Conservare le proprie forze più elevate per servire D-O Pubblicato il 29 Febbraio, 2024

La parte più profonda ed essenziale dell’Ebreo è sempre pronta a servire D-O e nessuna impurità può intaccarla.

“Da essa Aharon e i suoi figli laveranno le loro mani e i loro piedi” (Shemòt 30:19)
Nella parashà Ki Tissà, D-O comanda a Moshè di fare una conca di rame per le abluzioni, e di porla davanti alla Tenda del Convegno. Questa conca serviva ai sacerdoti prima del loro servizio, come è detto: “Da essa Aharon e i suoi figli laveranno le loro mani e i loro piedi, prima di entrare nella Tenda del Convegno”. Questa abluzione aveva due scopi: 1) pulizia e purificazione – al sacerdote è richiesta un’ulteriore pulizia e purificazione prima di iniziare il suo servizio nel Tempio. 2) Santità – tramite l’abluzione, il sacerdote riceveva un’ulteriore grado di santificazione, e per questo l’abluzione viene anche chiamata ‘santificazione delle mani e dei piedi’.

Siamo tutti sacerdoti
Nonostante il Tempio sia distrutto, il significato del valore del servizio che si svolgeva in esso ha validità anche oggi. In tal senso, ogni Ebreo è ‘sacerdote’, in quanto tutto il popolo d’Israele è chiamato ‘un regno di sacerdoti e un popolo santo’. E infatti, l’atto di compiere un’abluzione prima del servizio Divino riguarda anche la nostra vita attuale. Nelle halachòt che riguardano la preghiera, il Rambam scrive: “Shacharìt (la preghiera del mattino) – si lavi il proprio volto, le proprie mani e i propri piedi, e dopo si preghi”. È noto che le preghiere corrispondono ai sacrifici che venivano offerti nel Tempio, e l’abluzione prima della preghiera è quindi ad esempio della purificazione e della santificazione dei sacerdoti prima del loro servizio nel Tempio.

Purificare il volto
Il Rambam aggiunge un particolare che non appare nel comando che la Torà impone ai sacerdoti: essi dovevano lavare solamente le loro mani e i loro piedi, mentre il Rambam aggiunge anche il lavaggio del volto (panim). In ciò vi è un significato particolare, legato al periodo che segue la distruzione del Tempio. Le mani e i piedi rappresentano la facoltà di agire dell’uomo, mentre il volto (panim) rappresenta le sue facoltà più interiori (pnimiìm): la mente, la vista, l’udito, la parola, ecc. Le occupazioni quotidiane vanno svolte per mezzo delle mani e dei piedi, il che vuol dire che in esse noi dobbiamo investire solamente le nostre forze più esteriori, come è detto: “Quando mangi del lavoro delle tue mani” (Salmi 128:2). Nella vita quotidiana, dobbiamo investire lo sforzo delle ‘mani’, mentre le nostre forze più elevate le dobbiamo conservare per quello che è il vero senso della vita: il servizio Divino.

La nostra parte più interiore è sempre pura
E qui si trova la differenza fra l’epoca del Tempio e i nostri giorni: all’epoca del Tempio, il ‘volto’ (che corrisponde alla parte interiore) era di per sé distinto dalle occupazioni secolari, per cui non era necessaria alcuna particolare purificazione e santificazione prima del servizio nel Tempio; nel tempo dell’esilio, invece, quando la serenità dell’uomo è messa alla prova al punto tale, che l’uomo si trova ad investire anche le forze interiori nelle occupazioni quotidiane, allora nasce il bisogno di aggiungere maggiore purificazione, e dover purificare anche il ‘volto’. Questa è la ragione per la quale il Rambam aggiunge la necessità di lavare anche il volto, prima della preghiera. Vi sono tuttavia altri poskìm che non segnalano questo dovere di lavare il volto prima della preghiera. Secondo loro, il fatto che l’Ebreo dica, subito al suo risveglio, ‘modè ani lefaneCha’, enfatizza già il fatto che la sua parte più interiore resta sempre e comunque legata a D-O, per cui non vi è alcuna necessità di un’azione particolare di purificazione del volto e dell’interiorità. La parte più profonda ed essenziale dell’Ebreo è infatti sempre pronta a servire D-O e nessuna impurità può intaccarla. Il Rambam stesso, poi, decreta che ogni Ebreo vuole sempre fare la volontà del suo Creatore.
(Da Likutèi Sichòt vol. 31, pag. 184)

I commenti sono chiusi.