Il nostro potere di ‘creare’ Pubblicato il 7 Aprile, 2024

La relazione fra D-O ed il popolo Ebraico è un’unione complessa e dinamica, che produce vitalità. Il frutto finale sarà la Redenzione. (Tratto dall'ultimo numero di 'Tempo di Gheulà')  

 

L’intimità più profonda
Una delle analogie usate per descrivere la relazione fra D-O ed il popolo Ebraico è quella dell’amore fra uomo e donna. A livello umano, questa relazione è multidimensionale, ed essa include i più profondi livelli di intimità. Analogamente, l’amore fra gli Ebrei e D-O è un’unione complessa e dinamica. “Il Santo, benedetto Egli sia, e Israele sono una cosa sola” (Zohar, vol. III, 73), uniti in un legame ardente. Per questo, il profeta (Isaia, 54:5) usa la similitudine: “Perché Chi ti ha fatto è il tuo marito.” Sul piano dei mortali, l’intimità fisica è più di un semplice rapporto fra uomo e donna; da qui viene concepita una nuova vita. Allo stesso modo, il legame che unisce il popolo Ebraico a D-O, è un rapporto che propaga vitalità.

Piantare semi
Il verso che apre la parashà Tazrìa, allude a questo concetto, dicendo: “Quando una donna concepisce e dà alla luce un maschio…”. La “donna” rappresenta il popolo Ebraico, che porta nuova vita nel mondo. Più in particolare, tazrìa, il termine che viene tradotto con “concepisce”, significa “dà seme”. Anche questo termine ha un significato metaforico. Dopo che un seme è stato piantato nella terra, infatti,  esso si deve decomporre. Solo allora la terra potrà esprimere il proprio potenziale di crescita. Questo stesso tema riguarda il nostro popolo come un intero, ed anche ogni individuo in particolare. Le nostre vite si focalizzano intorno a preoccupazioni materiali. Anche rispetto al nostro servizio Divino, è l’osservanza pratica dei precetti, e non i sentimenti che essi risvegliano, ad essere di primaria importanza. Infatti, anche se uno medita sulla preghiera dello Shemà Israel ogni mattina, con amore e timore, senza avere però pronunciato le parole di fatto, o se uno si sente ispirato da profonda compassione per un povero, ma non gli fa la carità in concreto, il suo servizio Divino sarà inadeguato. Infatti “è l’azione la cosa essenziale”. I precetti, come si trova nei detti dei nostri profeti, sono paragonati ai “semi”, poichè ogni precetto porta un’infusione di energia Divina nel nostro mondo materiale che, se coltivato, fiorirà e darà frutti. Il frutto finale sarà la Redenzione, l’era in cui l’energia Divina, investita nel mondo dal servizio Divino del popolo Ebraico per migliaia di anni, fiorirà. Ciò produrrà una trasformazione della natura dell’esistenza, che ci porterà a riconoscere il nucleo Divino di ogni essere. Dal momento che il mondo stesso diverrà allora cosciente della propria natura Divina, questa Redenzione non sarà mai più seguita da un successivo esilio, poichè il Divino non sarà mai più celato.

Il miracolo della concezione
I nostri Saggi interpretano l’espressione “Quando una donna concepirà”, come se si intendesse con ciò che è la donna a dare inizio all’intensificazione del rapporto. Nella nostra analogia, ciò viene a dire che l’uomo non si limita solamente a rispondere a D-O. Egli arriva a toccare invece il nucleo più profondo del suo essere, radunando così le energie necessarie ad elevare il livello della sua relazione con D-O. Su questa base, noi possiamo comprendere perché il verso evidenzi l’importanza del concepimento piuttosto che della nascita. Nonostante che una nuova vita sia portata al mondo al momento della nascita, il feto esisteva già precedentemente. Il concepimento è l’esempio più vicino, nella nostra vita, alla creazione di qualcosa dal nulla. Il pensiero Chassidico spiega che il potere di creare qualcosa dal nulla appartiene solo a D-O. Dato che Egli non dipende da nessun’altra causa, è nella sua facoltà creare qualcosa, e cioè un’esistenza materiale, dal nulla più assoluto. D-O ha trasmesso la Sua essenza all’uomo, cosicché il nucleo di ogni anima è di fatto “una parte di D-O Stesso” (Tanya, cap. 2). Se così, anche l’uomo ha la facoltà di creare, ma al contrario. Egli vive in questo mondo materiale e crea “niente da qualcosa,” rivelando il potenziale Divino che esiste dentro di sé e nel proprio ambiente. Questa è la facoltà di concepire in possesso della “donna”, e cioè dell’umanità. Attraverso l’espressione di questo potenziale, noi diveniamo “soci” di D-O nella creazione, facendo del mondo una dimora per Lui.

Vita e morte
Il nome Tazrìa, che evidenzia il tema del concepimento, si relaziona non solo al passaggio di apertura, ma anche a tutto il resto della parashà. Ciò non risulta immediatamente evidente poiché, nonostante i primi versi parlino della nascita, la maggior parte della parashà si occupa invece della zaràat, una malattia del corpo simile alla lebbra. Zaràat è l’esatto opposto di una nuova vita, come dicono anche i nostri Saggi, che una persona affetta da zaràat è considerata come morta. Che posto può avere quindi un soggetto simile, in una porzione della Torà che tratta della nascita? Vi sono due concetti la cui comprensione può aiutarci a risolvere questa difficoltà. Il primo afferma che la zaràat non è solamente una malattia fisica. Essa è, per citare il Rambam: “al di là dello schema naturale del mondo… un segno Divino ed un prodigio per il popolo Ebraico, al fine di metterlo in guardia contro la maldicenza.” Il secondo ci spiega come le punizioni prescritte dalla Torà non abbiano il fine di castigare, ma piuttosto quello di assolvere il peccato della persona, permettendogli di correggere le proprie colpe. La zaràat esprime chiaramente questo principio. Una persona viene colpita da zaràat per aver creato del conflitto o dell’attrito fra altri individui e, come risultato di ciò, viene obbligato a restare da solo. Solo dopo aver eliminato l’influenza dell’attrito da se stesso, il suo corpo potrà essere purificato ed egli potrà essere reintegrato nella società. La zaràat è quindi uno strumento Divino destinato a spronare l’individuo a purificarsi e ad incoraggiare il diffondersi della pace e dell’amore. Da questo punto di vista, zaràat diviene un’estensione del tema di tazrìa (concepimento), in quanto focalizza i nostri sforzi, rivolgendoli a far nascere qualcosa di nuovo e di puro in noi stessi e nel nostro ambiente. La zaràat è usata come analogia per descrivere la condizione del nostro popolo nell’era presente, nello stato di esilio – “egli abiterà da solo e la sua dimora sarà al di fuori dell’accampamento” (Vaikrà 13:46). Noi però ci concentriamo sul servizio Divino di tazrìa, seminando semi di influenza Divina, attraverso la nostra osservanza dei precetti. E noi raccoglieremo così i frutti di questi sforzi, con l’arrivo di Moshiach; possa ciò avvenire nell’immediato futuro.

(Likutèi Sichòt, vol. 1, pag. 236; vol. 7, pag. 78-79; vol. 12, pag. 70; vol. 22, pag. 70; Sefer HaSichòt 5749, pag. 379; Sefer HaSichòt 5751, pag. 490)

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