Il patto con l’uomo Pubblicato il 31 Ottobre, 2024

La parashà di Noach esprime la completezza del mondo che si crea proprio grazie al lavoro dell’uomo ed all’elevazione alla santità di tutto ciò che è secolare, del quotidiano.

“E l’acqua non diventerà più un diluvio per distruggere ogni essere di carne” (Bereshìt 9:15)
Le prime due porzioni della Torà, Bereshìt e Noach, sono collegate in modo sostanziale fra di loro, in quanto entrambe si occupano della creazione del mondo e della sua esistenza. Nella parashà di Bereshìt troviamo la descrizione della creazione del mondo, mentre nella parashà di Noach troviamo il giuramento con cui D-O si impegna a mantenere in esistenza il mondo per sempre e a non portare più un diluvio sulla terra. Queste due porzioni della Torà rappresentano due diversi tipi di completamento della creazione. La parashà di Bereshìt rappresenta la perfezione, la completezza della creazione, così come essa fu portata in essere da D-O. Essa racconta della creazione del mondo e del suo completamento. D’altro lato, nella parashà di Noach noi leggiamo del tipo di completamento che viene conseguito proprio dall’uomo: il servizio della teshuvà dell’uomo (il pentimento e il ritorno a D-O) ha portato infatti ad una nuova completezza, e su questa base D-O ha stabilito con l’uomo il patto che garantisce al mondo la sua esistenza per sempre.

Due ‘completezze’
Nella completezza, nella perfezione del mondo, così come esso fu creato da D-O, non vi è posto per alcuna deviazione dalla Sua volontà. Per questo motivo, nel momento stesso in cui l’umanità non adempie alla Sua volontà, perde il suo diritto di esistenza. E così è detto alla fine della parashà di Bereshìt: “L’Eterno vide che la malvagità dell’uomo sulla terra era cresciuta… e disse l’Eterno: ‘Spazzerò via l’uomo’” (Bereshìt 6:5-7). La parashà di Noach, invece, esprime la forza che è data al mondo di arrivare, con un proprio sforzo, alla giusta completezza. Per questo, anche quando il mondo si è corrotto, gli è stata data la forza di separarsi dal male, di purificarsi tramite la ‘teshuvà’. E invero, la teshuvà dell’uomo ha portato ad una completezza ancora più elevata, al segno dell’arcobaleno nella nube, che ha lo scopo di ricordare il patto che fu stipulato con Noach. Questo patto esprime il particolare piacere che viene prodotto in alto, tramite il lavoro di purificazione che l’uomo opera nella creazione.

La rivelazione dell’Infinito
Tutto ciò lo troviamo espresso anche osservando gli appellativi di D-O usati nel corso della creazione e riguardo a Noach. La creazione è stata operata da D-O con il nome ‘Elokim’ (“Bereshìt creò Elokim”, e questo stesso nome viene ricordato ben 32 volte nel corso della creazione), mentre riguardo a Noach appare proprio il nome Havaye (Bereshìt 6:8): “Ma Noach trovò grazia agli occhi dell’Eterno (Havaye)”. Il nome ‘Elokim’ – il cui valore numerico corrisponde al termine ‘natura’ – designa una santità Divina limitata. Il nome Havaye, invece, indica la luce Divina illimitata. La creazione del mondo di per sè, quindi, rivela nel mondo solo la santità limitata del nome Elokim, mentre attraverso il lavoro dell’uomo – rappresentato da Noach – si rivela nel mondo il nome Havaye, la luce Divina infinita.

Santificare il mondo secolare
Questa distinzione si esprime anche nelle date nelle quali leggiamo le porzioni della Torà Bereshìt e Noach. La parashà di Bereshìt viene letta nel mese di Tishrei, il mese delle festività, e perlomeno alcuni dei giorni della settimana di questa parashà sono ancora giorni di Festa (nella maggior parte degli anni). La parashà di Noach, invece, viene letta nel mese di Marcheshvàn, e tutti i giorni della settimana di questa parashà sono ormai giorni feriali normali. La parashà di Noach esprime quindi la completezza del mondo che si crea proprio grazie al lavoro dell’uomo ed all’elevazione alla santità di tutto ciò che è secolare, del quotidiano. Attraverso questo lavoro, noi riveliamo l’intenzione interiore della creazione e portiamo la Redenzione vera e completa.

(Dal Sefer HaSichòt vol. 1, pag. 58)

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