Chi può nascondersi da D-O? Pubblicato il 13 Giugno, 2024

Come è possibile nascondersi da D-O, la Cui gloria riempie tutto il mondo? Una possibilità esiste: quando l’Ebreo è orgoglioso, pieno di sé, di lui D-O dice: “Io e lui non possiamo abitare (insieme)”

“Se la moglie di qualcuno si travia” (Bemidbàr 5:12)
La parashà Nasò tratta delle leggi riguardanti la sotà, la donna il cui marito viene preso da gelosia e la avverte: “Non appartarti con quel tale”, e tuttavia essa contravviene al suo ordine. In senso spirituale, l’uomo rappresenta il Santo, benedetto Egli sia, e la donna rappresenta il popolo d’Israele. Le leggi riguardanti la sotà si applicano quindi anche al rapporto che esiste fra Israele e D-O. Come un marito è geloso di sua moglie, così anche D-O è ‘geloso’ del popolo d’Israele e avverte ogni Ebreo, rivolgendosi direttamente a ciascuno, al singolare: “Non avrai altre divinità al Mio cospetto” (Shemòt 20:3)! Non traviarti con un’altra divinità! Proprio come l’avvertimento di un marito a sua moglie.

L’orgoglio nasconde
Questo avvertimento, però, non è chiaro. Come è possibile nascondersi da D-O, la Cui gloria riempie tutto il mondo? Non è forse detto: “Potrebbe qualcuno celarsi in qualche nascondiglio e Io non lo vedo?” (Geremia 23:24). Ed è anche detto: “Non vi è luogo privo di Lui” (Tikunèi Zohar). Come è possibile quindi il verificarsi di una condizione in cui si sia nascosti ai Suoi occhi? Una possibilità esiste: quando l’Ebreo è orgoglioso, pieno di sé. Di lui, D-O dice: “Io e lui non possiamo abitare (insieme)” (Sotà 5:1). D-O non sta insieme all’orgoglioso, ed è come se neppure lo vedesse. In questo spirito, il Baal Shem Tov interpreta così il verso di Geremia: “Potrebbe qualcuno celarsi in qualche nascondiglio e Io – non lo vedo?”. Se l’uomo ha la sensazione del proprio io, dell’orgoglio e della pienezza di sé, allora “non lo vedo”: D-O, per così dire, non lo vede.

Lettere scolpite
Cosa fare allora, in un tale caso? Guardiamo cosa dicono le leggi riguardanti la donna sospettata di adulterio: la Ghemarà dice che se il marito rinuncia alla propria gelosia, alla donna viene perdonato “tutto il tempo che la pergamena (su cui sono scritte le maledizioni, contenente il nome di D-O, che vengono immerse nell’acqua amara che le sarà fatta bere allo scopo di verificare la sua infedeltà) non è stata cancellata”. Questo significa che fino a che l’Ebreo si trova in una condizione in cui “la pergamena non è stata cancellata” può ancora essere perdonato da D-O. Se comprenderemo bene cosa voglia dire cancellare, capiremo anche come impedirlo. La cancellazione rimuove le lettere dalla pergamena, rivelando così come anche prima di essa le lettere e la pergamena fossero due realtà distinte (inchiostro e pergamena), permettendone quindi la cancellazione. Se fossero state una cosa sola, non sarebbe stato possibile separarle l’una dall’altra. Al contrario, le lettere scolpite sono una realtà sola con la pietra nella quale sono state scolpite, e pertanto non sarà mai possibile cancellarle e separarle dalla pietra.

Pentimento efficace
Questo è dunque il consiglio: non essere come lettere scritte, che possono essere separate dalla pergamena, ma come lettere scolpite, che sono diventate una cosa sola con la pietra. Ciò significa che il legame con la Torà deve essere come un’unione totale con essa, al punto che le sue lettere non possano essere cancellate dall’uomo. In questo modo, anche se nel cuore dell’uomo si insinua una sensazione di orgoglio, egli potrà beneficiare del perdono di D-O, Che è “abbondante nel perdonare”. Se però “la pergamena si è cancellata”, se la Torà e l’Ebreo sono due cose separate, in questo caso l’orgoglio divide veramente l’Ebreo da D-O. Egli dovrà allora comportarsi come la sotà, che portava un’offerta di orzo, che costituisce un cibo per animali. Egli deve sapere e sentire che è “povero di conoscenza”, come un animale che non ha conoscenza, e risvegliare nella propria anima un annullamento interiore davanti a D-O. E “nel posto dove stanno i baalèi teshuvà (coloro che si pentono), neppure i giusti perfetti possono stare” (Brachòt 34:2).

(Da Likutèi Sichòt, vol. 4, pag. 1032)

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