Una luce che ispira Pubblicato il 3 Maggio, 2023

Nella parashà che porta questo nome, 'emòr' è un comando che ingiunge alla persona di parlare. I nostri Saggi associano il comando “emòr” all’obbligo dell’educazione dei nostri figli. Un’insegnamento fondamentale riguardo l’educazione, è che essa deve essere caratterizzata dal risvegliare la luce interiore, che ognuno possiede nella sua anima.

Cosa succede quando un saggio parla
Il Rambam scrive. “Come un saggio lo si riconosce dalla sua sapienza e dalle sue qualità, che lo distinguono dagli altri uomini, così anche lo si deve poter riconoscere dalla sua condotta.” Ciò che il Rambam vuole dire, è che il concetto Ebraico di sapienza non è un qualcosa di teoretico. Anzi, la sapienza di una persona è quella che deve foggiare il suo carattere e, ancora più importante, influenzare il suo comportamento pratico. È ciò che lo distingue in quanto saggio. Fra i comportamenti che il Rambam cita come appropriati ad un uomo saggio, vi è la purezza del linguaggio, così come egli dice in seguito: “Uno studioso di Torà non deve gridare o urlare quando parla… Egli deve invece esprimersi gentilmente con ogni persona… Egli deve giudicare ogni altra persona in una luce favorevole, citandone le lodi, e non menzionare mai qualcosa che possa metterlo in imbarazzo.” Le parole usate dal Rambam: “giudicare in una luce favorevole” e “non menzionare mai qualcosa che possa metterlo in imbarazzo”, fanno capire che lo studioso di Torà può riconoscere dei difetti nel carattere dell’altro. Eppure, anche in questo caso egli “citerà le sue lodi”. Quando si troverà a parlargli in modo privato, egli lo ammonirà pazientemente e gentilmente sulla sua condotta. Quando invece parlerà con altri, o quando si figurerà quella persona nella propria mente, egli penserà e parlerà positivamente nei suoi riguardi. Questo non è soltanto un riflesso del grado di raffinamento personale dello studioso. Evidenziando costantemente le qualità positive dell’altra persona, egli incoraggerà di fatto la loro espressione. La causalità è un sistema complesso, ed il pensiero e la parola hanno la forza di provocare apprezzabili cambiamenti nel nostro mondo. Per questa ragione, a volte, il Magghìd di Mezrich parlava di concetti che egli sapeva che i suoi ascoltatori non avrebbero potuto comprendere, e faceva ciò con l’intento di far discendere l’idea nel nostro mondo, così che, in seguito, essa avrebbe potuto divenire comprensibile anche ad altri. Un simile concetto lo si può trovare nel campo delle relazioni umane. I nostri Saggi dicono che la lashòn ha’rà (la maldicenza) uccide tre persone: quella che la fa, quella che la sente e quella della quale si parla. Noi possiamo capire perchè una simile conversazione possa agire su colui che parla e su colui che ascolta: entrambi infatti partecipano ad un peccato che i nostri Saggi considerano equivalente agli effetti combinati dell’idolatria, dell’assassinio e delle relazioni proibite. Ma perchè essa dovrebbe colpire la persona della quale si parla? Essa non ha preso parte alla trasgressione. In definitiva, si può dire che parlare delle qualità negative di una persona, stimola la loro espressione. Anche se la persona non sa che si sta parlando di lei, il fatto che si discuta dei suoi difetti li stimola a rivelarsi. Se non si fosse parlato di quei difetti, la possibilità che essi fossero rimasti nascosti sarebbe stata maggiore. “Le qualità positive sono più forti delle imputazioni,” ed un concetto simile si riferisce anche al parlare delle virtù di una persona. Il citare costante delle buone qualità che una persona possiede – ed in ognuno vi sono insondate riserve di bene – faciliterà la loro espressione nel comportamento di quella persona. 

Un comando di parlare
I concetti di cui si è parlato riguardano la parashà chiamata: Emòr. Emòr è un comando che ingiunge alla persona di parlare. Nel contesto della parashà, questo comando ha un’applicazione immediata: comunicare le leggi riguardanti il sacerdozio. Il fatto comunque che questo termine sia usato come nome di una parashà della Torà, ne indica un significato più vasto: una persona deve parlare. Eppure, noi troviamo che i nostri Saggi consigliano “Parla poco,” (Pirkèi Avòt 1:15) e “Io… non ho riscontrato nulla che sia per l’uomo migliore del silenzio,” (Pirkèi Avòt 1:17), intendendo con ciò che parlare eccessivamente sia una cosa indesiderabile. Noi non possiamo neppure dire che la direttiva “emòr” si riferisca al comando di parlare di Torà, poiché a proposito di ciò vi è un comando esplicito: “E tu parlerai di esse,” che ci incoraggia ad abbondare in parole di Torà. La direttiva “emòr”, invece, si riferisce al parlare delle virtù altrui, come spiegato in precedenza.

Studiare con ‘luce’
I nostri Saggi associano il comando “emòr” all’obbligo dell’educazione dei nostri figli, commentando: “(È scritto:) ‘Parla’ ed (è scritto,) ‘dì loro’. (Perché una tale ridondanza nello stesso verso?) Per raccomandare gli adulti a proposito dei bambini…  Le’hazir, il termine Ebraico tradotto con ‘raccomanda’ comprende la stessa radice della parola zohar, che significa ‘splendore’. Ciò ci trasmette un’insegnamento fondamentale riguardo l’educazione: essa deve essere caratterizzata da una luce che risplende. In generale ci sono due modi per educare i bambini a respingere comportamenti indesiderabili: enfatizzare quanto essi siano spregevoli, o mostrare l’alternativa positiva. Le’hazìr sottolinea l’importanza di diffondere luce, confidenti nel fatto che “poca luce disperde un grande buio,” e che, risplendendo la luce, si risveglierà la luce interiore che ognuno possiede nella sua anima.

Come la luce accende luce
Vi è una dimensione ancora più profonda di questo concetto. In un senso più completo, l’educazione dei propri figli, e per estensione quella di tutte le persone sulle quali possiamo avere un’influenza, non dovrebbe essere vista come un obbligo ulteriore, in aggiunta al nostro servizio Divino, un altro compito che deve essere compiuto, ma piuttosto come una conseguenza naturale del nostro stesso servizio Divino. Quando il servizio Divino di una persona raggiunge un apice elevato ed egli si rapporta agli altri con sentimenti di ahavàt Israel e achdùt Israel (amore e unione del popolo Ebraico), il suo contatto con loro incrementerà la loro crescita personale. La luce che risplenderà dalla sua condotta ispirerà ed educherà tutti coloro coi quali egli verrà in contatto. E questo approccio condurrà all’era in cui “il saggio brillerà come lo splendore del firmamento” e “Israele… lascerà il suo esilio con misericordia.” Possa ciò compiersi nell’immediato futuro.

(Adattato da Likutèi Sichòt, vol. 27, pag. 159; Sefer HaSichòt 5750, pag. 443)

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