Bisogna gridare e credere Pubblicato il 10 Gennaio, 2024
All’Ebreo è richiesto di vivere con due tendenze nell’animo: da un lato la fede completa e incontestabile, e dall’altro il grido che proviene dal profondo dell’anima: "Fino a quando?!" “Noi vogliamo Moshiach adesso!"
“Mi sono manifestato ad Avraham, Izchàk e Yacov” (Shemòt 6, 3)
La parashà Vaerà si apre con la risposta che D-O dette a Moshè Rabèinu, riguardo al reclamo da lui avanzato nei Suoi confronti, nella parashà precedente. Lì (Shemòt 5, 22) Moshè aveva detto: “Perché hai recato danno a questo popolo!… Da quando sono venuto dal faraone a parlare nel Tuo Nome, egli ha peggiorato la condizione di questa gente e Tu non hai liberato il Tuo popolo.” A ciò D-O rispose, all’inizio della nostra parashà: “Mi sono manifestato ad Avraham, Izchàk e Yacov”, con cui, secondo l’interpretazione dei nostri Saggi, D-O volle intendere che i nostri Patriarchi furono sottoposti a molte prove, ma non misero mai in discussione gli attributi Divini. Ogni cosa che è scritta nella Torà ha lo scopo di guidare l’Ebreo nella sua vita e nel suo servizio Divino. La Torà, che in genere evita di usare termini negativi, anche quando si riferisce addirittura solo ad un animale, in questo caso narra di qualcosa che non sembra certo poter essere considerato a favore di Moshè Rabèinu. È chiaro, quindi, che in questo racconto debba esserci un insegnamento, riguardo al modo corretto di comportarci nella nostra vita.
L’intelletto pone domande
Moshè, che meritò di ricevere la rivelazione della Presenza Divina, certamente conosceva le vie dei Patriarchi. Non c’è dubbio infatti che egli sapesse che i Partiarchi non avevano mai messo in discussione gli attributi Divini ed anch’egli fu a quel livello così elevato. Inoltre, è chiaro anche che la fede di Moshè in D-O e nella giustizia delle Sue vie fosse assoluta. Eppure, egli si levò e gridò: “Perché hai recato danno a questo popolo!” La Chassidùt ci insegna che Moshè appartiene al livello della Sapienza, mentre i Patriarchi a quello degli attributi: Chèssed (clemenza), Ghevurà (rigore), Tifèret (bellezza, armonia). Negli attributi (emozioni) può esistere la tendenza alla sottomissione, mentre l’intelletto non è pronto ad accettare tacitamente, ma aspira alla comprensione. Questa fu la ragione per la quale i Patriarchi non misero in discussione gli attributi di D-O, mentre Moshè si levò e domandò e chiese di capire, poiché dal lato dell’intelletto (della santità) ciò che si richiedeva qui, era proprio di gridare con forza: “Perché hai recato danno!”
Fino a quando?!
Da ciò noi possiamo trarre un duplice insegnamento. Da un lato abbiamo la risposta del Santo, benedetto Egli sia, secondo la quale, anche nei momenti di difficoltà come questo, bisogna adottare l’attitudine dei nostri Patriarchi e non fare domande. Quando si è così vicini alla Redenzione, che viene condotta da D-O Stesso, non c’è posto per le domande, neppure quando la situazione sembra essere la più difficile. D’altro lato, la Torà riporta il reclamo di Moshè Rabèinu, e anche in esso vi è un insegnamento valido per l’eternità. Quando un Ebreo si trova in esilio, e in particolare verso la sua fine, nei suoi ultimi momenti che sono chiamati Ikveta de Meshicha, quando l’oscurità spirituale copre il mondo al punto tale da confondere luce e buio, bene e male, bisogna che dentro di noi risiedano due tendenze: da una parte quella di essere forti nella propria fede in D-O, nel credere senza dubbio alcuno che tutto è per il bene e che proprio questo buio porterà alla Redenzione; d’altra parte, invece, dal lato della Sapienza Divina, deve uscire con forza dalla nostra bocca il grido: ‘fino a quando?!’
Non c’è contraddizione
Questo grido non è in contraddizione con la fede. Da parte dell’intelletto, che analizza gli eventi con i suoi strumenti, deve prorompere il grido: “Perché hai recato danno a questo popolo!”. Questo è il volere di D-O, che l’intelletto reagisca secondo ciò che per esso è accettabile, secondo la sua verità. E allo stesso tempo deve rafforzarsi nell’Ebreo l’attitudine dei Patriarchi, di non contestare gli attributi Divini, e ciò in forza della fede. All’Ebreo è richiesto di vivere con queste due tendenze dell’animo: da un lato la fede completa e incontestabile, e dall’altro il grido che proviene dal profondo dell’anima: “Noi vogliamo Moshiach adesso!”
(Likutèi Sichòt, vol. 3, pag. 854; discorso di Shabàt parashà Vaerà 5743)