Il compenso per le sofferenze dell’esilio Pubblicato il 6 Gennaio, 2024

Ecco come D-O spiega a Moshè lo scopo delle terribili difficoltà dell’esilio.

“E saprete che Io sono l’Eterno” (Shemot 6:7)
Dopo aver letto, alla fine di parashà Shemòt, il grido rivolto a D-O da Moshè Rabèinu: “Perché hai recato danno a questo popolo!”, troviamo, all’inizio di parashà Vaera, la risposta del Santo, benedetto Egli sia: “Mi sono manifestato ad Avraham, Izchak e Yakov come Signore Onnipotente, ma non Mi sono fatto conoscere da loro col Mio nome di Eterno… Pertanto dì ai Figli d’Israele: “Io sono l’Eterno, vi farò uscire… e saprete che Io sono l’Eterno”. Secondo il significato letterale del testo, D-O tranquillizza Moshè, facendogli capire che non aveva motivo di temere di non vedere realizzata la Sua promessa di redimere il popolo d’Israele poiché, era arrivata proprio l’ora di mantenere quella promessa fatta ai Padri. Resta tuttavia poco chiara la premessa che D-O fa, e che sembra diminuire il valore della promessa fatta ai Padri (“ma non Mi sono fatto conoscere da loro col Mio nome di Eterno”).

Rivelazione dell’Infinito
Le parole di D-O rispondono alla domanda di Moshè: perché devono soffrire così tanto i Figli d’Israele nell’esilio dell’Egitto? Nella Sua risposta a Moshè, D-O non Si accontenta di informarlo solo dell’imminente liberazione, ma spiega anche lo scopo delle terribili difficoltà dell’esilio. Questo è ciò che D-O dice a Moshè: “Mi sono manifestato ad Avraham, ecc.” – sebbene Mi sia manifestato ai Padri ed essi abbiano meritato la rivelazione della Mia Presenza, si trattò per loro solo della manifestazione del nome “E-l Sha-dai”, una rivelazione ridotta e limitata della Luce Divina. Fu questa la rivelazione che meritarono i Padri, una rivelazione ridotta e limitata – “non Mi sono fatto conoscere da loro col Mio nome di Eterno” – essi non meritarono la rivelazione illimitata, che si esprime nel nome Havaye.

Fase di preparazione
Invece ora, i Figli d’Israele stanno per ricevere la grande rivelazione del nome Havaye – “e saprete che Io sono l’Eterno”, e per questo è necessario affrontare le difficoltà dell’esilio. Per ricevere una rivelazione così potente, che neppure i Padri hanno meritato, essi devono sottoporsi alla preparazione particolare che è data dall’esilio. L’Esilio dell’Egitto fu una fase che dovette precedere il Matàn Torà sul monte Sinai, come D-O Stesso aveva annunciato a Moshè: “Quando farai uscire il popolo dall’Egitto, voi servirete D-O su questo monte”. Per questo, valeva la pena subire la sofferenza dell’esilio, pur di meritare la rivelazione stessa del Santo, benedetto Egli sia, in tutto il Suo onore – “e saprete che Io sono l’Eterno”.

Al di sopra delle differenze
La caratteristica unica del nome Havaye è quella di esprimere l’attributo della ‘verità’ di D-O. La verità, per sua caratteristica essenziale, non cambia (se no, non sarebbe verità). Per questo, ciò che deriva dalla rivelazione del nome Havaye è eterno ed immutabile, come è detto: “Io, Havaye, non sono mutato”. L’Ebreo, anche nel suo servizio personale e nella sua particolare ‘uscita dall’Egitto’ – l’uscita dai limiti del corpo e dell’istinto del male – deve dirigere la sua aspirazione verso l’attributo della verità, verso ciò che è stabile e non muta. Il vero esame al quale l’uomo dovrebbe sottoporre se stesso, è quello atto a verificare se la sua condizione spirituale possiede una stabilità, che è al di sopra dei cambiamenti, poiché questo prova che egli è arrivato ad un livello di verità nel suo servizio Divino. Solo quando arriviamo a ciò, sappiamo di essere usciti veramente dal nostro ‘Egitto’.
(Da Likutèi Sichòt, vol. 31, pag. 23)

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