Alzare la propria mano Pubblicato il 4 Gennaio, 2024
Non solo noi dobbiamo tenerci lontani da ogni parvenza di violenza contro il nostro prossimo, ma dobbiamo anche notare i bisogni degli altri e comportarci con loro con atti di bontà, in un modo che vada al di là della nostra inclinazione naturale.
Il nostro corpo al servizio di D-O
Nella parashà Shemòt, leggiamo di Moshè che vide due Ebrei mentre stavano litigando. Egli disse allora al malvagio: “Perché vorresti colpire il tuo compagno?” (Shemòt 2:13). Dal fatto che il versetto dica “perché vorresti colpire”, piuttosto che “perché hai colpito”, i nostri Saggi deducono che, “anche solo alzando la propria mano contro il suo prossimo, anche senza colpirlo poi di fatto, l’uomo è comunque da considerarsi ‘malvagio’” (Sanhedrin 58b). Quando uno alza le mani contro un altro, fa qualcosa di più che minacciarlo di fargli male, egli agisce brutalmente e con malvagità. Per questo, il fatto in sé di levare le mani contro qualcuno è intrinsecamente sbagliato, ed una persona che fa così è considerata “malvagia”. Ad un livello più profondo, il motivo per cui un simile comportamento è considerato malvagio è questo: l’uomo è stato creato per servire il suo Creatore, osservando la Torà ed i precetti con ognuno dei suoi arti e dei suoi organi; la mano, per esempio, è destinata a dare. Di fatto, noi possiamo dire che lo scopo ultimo della mano è quello di dare illimitatamente. Quando uno invece leva la propria mano contro un altro, egli usa quell’arto nella maniera più degradante, peccando così contro D-O e contro l’uomo. Questo, poiché invece di usare la sua mano per fare del bene, egli la usa per crudeltà. Inoltre, poiché la maggior parte dei precetti comportano un’azione, sono proprio le mani ad adempiere alla maggior parte dei precetti. Quando una persona usa le proprie mani in modo antitetico, egli contraddice in questo modo allo scopo della loro creazione, che è quello di “servire il proprio Creatore”. Riguardo a D-O, il peccato comincia nel momento stesso in cui la mano viene alzata contro il prossimo, poiché con questo alzarla, la mano viene usata per qualcosa che è completamente opposta allo scopo della sua creazione.
C’è sempre un lato positivo
Dal momento che la Torà è precedente alla creazione del mondo, stato nel quale il male ed il peccato non esistono, noi dobbiamo dire che in ogni aspetto della Torà deve esservi anche una dimensione più profonda, che è completamente buona. Così, anche l’alzare la mano contro il prossimo può essere spiegato in un modo del tutto positivo. Vi sono di fatto diverse spiegazioni possibili: quando una persona “alza la propria mano” per tagliare un’altro, come fase di un’operazione chirurgica destinata a salvare una vita, per esempio, questo stesso atto è allora interamente per il bene. Inoltre, alla luce della spiegazione data precedentemente, che il male insito nell’atto di alzare la propria mano è dovuto al fatto che quest’uso della mano contrasta con lo scopo per cui è stata creata, noi possiamo dire che la stessa cosa può avvenire in senso positivo. Ciò significa che una persona può usare la propria mano per fare del bene in una maniera ‘innaturale’, come quando, per esempio, il suo livello del ‘dare’, va molto al di là di quanto farebbe, seguendo la sua inclinazione ‘naturale’. Facendo così, egli “alza” la propria mano, per così dire, ad un livello spirituale più elevato, così che ora dà al suo prossimo anche più del necessario. Noi vediamo così che vi sono due modi per provvedere ai bisogni del nostro prossimo: “Dare alla persona ciò che le manca,” e “rendere l’altra persona ricca.”
Un doppio insegnamento
Qui si trova un insegnamento pratico per la nostra stessa vita: accanto all’istruzione chiara che noi riceviamo di tenerci lontani da ogni parvenza di violenza contro il nostro prossimo, vi è anche l’insegnamento che noi dobbiamo apprendere riguardo all’alzare la propria mano in senso positivo. Noi dobbiamo notare i bisogni degli altri e comportarci con loro con atti di bontà, in un modo che vada al di là della nostra inclinazione naturale. E noi dobbiamo fare questo, in modo da ‘elevare’ le nostre mani, ed il nostro stesso essere, ad un livello che supera ogni limite.
(Da Likutèi Sichòt, vol. 31, pag. 1-7)