Cosa si impara dai miracoli Pubblicato il 22 Gennaio, 2024
Il miracolo ci porta alla consapevolezza della sovranità Divina che regna su tutto, e sarà proprio questo riconoscimento a permetterle di rivelarsi agli occhi di tutti nella Gheulà vera e completa.
La Cantica del Mare
Nella parashà Beshallàch vengono descritti diversi miracoli, che accompagnarono gli Ebrei nella loro uscita dall’Egitto. Fra di essi: il passaggio del mar Rosso, la manna e la sconfitta di Amalèk. La Torà ci chiede di ricordare questi miracoli sia durante la nostra preghiera, sia con la dose di manna che fu comandata di conservare come ricordo per le generazioni future, sia col precetto che impone di ricordare Amalèk. Il motivo di ciò è l’insegnamento eternamente valido, che questi miracoli contengono. Il significato della loro importanza ed il legame che li accomuna può essere spiegato nel contesto della cantica di lode e di ringraziamento che il popolo d’Israele elevò a D-O, dopo l’apertura ed il passaggio del Mar Rosso. In questa cantica vengono ricordati anche gli Egiziani e la loro fine. Il motivo per cui anch’essi vengono menzionati, e l’accento non è posto solo sugli Ebrei, è che la grandezza di D-O non va lodata solo in relazione ai regni spirituali, o al Suo amore per il popolo d’Israele. Questa cantica ha lo scopo di lodare la forza e la grandezza di D-O in questo mondo materiale e di riconoscere il Suo legame con gli Ebrei, in quanto nazione che si trova in mezzo ad una moltitudine di popoli nemici, e che D-O protegge e per la quale opera miracoli. Ed è così che la cantica arriva ad esprimere, nella sua parte finale, la verità e lo scopo che dovevano rivelarsi: la manifestazione della regalità Divina nel mondo: “D-O regnerà per sempre”. Con l’apertura del Mar Rosso, il potere Divino che si nasconde nella creazione si rivelò apertamente, permettendo di vedere il Divino in ogni cosa. La recitazione di questa cantica, che gli Ebrei elevarono a D-O, portò al riconoscimento della sovranità di D-O nel mondo.
La sovranità Divina riguarda tutto
Per arrivare ad una simile rivelazione della sovranità Divina nel mondo in generale, una persona deve prima interiorizzare la consapevolezza di questa sovranità Divina nella propria coscienza. Egli deve realizzare che il Regno di D-O abbraccia la totalità della sua esistenza, anche nei suoi aspetti più materiali e mondani. Questo è il messaggio della ‘manna’: che la propria sussistenza deriva direttamente da D-O, e da D-O soltanto. Anche quando l’Ebreo deve lavorare per guadagnarsi il pane ed il suo guadagno gli arriva tramite altri intermediari, il suo sostentamento viene da D-O. L’Ebreo è, essenzialmente, al di sopra dei limiti naturali del mondo. Anche quando egli vi scende, coinvolgendosi nelle cose pratiche e nelle relazioni coi gentili che lo circondano, egli rimane tuttavia, nella sua essenza, al di sopra della natura ed il suo sostentamento gli proviene dalla “manna dal cielo”. Questa consapevolezza interiore della sovranità di D-O permette ad essa di esprimersi anche nel mondo in generale. Qui, però, sorgono degli impedimenti che vengono ad ostacolare la rivelazione di questa sovranità e per annullare questi impedimenti e permettere la completa rivelazione della sovranità Divina nel mondo, si rende necessaria una lotta. Ed è questo il significato della guerra contro Amalèk. A livello personale dell’individuo, la qualità di Amalèk è rappresentata dalla freddezza nel nostro servizio Divino e dal dubbio che si insinua nella mente e raffredda il nostro entusiasmo per i miracoli che accompagnano la nostra uscita personale dall’Egitto. Ciò indebolisce in noi la capacità di percepire la provvidenza con la quale D-O regola la nostra vita. Per questo Amalèk deve essere annientato, affinché la sovranità Divina sia rivelata.
Il significato dell’idolatria
Quando Itrò, suocero di Moshè e sacerdote idolatra, raggiunse gli Ebrei nel deserto, è detto che egli vi arrivò dopo aver sentito dei miracoli che avevano accompagnato la loro uscita dall’Egitto. Si pongono qui molte domande. Perché proprio questi miracoli convinsero Itrò a venire e a dichiarare che: “L’Eterno è più grande di tutte le divinità”? Come, poi, chiamare D-O ‘più grande di altre divinità’ può essere considerato una lode? Perché la Torà, che in genere si astiene dall’utilizzare termini negativi, in questo caso menziona l’idolatria di Itrò, e cioè un lato così negativo della sua vita? Per comprendere ciò, ci viene in aiuto la spiegazione che il Rambam dà dell’idolatria. Il Rambam dice che, all’inizio, gli adoratori degli idoli, concepivano le loro divinità come degli intermediari. Essi capivano che D-O era la Fonte Prima, dalla quale tutto deriva, ma pensavano che, essendo Egli troppo elevato, non si addicesse a Lui occuparsi di cose basse e materiali, per cui esse dovettero essere affidate alla cura del sole, della luna e di altri intermediari. Il loro errore fu quello di ascrivere una volontà ed un potere indipendenti a questi intermediari, ritenendoli in grado di esercitare un controllo sulla nostra vita, quando invece essi non sono che “un’accetta in mano allo spaccapietre”, e cioè un qualcosa di inanimato, privo di volontà propria e di potere decisivo, e controllato unicamente da D-O. Rinnegare l’idolatria, quindi, non vuol dire solo smettere di credere agli idoli, ma anche a tutti gli intermediari, riconoscendo che il nostro destino e tutti i particolari della nostra vita quotidiana sono controllati unicamente da D-O. Per questo, quando Itrò sentì dei miracoli dell’apertura del Mar Rosso, della manna e della sconfitta di Amalèk, egli arrivò a riconoscere che la sovranità Divina è manifesta in ogni elemento dell’esistenza, anche nelle nostre realtà più materiali e mondane. Egli comprese la vera natura di tutte quelle forze che sembrano avere un potere in questo mondo: che esse sono, cioè, solo “un’accetta in mano allo spaccapietre”. Per questo, egli rinunciò all’idolatria. L’Ebreo deve agire nel mondo, usando tutti i mezzi che la natura mette a sua disposizione, mentre, allo stesso tempo, le sue azioni devono essere infuse della fede in D-O e della certezza che Egli provvederà a lui con bontà ed abbondanza.
(Shabàt parashà Beshallàch, 11 Shvàt 5751)
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