Devarìm, un Libro particolare Pubblicato il 5 Agosto, 2024
Con questo mese iniziamo la lettura dell’ultimo Libro della Torà: Devarìm, noto come la “Ripetizione della Torà”. Con questo Libro, Moshè illustrò la capacità di far discendere la santità infinita della Torà nel regno del finito.
La Torà è la parola di D-O
Con questo mese iniziamo la lettura dell’ultimo Libro della Torà: Devarìm. Il Libro di Devarìm è noto come la “Ripetizione della Torà”, in quanto in esso Moshè Rabèinu ripassa in rassegna i vari incontri e le varie esperienze trascorse dagli Ebrei, nei quarant’anni durante i quali essi vagarono nel deserto, così come i precetti e le leggi, che vennero comandati loro durante quel periodo. Esiste, purtroppo, una sfortunata tendenza fra i disinformati, a credere che la Torà sia solo un libro di estrema saggezza, compilato da Moshè, persona eccezionalmente dotata. Il Rambam, tuttavia, scrive che “chi afferma che un solo verso, o anche una singola parola della Torà sia stata pronunciata da Moshè di sua invenzione e non sia venuta da D-O, è da considerarsi un eretico.” Se, inoltre, questa persona fosse stata educata in modo adeguato a seguire e a osservare l’Ebraismo, ed essa si ribellasse all’insegnamento del concetto fondamentale che la Torà è la parola di D-O, “pur essendo un Ebreo, egli non avrebbe una parte nel Mondo a Venire”. Una simile persona avrebbe di fatto sacrificato la ricompensa che lo aspetta al tempo della Redenzione. Ora, se ciò si applica a chi ha rinnegato la provenienza Divina di “anche una singola parola” della Torà, quanto, a maggior ragione, ciò sarà valido per chi mette in discussione l’autorità Divina di un intero Libro della Torà!
La Presenza Divina parlava dalla gola di Moshè
Sorge però qui una difficoltà di comprensione di fronte all’affermazione della Ghemarà, secondo la quale Moshè compilò il Libro di Devarìm “di suo”! Secondo quanto sostiene il Rambam, infatti, non dovrebbe considerarsi questa un’affermazione del tutto eretica?! Tosafòt, un commento Talmùdico, risolve la difficoltà in questo modo: Moshè fu di fatto autore del Libro Devarìm “di suo”, ma “in uno stato di profezia (ruach ha’kodesh).” Partendo dal punto fermo che le parole di questo Libro furono pronunciate dalla bocca di Moshè, esse erano comunque parole di D-O, come dicono i nostri Saggi: “la Presenza Divina parlava dalla gola di Moshè”. Moshè era unito all’Onnipotente in un’unione così totale che, a volte, quando egli parlava in nome di D-O, lo faceva addirittura in prima persona. Ad esempio, Moshè disse: “Io darò la pioggia della vostra terra a suo tempo”, e, “darò erba nel tuo campo per il tuo bestiame”. Evidentemente non è Moshè “di suo”, che “dà” pioggia ed erba. Egli è piuttosto solo il canale, attraverso il quale passa la benedizione Divina. Allo stesso modo, quando Moshè pronunciò il Libro di Devarìm “di suo”, egli lo fece in quanto estensione dell’Onnipotente.
La capacità dell’Ebreo di far discendere la santità della Torà nel mondo
Perché allora la Ghemarà distingue in modo particolare il Libro di Devarìm, in quanto pronunciato da Moshè “di suo”? In quale modo Devarìm è così diverso dagli altri quattro libri della Torà? Nei primi quattro Libri della Torà, Moshè agì in quanto messaggero di D-O e nulla di più, riportando alla lettera la Torà di D-O. Il Libro di Devarìm, invece, Moshè lo riportò dopo aver prima assimilato il suo messaggio nella propria mente, fino al punto di farlo diventare una cosa sola con la propria comprensione. Le parole del libro di Devarìm furono rivolte al popolo Ebraico nei momenti finali del loro viaggio nel deserto, immediatamente prima del loro ingresso nella Terra Santa. Essi erano sul punto di abbandonare la loro esistenza miracolosa nel deserto, dove il loro cibo era stato la manna che veniva dal cielo, la loro bevanda l’acqua della fonte miracolosa di Miriam, protetti dalle Nuvole della Gloria, e stavano per entrare in un tipo di vita molto più terreno. Essi venivano incaricati, ora, del compito di infondere di santità il mondo fisico e materiale, utilizzando le risorse della terra per l’adempimento dei precetti di D-O. In preparazione di questa missione cruciale, Moshè Rabèinu li lasciò con le parole di Devarìm, parole Divine che egli aveva assimilato nella sua mente umana. Con il Libro di Devarìm, Moshè illustrò la capacità di far discendere la santità infinita della Torà nel regno del finito.
(Likutèi Sichòt, vol. 4, pag 1087-1088)
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