La forza degli Ebrei Pubblicato il 16 Luglio, 2024
Basandosi sulla realtà materiale, forza e potenza esprimono l’espandersi della propria realtà personale. Per il popolo d’Israele le cose stanno esattamente all’incontrario: quanto più essi non si sentono una ‘realtà’ e sentono invece il proprio annullamento davanti a D-O, tanto più cresce la loro forza.
“Poiché dalla cima delle rupi lo vedo e dalle colline lo contemplo” (Bemidbàr 23:9)
In un dei versi che aprono la parashà di Balak, si legge: “Poiché dalla cima (rosh) delle rupi lo vedo e dalle colline lo contemplo”. Rashi interpreta queste parole come un’allusione ai capostipiti del popolo d’Israele: “Io osservo il loro principio (reshìt) e l’inizio delle loro radici, ed io li vedo saldi e forti come queste rupi e queste colline, in virtù dei Padri e delle Madri”. Questo commento di Rashi si basa sulle prime parole pronunciate da Bilàm, che la Torà riporta: “Allora egli pronunciò il suo oracolo (mashalò – la sua parabola, o esempio, paragone) e disse…” (Bemidbàr 23:7). Ciò significa che Bilàm si esprime attraverso parabole e allusioni. Infatti, quando egli dice “Poiché dalla cima (rosh) delle rupi lo vedo”, è evidente che non intende con ciò descrivere semplicemente il luogo dal quale egli pronuncia il suo discorso, ma piuttosto esprimere una virtù profonda ed elevata del popolo d’Israele.
È necessario un esempio
La necessità di ricorrere ad un esempio, ad un paragone, sorge quando si deve trasmettere un concetto profondo, che è difficile da esprimere con le normali parole. In quel caso, ci si serve di un paragone che ci avvicina al concetto originale. E così è nel nostro caso: Bilàm vede profeticamente la forza infinita del popolo d’Israele, e l’esempio più vicino a descrivere la potenza determinata degli Ebrei è la forza delle ‘rupi’ e delle ‘colline’. Bilàm dovette servirsi di un paragone, poiché, secondo la logica comune, non è assolutamente possibile comprendere nella sua essenza quale sia veramente la forza di Israele, una forza che deriva dai Padri. Non si tratta di una forza fisica, materiale, bensì di una forza spirituale, una forza dell’anima che non si può esprimere se non attraverso un’allegoria.
La forza dell’annullamento
Secondo una concezione che si basa solo sulla realtà materiale, forza e potenza esprimono l’espandersi della propria realtà personale. Quanto più il tuo ‘essere’ si manifesta, quanto più tu sei una ‘realtà’, tanto più sei forte. Per il popolo d’Israele le cose stanno esattamente all’incontrario: quanto più essi non sentono di ‘essere’, non si sentono una ‘realtà’ e sentono invece il proprio annullamento davanti a D-O, tanto più cresce la loro forza. La vera forza dell’Ebreo è radicata nella sua capacità di auto sacrificio, di dedizione completa a D-O, nel fatto che egli è pronto a tralasciare tutta la sua realtà per amore di D-O. Quando la fede e l’attaccamento a D-O dell’Ebreo vengono messi alla prova, egli sente in quel momento che staccarsi da D-O per lui è una cosa assolutamente impossibile, e che, piuttosto, egli è disposto a sacrificare, di fatto, la propria vita. È questa forza spirituale a conferire il carattere unico e speciale del popolo d’Israele, come il verso citato continua dicendo: “Ecco un popolo che dimorerà solo e fra i popoli non verrà annoverato”.
Una forza eterna
Questa forza deriva dai Padri e dalle Madri. I Padri del popolo Ebraico – Avraham, Izchak e Yacov – e le Madri – Sara, Rivka, Rachel e Lea – sono coloro che hanno trasmesso in eredità questa forza d’animo ad ogni Ebreo, sino alla fine di tutte le generazioni. Anche questo fatto non può essere compreso, però, secondo una visione materiale. In generale, infatti, più passa il tempo, più le cose hanno la tendenza a indebolirsi. Qui, invece, la caratteristica della dedizione totale che l’Ebreo possiede, tanto da essere pronto al sacrificio di sé, se necessario, si trasmette di generazione in generazione con la stessa forza, senza che in essa si operi alcun cambiamento e alcun indebolimento. Questo, poiché si tratta di una forza spirituale Divina, che ha le sue origini nella santità dei Padri e delle Madri, e che per questo appartiene ad ogni Ebreo, per sempre.
(Da Likutèi Sichòt, vol. 28, pag. 165)