il 17 di Tamùz, un giorno di gioia! Pubblicato il 19 Luglio, 2024
Quando si è guidati a guardare le cose nella loro interiorità, in particolare ai nostri tempi e nella nostra generazione, l'ultima generazione del'esilio, come dice il Rebbe, e la prima generazione della Gheulà, si viene a scoprire una trasformazione già in atto: quella del dolore in gioia, del male in bene. Per vedere questa verità, che ci appare ancora nascosta, il Rebbe ci chiede, semplicemente, con fiducia e certezza, di 'aprire gli occhi', e allora....vedremo.
Cosa collega il digiuno del 17 di Tamùz, lo Shabàt e le maledizioni di Bilàm?
Nell’anno 5751, il 17 di Tamùz cadde di Shabàt, parashà Balàk, cosicchè esso non fu un giorno di digiuno. Di fatto, in questo Shabàt, si realizzarono tre elementi differenti, e persino opposti. Innanzitutto, lo Shabàt. Il settimo giorno, giorno del riposo e della gioia. Secondo: il 17 di Tamùz, il giorno in cui si produsse una breccia nelle mura di Gerusalemme, per mano dei Romani, dopo due anni e mezzo di assedio. Questo evento rappresentò l’inizio del processo, che portò alla distruzione del Tempio. Per questo, i nostri Saggi lo fissarono come giorno di digiuno. Qual è il collegamento con lo Shabàt? Si tratta, infatti, di due opposti. Da un lato, il digiuno, un giorno di tristezza, che ricorda un evento amaro e doloroso. Dall’altro lato, lo Shabàt, un giorno di gioia, a testimonianza del riposo di D-O, al termine della Creazione. Il terzo elemento: la parashà della settimana. Balàk, re di Moàv, temendo che i Figli d’Israele gli muovessero guerra, chiese a Bilàm, profeta fra le nazioni, di maledirli. Bilàm rispose alla sua richiesta, dopo aver ricevuto l’accordo di D-O. Ma ecco, che l’esecuzione dell’incarico ebbe una riuscita del tutto imprevista… Questi tre elementi si ritrovano in un solo giorno. In un solo Shabàt. Qual’è il legame, che li accomuna?
Digiuno – un giorno propizio
Per capire, bisogna, innanzitutto, scoprire il vero significato interiore di ciascuno di questi tre elementi. Il primo è il digiuno del 17 di Tamùz. All’apparenza, un giorno di digiuno appare come un giorno di dolore e di lutto. Chi, invece, sa guardare più a fondo, può vedere il bene nascosto nel giorno di digiuno. Il digiuno ha uno scopo positivo: risvegliare il pentimento ed il ritorno a D-O, e portare, così, la Gheulà (la redenzione). Per questo, esso viene definito ‘giorno propizio’. Questo fatto è particolarmente evidente nel 17 di Tamùz, considerando che il numero 17, in ghematria, ha il valore numerico della parola ‘bene’. Cos’è, allora, veramente, il digiuno del 17 di Tamùz? Un giorno di festa (in Ebraico, letteralmente, un ‘giorno di bene’)! Quando il 17 di Tamùz cade di Shabàt, il digiuno viene rimandato al giorno successivo. La ragione semplice della posticipazione del digiuno, è che lo Shabàt è un giorno di gioia. Come sempre, però, vi è una ragione più interiore e più gioiosa. Lo Shabàt non rinvia il digiuno; esso, semplicemente, lo trasforma, rivelando il bene, che vi è contenuto. Lo Shabàt rivela, più di tutto, che l’essenza interiore del digiuno, è un qualcosa di positivo ed estremamente elevato. Così sarà nei Giorni di Moshiach: tutti i digiuni saranno trasformati in giorni di gioia ed allegrezza. Perché? Poiché nella Gheulà vera e completa, nella quale il bene arriverà alla sua perfezione, così come il pentimento ed il ritorno a D-O, e la Gheulà stessa raggiungerà il suo grado di completamento e perfezione, si rivelerà il bene interiore e nascosto dei giorni di digiuno.
Lo Shabàt – giorno propizio di gioia
Il nesso fra il digiuno e lo Shabàt non è dovuto solamente al fatto che entrambi si incontrino nello stesso giorno. Lo Shabàt, in sé, ha un legame con l’essenza interiore del digiuno, che viene citato come ‘giorno propizio’. Lo Shabàt è chiamato ‘il giorno desiderato’. È il giorno che D-O volle e desiderò più di tutti gli altri giorni. Per questo, anche lo Shabàt rappresenta, di per se stesso, un giorno propizio. Vi è un ulteriore legame fra il digiuno e lo Shabàt. I giorni di digiuno, come abbiamo detto, sono in stretto collegamento con i Giorni di Moshiach, quando il loro significato interiore si rivelerà. Anche lo Shabàt è collegato alla Gheulà, come è scritto nella Mishnà: “Salmo, canto per il giorno dello Shabàt – per il giorno che è tutto Shabàt e riposo, per una vita eterna”. Quindi, quando il digiuno cade di Shabàt, noi dimentichiamo tutto ciò che riguarda la distruzione e l’esilio, e vediamo solo la gioia e l’allegrezza, contenute in questo giorno. Nel giorno dello Shabàt, noi abbondiamo nei nostri pasti, mangiando carne e vino, in segno di gioia. Ed ecco che in questo Shabàt, che cade nel 17 di Tamùz, non solo non digiuniamo, ma aggiungiamo ancora più gioia. Addirittura, nei pasti di questo Shabàt, bisogna aggiungere ancora più abbondanza che negli altri, affinché non si arrivi a pensare, neppure per sbaglio, che si tratti di un giorno triste. Il dovere di aggiungere ancora più abbondanza, in questo Shabàt, non è solo allo scopo di non cadere in errore. In questo Shabàt si rivela più che mai, il bene autentico racchiuso nel giorno di digiuno. Questo bene rafforza il grado di santità dello Shabàt, portandolo ad un livello spirituale molto più elevato. Come ci si può meravigliare, quindi, se ad un livello così elevato, la gioia aumenti e si rinvigorisca, più che in qualsiasi altro Shabàt” Noi trasformiamo, così, il giorno di digiuno, in un giorno di gioia, in misura doppia e raddoppiata.
Dalle maledizioni di Bil’àm, gioia e Gheulà
Come si collega questa gioia del digiuno e dello Shabàt alla parashà della settimana? I Giorni di Moshiach, che trasformano ogni cosa in bene, si trovano anche nella parashà della settimana, la parashà di Balàk. La prima volta in cui compare nella Torà il soggetto di Moshiach, è proprio nelle maledizioni di Bilàm: la maledizione che si trasformò in benedizione. Quando Bilàm, nella sua profezia, dice: “Da Giacobbe ha avuto origine una stella e da Israele è sorto uno scettro”, si riferisce alla rivelazione del Re Moshiach, che viene denominato “stella” e “scettro”. È incredibile! Ci saremmo aspettati di sentire l’annuncio della Gheulà da un capo di Israele, da qualcuno che si trovasse ad un livello spirituale elevatissimo: e chi ci racconta ciò, in modo esplicito, per la prima volta? Proprio Bilàm, il malvagio goi, nemico di Israele. Come poté Bil’am meritare ciò? Non fu un suo merito. Egli pensò di poter maledire il Popolo d’Israele, mentre, alla fine, gli dette la benedizione più grande, la benedizione della Gheulà completa. La Torà dice di Bilàm: “E trasformò per te, il Signore tuo D-O, la maledizione in benedizione”. Così, anche per quanto riguarda la Gheulà. Tutta la maledizione di Bilàm, o il dolore della distruzione, si trasformano nella benedizione della Gheulà e nella grande gioia della costruzione del Tempio.
Che relazione ha tutto ciò con noi?
Come abbiamo detto, quando il giorno di digiuno cade di Shabàt, non ci si sofferma sul lutto per la distruzione. Anche se il Tempio non è ancora stato ricostruito, noi percepiamo ed evidenziamo già l’elemento positivo del giorno di digiuno: la preparazione alla Gheulà. Così in generale, a cominciare dal momento in cui Israele andò in esilio, nonostante il Tempio, di fatto, non fosse ancora costruito. La cosa è ancora più vera, quanto più noi ci avviciniamo al tempo della Gheulà. Più la Gheulà è vicina, più noi percepiamo ciò. Quando arriva il 17 di Tamùz, quindi, noi ci comportiamo di conseguenza. Invece di parlare della distruzione, noi evidenziamo, piuttosto, la preparazione alla Gheulà, il lato positivo del 17 di Tamùz e dei giorni che vanno fino al 9 di Av. Nella nostra particolare generazione, l’ultima generazione dell’esilio e la prima generazione della Gheulà, si rafforza la percezione della preparazione alla Gheulà e diviene una consapevolezza tangibile, il fatto che la Gheulà, da un momento all’altro, sia qui! Come accade ciò? È semplice. Un tempo, ogni volta che si ricordava il ‘mese di Tamùz’, ci si formava nella mente e nel cuore la triste immagine della distruzione. Nella nostra generazione, invece, il mese di Tamùz è chiamato ‘mese della Gheulà’, per la liberazione del Rebbe Rayàtz, il 12-13 di Tamùz. La liberazione del Rebbe Rayàtz è anche la liberazione di tutto il popolo d’Israele, poiché con la propria salvezza, il Rebbe mise in salvo, con sé, tutta la Torà e le mizvòt dei Figli d’Israele. Si tratta qui, già, di una preparazione molto più vicina alla Gheulà grande, vera e completa. In seguito alla sua liberazione, il Rebbe Rayàtz dichiarò, infatti, che ai Figli d’Israele non restava ormai che “lucidare i bottoni”, in onore di Moshiach: occuparsi, cioè, degli ultimi dettagli. Ed allora si compirà di fatto la promessa: “Subito alla teshuvà, subito alla Gheulà”, la Gheulà immediata! Allora il Rebbe iniziò l’ultima fase della conquista del mondo verso la Gheulà, con la diffusione delle sorgenti della Chassidùt, anche in America, che è chiamata “la metà inferiore del mondo”. Oggi, dopo cinquant’anni di diffusione, certamente e senza alcun dubbio, è arrivato il tempo della Gheulà! E questo non è ancora tutto. In quest’anno del 5751 (l’anno in cui il Rebbe ha pronunciato questo discorso), abbiamo meritato di vedere come si realizzino le parole del Midràsh, negli eventi della guerra del Golfo, con una precisione prodigiosa! Di questa guerra, il Midràsh dice, che questo è l’anno in cui il Re Moshiach si rivela, viene e dichiara: “È giunta l’ora della vostra liberazione”. Ed infatti, abbiamo già sentito dal Rebbe (Precedente) la dichiarazione: “Ecco, Moshiach arriva – e già arriva”! In una generazione così speciale, la generazione della Gheulà, ed in un anno così particolare, l’anno della rivelazione di Moshiach, è chiaro che il 17 di Tamùz ci ricorderà solo cose buone. Il 17 di Tamùz di quest’anno, noi ricordiamo a noi stessi la completa certezza, che la Gheulà arriva proprio di fatto, e, come naturale conseguenza, si trasformeranno questi giorni in gioia ed allegrezza ed in giorni di festa.
Cosa fare, allora?
Il Rebbe ci richiede di stimolare ognuno, in modo particolare, affinché studi temi di Gheulà, Moshiach ed il Terzo Tempio. Nelle ‘tre settimane’, il Rebbe ha stabilito che si studino temi riguardanti il Tempio. Noi non possiamo costruirlo con le nostre mani, e per questo, D-O considera questo nostro studio, come se fosse una vera e propria costruzione del Tempio, da parte nostra. Così, per ogni anno della nostra generazione, la generazione della Gheulà! Quest’anno, però, quando studieremo le halachòt riguardanti il Tempio, lo faremo in un modo completamente differente! Noi non penseremo al Secondo Tempio, che è stato distrutto e per il quale sentiamo tanto dolore, no; quest’anno, quando studieremo, soffermeremo la nostra attenzione sulla nostalgia del Terzo Tempio, che verrà costruito immediatamente! E la cosa essenziale, che ricorderemo durante lo studio, sarà la chiara consapevolezza, evidente in modo assoluto, che le halachòt, che studiamo, sono halachòt per essere messe in pratica, proprio di fatto. Noi sappiamo, infatti, e siamo certi, che in questo giorno verrà costruito il Tempio, e fra un attimo potremo vedere tutte le cose che abbiamo studiato! Ci resta, quindi, solo di aprire gli occhi, e vedere!
(Da un discorso dello Shabàt, parashà Balàk, 5751)
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