Due differenti dinamiche Pubblicato il 10 Ottobre, 2024

La traduzione convenzionale per teshuvà è ‘pentimento’, ma essa ne limita il suo vero significato. La sua traduzione più fedele, che ne rispecchia anche il concetto espresso, è ‘ritorno’.

Pentimento o ritorno?
teshuva-8I dieci giorni compresi fra RoshHaShanà e Yom Kippùr sono chiamati i ‘dieci giorni di teshuvà’, in quanto è proprio il servizio della teshuvà che caratterizza principalmente questo periodo. La traduzione convenzionale per teshuvà è ‘pentimento’, ma essa ne limita il suo vero significato. La sua traduzione più fedele, che ne rispecchia anche il concetto espresso, è ‘ritorno’. Un confronto fra questi due significati rispecchia un contrasto che getterà luce su molti aspetti del nostro rapporto con D-O. Pentimento comporta un cambiamento della propria condotta, un riconoscimento dei propri errori del passato ed una ferma risoluzione di un cambiamento per il futuro. E le due cose sono collegate: la consapevolezza delle nostre debolezze ci spinge ad un cambio di direzione. Il concetto di teshuvà come ‘ritorno’, mette in risalto il potenziale spirituale fondamentale che appartiene ad ogni persona. La Chassidùt insegna che in ognuno di noi vi è un’anima Divina, una scintilla di D-O. Questo infinito potenziale Divino rappresenta il punto centrale della nostra anima, il nostro vero ‘io’. Da questa prospettiva, peccato e male sono elementi superficiali, che non possono in alcun caso intaccare la nostra natura essenziale. Teshuvà significa riscoprire il nostro vero essere, stabilendo un contatto con questo potenziale Divino interiore e facendolo diventare l’influenza dominante, nella nostra vita. Vista sotto questa luce, la nostra motivazione a fare teshuvà non sarà la consapevolezza della nostra inadeguatezza, ma piuttosto la percezione di questo potenziale infinito nelle nostre anime.

Ritornare con gioia
Queste differenti comprensioni del termine teshuvà risvegliano emozioni opposte. Pentimento di solito è associato a tristezza, poichè sono le sensazioni di dispiacere e di rimorso a rivestire in genere il ruolo principale, che spinge poi la persona a cambiare la propria condotta. Teshuvà invece, nel senso di ‘ritorno’, è caratterizzata dalla gioia. Chi fa teshuvà, chi cioè realizza di fatto un cambiamento grazie al processo di teshuvà, è naturale che senta dispiacere e rimorso per i suoi errori passati, ma la sua emozione dominante deve essere comunque quella della gioia. Infatti, grazie alla teshuvà egli rinnova il suo rapporto con D-O e stabilisce un legame con il proprio potenziale spirituale. Ciò provoca necessariamente un sentimento di gioia. In effetti, l’assenza di gioia indica che una vera e perfetta connessione non è stata stabilita e che è necessario un ulteriore sforzo perchè la teshuvà sia completa.

Riguarda tutti
Potrebbe sembrare che la teshuvà riguardi solo un numero limitato di persone. I giusti sembrerebbero infatti non avere una simile necessità, mentre altri potrebbero essere considerati troppo ‘lontani’ da D-O, per essere capaci di quest’esperienza religiosa. Nella sua definizione di ‘ritorno’ però, la teshuvà allarga il suo campo di applicazione. Se infatti la teshuvà consente l’accesso al proprio vero potenziale spirituale, essa riguarda ogni Ebreo, senza eccezione. La stessa scintilla Divina esiste nell’anima di ogni Ebreo, dal più estraniato al più giusto. Questo potenziale Divino è infinito; nessuna forza e nessun potere può impedire il suo emergere e la sua espressione. Ogni Ebreo, a qualsiasi livello egli si trovi, può fare teshuvà. Non importa quanto egli sia sceso in basso, nulla può impedirgli di cambiare la sua condotta e stabilire un legame con D-O. Per lo stesso motivo, nessuno, neppure il più giusto, è al di sopra della teshuvà. Ognuno di noi, persino il più elevato spiritualmente, è limitato per il fatto stesso di essere umano. I nostri pensieri, le nostre emozioni, così come i nostri corpi e i nostri desideri fisici, riflettono le limitazioni insite dell’essere creato. La teshuvà ci consente di superare queste limitazioni e stabilire un contatto con il potenziale illimitato della nostra essenza Divina. Questa, a sua volta, eleva la totalità della nostra esperienza ad un gradino più alto. Qualsiasi fosse stato il nostro precedente livello di servizio Divino, la teshuvà può introdurci ad un livello più elevato di consapevolezza e capacità spirituale. Per questo motivo i nostri Saggi insegnano che “giusti perfetti non possono stare nel posto in cui si trova chi fa teshuvà”, poiché la teshuvà rivela l’infinita scintilla Divina nella nostra anima e ci collega a D-O, ad un piano superiore persino ai più sublimi livelli del servizio Divino.

Ricalcolando i nostri meriti
Definire la teshuvà come ‘ritorno’, piuttosto che ‘pentimento’, getta luce anche sul significato di un passaggio problematico del Talmùd. I nostri Saggi dicono che tramite la teshuvà, tutte le nostre trasgressioni del passato, persino quelle commesse intenzionalmente, vengono trasformate in meriti! Noi possiamo capire che la teshuvà cancelli ogni traccia del passato, e che D-O perdoni i nostri peccati e ci consenta di ricominciare. Ma come può il pentimento trasformare il peccato stesso, un atto commesso in spregio alla volontà di D-O, in un’azione positiva? Il peccato divide l’Ebreo da D-O. Come può allora divenire parte di un processo di connessione? Questo quesito si pone, se noi consideriamo la teshuvà come ‘pentimento’, un’opportunità per un nuovo inizio. Quando però noi vediamo la teshuvà come un ritorno al nostro vero essere, la difficoltà viene risolta. Un Ebreo non è mai separato da D-O, anche quando pecca, poichè il legame spirituale essenziale che ci unisce a D-O è così forte, che anche quando il livello di rapporto del quale siamo consci sembra essere stato reciso dal peccato, l’intima connessione è rimasta intatta e continua a spingerci verso la teshuvà.

La distanza risveglia il desiderio
Dal momento che il nostro legame con D-O è sempre intatto, il peccato, in quanto atto di separazione, può fornire esso stesso alla nostra natura essenziale Divina, l’impeto di emergere. La sensazione di essere, apparentemente, tagliati fuori dal rapporto con D-O, può far sorgere una sete per un legame più forte con Lui. Nonostante ogni singolo peccato sia una diretta ribellione al volere di D-O, quando viene considerato come una fase in una progressione che porta alla teshuvà, esso può essere visto come una forza motivante, che porta la persona a stabilire un rapporto con D-O più forte e più profondo. La connessione che la teshuvà permette di stabilire con D-O è infatti più profonda e più intensa di quella sperimentata in precedenza.

Un’unica unità onnicomprensiva
Ogni elemento del nostro mondo esiste per lo scopo essenziale di rivelare il Divino. Alcuni elementi del creato rivelano il Divino apertamente; altri elementi rivelano l’onnipresenza Divina in modo indiretto. Per esempio: l’osservanza dei precetti dimostra semplicemente che ciò che è materiale può collegarsi in un legame di unità con D-O. Il ciclo di peccato e teshuvà rivela la verità suprema del Divino, ma in un modo differente. Quando una persona prima pecca e poi sente di voler respingere questo comportamento, questi due passi, presi insieme, fungono da affermazione, piena di forza, del Divino, dimostrando che niente, neppure il peccato, può frapporsi nella connessione dell’uomo con D-O. L’atto del peccatore di ‘ritornare’, mostra il potere infinito della sua anima Divina, e rivela come essa supererà ogni ostacolo con il suo naturale impulso ad esprimersi. Il legame particolare ed unico che si stabilisce con D-O per mezzo della teshuvà, ha ripercussioni che vanno ben al di là della sfera personale dell’individuo. Come dice il Rambam, “Israele si redimerà solo con la teshuvà. La Torà ha promesso che verrà il momento in cui Israele ‘ritornerà’ e ciò segnerà la fine del suo esilio e sarà redento immediatamente” (Rambam, Hilchòt HaTeshuvà 7:5). Possa ciò avvenire nell’immediato futuro.

(Da Likutèi Sichòt, vol. 2, Shabàt Shuva e vol. 5, parashà Lech lecha)

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