Comprensione e sottomissione Pubblicato il 21 Marzo, 2024
L'uomo serve D-O con la sua parte migliore, con le facoltà migliori della sua anima - le facoltà del suo intelletto, della sua comprensione. Tuttavia, quando uno serve D-O solo secondo la propria logica e le proprie emozioni, può arrivare a sbagliare. Il servizio intellettuale deve a essere una conseguenza della propria accettazione del giogo Divino.
A cosa porta la logica
L’haftarà che viene sempre letta nello Shabàt Zachòr, lo Shabàt che precede la festa di Purim, racconta di come Re Shaul, contravvenendo al volere Divino, abbia risparmiato Agag, il re di Amalek, e “quel che vi era di meglio fra gli animali ovini e bovini.” D-O, adirato per la condotta di Shaul, non lo ritenne più degno di rivestire la carica di re, e il regno fu affidato a Re Davìd. I nostri Saggi notano che quando Shaul divenne re, egli era puro dai peccati come un bambino di un anno. È chiaro quindi che il suo lasciare in vita Agag e “quel che vi era di meglio fra gli animali ovini e bovini” non poté essere semplicemente una palese e totale forma di disobbedienza al volere Divino. Shaul ebbe una buona ragione per il suo comportamento, che è il motivo per il quale si sentì giustificato nel dichiarare, riguardo alla sua condotta: “Ho mandato ad effetto la parola del Signore” (Shmuel I, 15;13). Shaul credeva veramente non solo di non aver trasgredito alla volontà Divina, ma anzi, all’opposto, egli era convinto che proprio col suo modo di agire, era riuscito di fatto ad adempiere alla volontà di D-O. Shaul conosceva il grande significato spirituale delle offerte sacrificali, sapeva che prendendo un animale e sacrificandolo a D-O si trasforma l’oscurità e il buio della materialità nel bagliore e nella luminosità della spiritualità. Inoltre, più grande è il grado di oscurità, maggiore sarà l’intensità della luce Divina che ne deriverà. Questo fu il motivo per il quale Shaul sostenne che prendere le pecore e i buoi di Amalek – rappresentando Amalek l’origine di ogni male e il maggiore grado possibile di oscurità – e offrire quegli animali a D-O, avrebbe portato alla più grande illuminazione spirituale e Divina possibile. Shaul, però, si sbagliò seguendo i dettami della propria ragione. Pur essendo le sue azioni molto logiche, Shaul mancò nella sua accettazione del giogo Divino, nella sua sottomissione al volere Divino. D-O aveva infatti detto specificamente: “Distruggete tutto quello che gli appartiene.” E di fatto questa fu anche la replica del profeta Shmuel: “Forse che il Signore desidera olocausti e sacrifici come Egli desidera che Gli si dia retta? Ascoltare è meglio che sacrificare, obbedire (è più importante) che offrire il grasso dei montoni”.
Comprendere è importante
Le “offerte” e il “grasso” alludono ad una modalità logica del servizio spirituale: l’uomo serve D-O con la sua parte migliore, con le facoltà migliori e più “grasse” della sua anima – le facoltà del suo intelletto, della sua comprensione. E in effetti un simile servizio è richiesto all’Ebreo, poiché egli deve servire D-O non solo con la sua sottomissione al giogo Divino, ma anche esercitando la propria capacità di comprendere tutto quello che è in grado di comprendere, così che anche le sue facoltà migliori e più elevate siano dedicate a D-O. Se una persona servisse D-O solo per obbligo, senza comprendere perché sta eseguendo gli ordini di D-O e senza provare gioia nelle proprie azioni, allora il suo servizio coinvolgerebbe soltanto le sue facoltà inferiori, quelle della parola e dell’azione, ecc. Egli non offrirebbe a D-O il suo “grasso” – le facoltà superiori della sua anima, le facoltà del suo intelletto e delle sue emozioni.
L’importanza della sottomissione
Tuttavia, “obbedienza” e “sottomissione” – kabalàt ol, l’accettazione del giogo Divino – sono meglio di “offerte” e “grasso”, e cioè del servizio che deriva solamente dalla propria comprensione e dalle proprie emozioni. Quando uno serve D-O solo secondo la propria logica e le proprie emozioni, può arrivare a sbagliare, come fece Shaul. E anche nel caso uno non dovesse sbagliare e riuscisse a presumere correttamente la volontà Divina, dal momento che egli serve D-O solo con il suo intelletto, questa persona rimarrebbe un’entità distinta, a se stante, mancherebbe del completo auto-annullamento e abbandono a D-O che deriva solo dal kabalàt ol. Pur essendo necessario, come abbiamo già detto, servire D-O anche col proprio intelletto, questo servizio intellettuale deve tuttavia essere una conseguenza della propria accettazione del giogo Divino. In altre parole, la persona serve D-O con la propria mente e con la propria intelligenza non perché è appagante e piacevole farlo, ma semplicemente perché è la volontà superiore Divina che l’uomo serva D-O non solo con kabalàt ol, ma anche con l’intelletto. Lo Zohar afferma che il kabalàt ol è la via d’accesso ad ogni aspetto della santità. Senza kabalàt ol non è possibile essere un ricettacolo capace di ricevere e contenere il Divino, e da ciò può risultare ogni tipo di male. Questo è il motivo per il quale l’aver concesso ad Agag di vivere un altro po’, seguendo la propria logica invece di obbedire al volere Divino con kabalàt ol, abbia portato al risultato della nascita del malvagio Hamàn, che cercò di annientare l’Ebraismo ed il popolo Ebraico, D-O non permetta. Al contrario del comportamento di Shaul, la condotta del popolo Ebraico che, al tempo del decreto di Hamàn, agì con totale auto-sacrificio, trascendendo i limiti della logica, è riuscito a portare loro la salvezza, come risulta dal miracolo di Purim. Qui si trova il collegamento fra l’haftarà di parashà Zachòr e Purim: Shaul peccò di mancanza di kabalàt ol, cosa che causò, in seguito, il rafforzamento delle forze impure di Amalek e la nascita di Hamàn. Tramite il kabalàt ol e l’auto-sacrificio, ascoltando l’esortazione del profeta Shmuel, che “ascoltare è meglio che sacrificare, obbedire (è più importante) che offrire il grasso dei montoni”, le forze dell’impurità di Amalèk vennero sconfitte, e “Per gli Ebrei fu luce, allegria, gioia ed onore” (Meghilàt Esther 8,16). Possa D-O fare che “così sia per noi”.
(Basato su Likutèi Sichòt, vol. 3, pag. 913-915)