La “Visione” Pubblicato il 7 Agosto, 2024

La parashà Devarìm viene sempre letta nello Shabàt che precede il Nove di Av, il digiuno che ricorda la distruzione del Primo e del Secondo Tempio. Questo Shabàt è anche conosciuto come Shabàt Chazòn, in riferimento alla prima parola della sua haftarà.

Shabat ChazonDue generazioni
La parashà Devarìm viene sempre letta nello Shabàt che precede il Nove di Av, il digiuno che ricorda la distruzione del Primo e del Secondo Tempio. Questo Shabàt è anche conosciuto come Shabàt Chazòn, in riferimento alla prima parola della sua haftarà: chazòn (“visione”). Rabbi Levi Yizchak di Berditchev spiega che in questo Shabàt, “ad ogni Ebreo è concessa da lontano la visione del futuro Tempio.” La concomitanza di parashà Devarìm con Shabàt Chazòn indica un rapporto che li collega. Devarìm è la prima parashà del quinto Libro della Torà, conosciuto anche come Mishnè Torà, la “ripetizione della Torà”. Nonostante tutti cinque i Libri insieme costituiscano la Torà, vi è una differenza fra Devarìm e i primi quattro Libri. La differenza consiste nel fatto che il Mishnè Torà fu rivolto alla generazione che entrò nella Terra Santa, che richiedeva una speciale attenzione ad alcuni particolari. La generazione del deserto è conosciuta come la “generazione della conoscenza”: i suoi membri erano di un’elevatura simile a quella del loro leader Moshè, completamente immersi nella spiritualità, in grado quindi di “vedere” il Divino. Non era questo invece il caso della generazione che entrò nella Terra Santa. Si trattò di una generazione destinata ad occuparsi della materialità del mondo fisico. I suoi membri non avevano quindi la capacità di “vedere” il Divino, ed erano in grado solo di percepirlo come per “sentito”. Per questo, Moshè disse loro: “Ed ora, Israele, ascolta…” (Devarìm 4:1).

Vedere e sentire
La differenza fra vedere e sentire sta nel fatto che, quando uno vede qualcosa, non ha dubbi; nulla può convincere una persona che le cose siano diverse da come le ha viste. Quando invece uno solamente sente parlare di qualcosa, anche se la trova perfettamente chiara e accettabile, può comunque ancora sempre cambiare idea in proposito, se questa viene messa in discussione. Ciò significa che la cosa che ha sentito è entrata a far parte della sua consapevolezza solo in modo limitato. Per questo, il Mishnè Torà, che si rivolse alla generazione che poteva solo “sentire” a proposito del Divino, parla della necessità di un’attitudine che comporta auto-sacrificio, cosa che non fu necessaria perorare alla generazione precedente.

Dal fondo si sale più in alto
Nonostante questa seconda generazione fosse ad un livello spirituale inferiore alla precedente, essa possedette tuttavia un merito che mancò alla prima generazione. Infatti, a proposito della prima generazione noi troviamo detto: “Perché non siete ancora giunti al luogo del riposo e al possesso che l’Eterno, il tuo Signore, ti sta per dare” (Devarìm 12:9), che si riferisce a Shilò e a Gerusalemme. La ragione per cui la generazione che era ad un livello inferiore poté ottenere qualcosa che era stato negato alla generazione del livello superiore, sta nel fatto che proprio il discendere ad una condizione che costringe l’uomo ad occuparsi delle cose materiali permise ai suoi membri di adempiere all’intento Divino, rappresentato dal Tabernacolo di Shilò e dal Sacro Tempio di Gerusalemme.

L’unificazione degli opposti
Lo Shabàt di Devarìm indica quindi l’unificazione di due opposti: uno stato di grande discesa, che conduce però alla massima ascesa. Questa generazione inferiore fu in grado di compiere qualcosa che non poté essere raggiunto dalla generazione precedente, pur essendo essa superiore. Shabàt Chazòn combina anch’esso due elementi opposti. Da un lato, esso è uno dei “Nove Giorni”, ed in alcuni anni può corrispondere al Nove di Av stesso, il giorno che commemora la distruzione del Tempio. D’altro lato, è proprio attraverso una simile discesa che noi meritiamo la venuta di Moshiach e il Terzo Tempio. E questo è il motivo per il quale in questo giorno ogni Ebreo riceve una visione, anche se da lontano, del terzo e più magnifico di tutti i Templi, quello che sarà presto costruito dal nostro Giusto Moshiach.
(Basato su Likutèi Sichòt, vol. 2, pag. 357 – 358)

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