”, mentre la maggior parte passava oltre, senza degnare neppure di uno sguardo quello ‘strano tipo’. Ma con la sua caratteristica, calorosa e gioiosa ‘ostinazione’, rav Shwarz non si scoraggiava e continuava a rivolgersi ai passanti. Quella volta, ecco che finalmente qualcuno rispose di sì!! Si trattava di un docente Ebreo dell’università, che accettò cortesemente, convinto si trattasse di una questione di due o tre minuti al massimo. Quando vide però il rav estrarre il rotolo della Meghillà, strabuzzò gli occhi e, guardando l’orologio, chiese preoccupato: “Ma quanto ci vorrà’” “Un quarto d’ora, venti minuti” fu la risposta. “Ah, no, no! Impossibile! Devo tornare presto a casa..” e mentre stava ancora parlando, iniziò ad allontanarsi. “Un momento” lo fermò rav Shwarz, “da che parte è diretto?” “A Irvine”. “Fantastico!” esclamò rav Shwarz. “Anch’io devo andare là. Posso chederle un passaggio?” “Certo. Perché no?” rispose il professore, e insieme si avviarono alla macchina. Irvine si trova a circa un’ora di distanza da Los Angeles. Mentre erano in viaggio da qualche minuto, rav Shwarz si rivolse al professore: “Abbiamo ancora un bel po’ di strada da fare. Che ne dice se intanto le leggo la Meghillà? Io leggo e lei ascolta. “ ‘Perché no?’ pensò il professore e accettò. Rav Shwarz iniziò allora a leggere le benedizioni e poi la Meghillà, parola per parola, mentre il professore alla guida ascoltava con attenzione. Quando poi arrivarono a Irvine, il professore chiese a rav Shwarz dove dovesse fermarsi per farlo scendere. “Alla stazione degli autobus”, fu la risposta. “Wow!” comprese in quel momento il professore. Il rav aveva viaggiato per un’ora, solo per permettergli di ascoltare la Meghillà!! Ed ora, sarebbe tornato a Los Angeles…
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Trent’anni passarono da allora, ma gli effetti delle azioni di rav Shwarz si continuano a vedere anche dopo la sua morte. Un giorno, un giovane Ebreo si rivolse a rav Moshe Shwarz di Boston, chiedendogli: “Sei forse il figlio di rav Shlomo Shwarz?” Alla risposta positiva, il giovane disse di avere una storia interessante da raccontargli. “Sono cresciuto in una famiglia non osservante. Sapevo di essere Ebreo, ma nulla di più. Crescendo, iniziai ad interessarmi sempre di più di Ebraismo, finché, all’età di vent’anni, decisi di diventare osservante e di andare a studiare in una yeshivà. “Yeshivà?!”, tuonarono i miei genitori. Il loro sogno era che mi laureassi in un’università prestigiosa, per avviarmi poi ad un’altrettanta prestigiosa professione. La sola idea di vedermi con la kippà sulla testa e la barba lunga, chino su libri di Torà dalla mattina alla sera li mandò in panico. “Scordatelo!” mi dissero. Ma io non fui disposto a rinunciare. Alla fine, i miei genitori fecero una proposta che accettai: ne avremmo parlato insieme al nonno e alla nonna, e insieme avremmo deciso. Mio nonno era un professore di un certo livello. I miei genitori non avevano dubbio sul fatto che avrebbe dato loro ragione, incoraggiando il nipote ad intraprendere gli studi universitari. Durante il loro incontro, il nonno chiese: “In quale yeshivà vuoi andare a studiare?” “In una yeshivà chassidìt”, risposi. “In questo caso, hai la mia benedizione. Una yeshivà chassidìt è un buon posto dove studiare!” I miei genitori per poco non caddero dalla sedia! Non riuscivano a credere che proprio il nonno, importante docente universitario, potesse incoraggiare il nipote a studiare in una yeshivà. Il nonno vide il loro sgomento, e subito spiegò il motivo. Per farlo, raccontò come tanti anni prima rav Shlomo Shwarz avesse viaggiato per più di due ore, solo per permettergli di sentire la lettura della Meghillà! “Se una yeshivà chassidìt educa ad una tale dedizione verso il prossimo ed a simili valori, fino ad investire ore per aiutare un singolo Ebreo in una mizvà, allora sarò ben felice che mio nipote riceva una simile educazione…” Pensate che forza può avere una singola nostra azione!!

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